- Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che pure faceva parte del governo Renzi che varò il jobs act, è stato fra i primi a chiedere di «superarlo». Anche quando il resto del Pd da quest’orecchio non sentiva. Anche su questo Orlando sfidò il premier-segretario alle primarie del 2017. Perse, ma da allora è alla guida di una solida corrente laburista del Pd.
- Dal 26 settembre si riaprirà il dialogo con i Cinque stelle? «Ora siamo concentrati sul risultato. La legge elettorale, che ha scritto un importante esponente del terzo polo, è fatta apposta per produrre polarizzazione».
- Caso Wärtsilä: nonostante i tanti annunci, la delocalizzazione è ancora uno sport praticato. «In un’economia di mercato non si riesce a impedire le chiusure o le rilocalizzazioni. Serve rendere più selettivi gli interventi sulle politiche industriali».
Va detto che il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che pure faceva parte del governo Renzi che varò il Jobs act, è stato fra i primi a chiedere di «superarlo».
Anche quando il resto del Pd da quest’orecchio non sentiva. Anche su questo Orlando sfidò il premier-segretario alle primarie del 2017. Perse, ma da allora è alla guida di una solida corrente laburista del Pd.
Ministro, il Pd annuncia di voler definitivamente superare il Jobs act, bandiera del governo Renzi. Ma nel programma non c’è il ripristino dell’art.18.
Il Jobs act non è stato solo l’abolizione dell’articolo 18. Era una scommessa sulla possibilità di superare la polarizzazione fra il contratto a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato. Che ha funzionato, parzialmente, finché c’è stato un forte incentivo alla stabilizzazione. Appena venuto meno questo, il percorso si è interrotto. L’altra molla era il contratto a tutele crescenti, ovvero meno vincoli sul licenziamento per spingere verso la stabilizzazione. Il Jobs act è stata l’ultima grande scommessa liberista sul mercato del lavoro di una serie che inizia negli anni Novanta, e a cui la sinistra ha partecipato. La scommessa era già persa pochi anni dopo l’approvazione, tant’è che al congresso del 2017 in cui mi candidai segretario si poneva già il suo ripensamento. Ripristinare l’articolo 18 così come era sarebbe forse anacronistico, ma è comunque necessario intervenire perché diverse sentenze della Consulta hanno messo in luce le gravi incongruenze del Jobs act. L’ultima, dello scorso luglio, ha esortato il parlamento a intervenire per mettere mano a queste incongruenze. Aggiungo che sul tavolo, con quella maggioranza che reggeva Draghi, c’era rendere più caro l’utilizzo del lavoro a tempo determinato rispetto a quello del lavoro stabile insieme al superamento di alcune tipologie contrattuali.
Eravate d’accordo con il M5s?
Sì, certo. Ma per ripristinare la verità storica ricordo che erano iniziative del Pd.
Il Pd dichiara finita anche la fascinazione per Blair. Non è tardi?
Non è mai troppo tardi. Averlo fatto in modo esplicito e chiaro è un segno forte. Non contro la persona di Blair ma contro una stagione nella quale si è pensato che il mercato avrebbe risolto da solo le sue contraddizioni. Una stagione che ha condizionato la sinistra europea, e ha anche il volto di Schröder. Ma mentre nel resto d’Europa iniziava il ripensamento, la sinistra italiana, fra il 2014 e il 2016, ha avuto un ritorno di fiamma. Spento dalla lezione della pandemia.
Erano gli anni di Renzi. Oggi fa campagna contro il Pd. Perché?
Lo chieda a lui. Il terzo polo si caratterizza solo per gli attacchi contro il centrosinistra. Il sospetto è che si candidi a fare la mosca cocchiera del centrodestra, in caso di vittoria, come elemento di garanzia sul fronte dell’europeismo e dell’affidabilità atlantica.
Renzi vuole abolire il reddito di cittadinanza, bandiera grillina. Perché invece voi lo difendete così tiepidamente?
Invito a leggere i verbali del Consiglio dei ministri. Quello che si è assunto l’onere più significativo di respingere l’assalto al reddito sono stato io, con la sponda talvolta del ministro Brunetta. Il M5s ha accompagnato questa azione e in alcuni casi è stato silente. La loro attenzione era prevalentemente rivolta alla difesa del 110 per cento. Una misura non particolarmente redistributiva. La caratterizzazione sociale del M5s si è accentuata molto dopo la rottura con Draghi.
Sul salario minimo eravate a buon punto prima che cadesse il governo. Ora che succede?
Se vincerà la destra se ne fa nulla. Meloni lo ha definito uno specchietto per le allodole. È stata chiara.
Perché l’agenda sociale del Pd sarebbe più credibile di quella del M5s?
Perché è la conseguenza dell’azione che abbiamo svolto nel governo Draghi in modo costante, frutto di una riconsiderazione strutturata delle posizioni della sinistra che si collega a quella della famiglia del socialismo europeo, e non di un posizionamento occasionale. È positivo che i Cinque stelle si scoprano di sinistra, ma per anni hanno teorizzato di non essere né di destra né di sinistra. E hanno sostenuto alcune battaglie di destra.
Conte dice che solo lui può essere votato dalla sinistra.
C’è un pizzico di presunzione e un difetto di memoria. Nella fase dell’interlocuzione con Trump e nell’alleanza con Salvini emergeva meno questo aspetto. Saluto questa sua nuova fase, ma forse ha bisogno di consolidarsi un po’ per essere credibile. Peraltro tutte le misure che rivendica sono frutto di un asse con il Pd nel Conte II. Quelle che rimprovera di non aver realizzato al governo Draghi, non lo erano state nemmeno dal suo, con una maggioranza più omogenea.
Come finiranno le tasse sugli extraprofitti?
Non c’è alternativa a lavorare sull’esigibilità di quei crediti e ad allargare il campo. Serve un intervento che redistribuisca, coordinandolo a livello europeo.
A Cernobbio gli industriali hanno applaudito Carlo Calenda. Per loro è più affidabile di voi?
La grande impresa italiana, è naturale, è più vicina alle posizioni liberiste. Calenda peraltro ha una storia intrecciata a quella di Confindustria. In una platea analoga avrebbe ottenuto più applausi Giovanni Malagodi che non un esponente del socialismo. Ma tutti hanno apprezzato la serietà e il rigore di Letta rispetto alla strana coppia Meloni-Salvini che sosteneva cose opposte sulle politiche internazionali. L’applausometro non è un metro risolutivo.
Per riconquistare i lavoratori parlate del cuneo fiscale. Dovrebbe farli sognare?
La parola che usiamo è “salari” e non si risolve nel cuneo fiscale. Che è uno strumento da accompagnare ad altri, contratti di qualità diversa, salario minimo. Per l’operaio, l’impiegato, l’insegnante la parola d’ordine è una politica di sostegno ai salari.
Caso Wärtsilä: nonostante i tanti annunci, la delocalizzazione è ancora uno sport praticato.
In un’economia di mercato non si riesce a impedire le chiusure o le rilocalizzazioni. Serve rendere più selettivi gli interventi sulle politiche industriali. E fare in modo che la dismissione non coincida con la deindustrializzazione: o avere il tempo per far cambiare idea all’impresa o per consentire che la dismissione consenta l’ingresso di altri soggetti. Qui chi se ne va, spesso, non vuole che arrivi un concorrente al posto suo, lasciando il deserto.
In settimana il suo governo varerà un decreto per aiutare chi soffre il caro energia. La Lega chiede lo scostamento di bilancio.
Il Mef sta cercando le risorse. Va detto che qualunque cosa si farà sarà molto meno di quello che si sarebbe potuto fare se M5s, Lega e FI non avessero fatto cadere il governo. Uno scostamento di bilancio senza un governo forte è rischioso. Si può fare solo con un’interlocuzione da una posizione di forza con l’Ue e con i mercati. Ma se la devi fare in una fase in cui stai facendo gli scatoloni, il rischio dei contraccolpi finanziari è molto grave.
Dal 26 settembre si riaprirà il dialogo con i Cinque stelle?
Ora siamo concentrati sul risultato. La legge elettorale, che ha scritto un importante esponente del terzo polo, è fatta apposta per produrre polarizzazione. Nei collegi uninominali vince chi arriva primo, il secondo e il terzo non hanno neanche un premio di consolazione. Quindi il modo migliore per aprire un qualsiasi dialogo sul futuro è fermare la destra, e per farlo bisogna votare il candidato del Pd. Oppure semplicemente: se volete battere la destra in ogni collegio votate quello che risulta secondo nei sondaggi.
Il Pd poteva ricucire con il M5s?
Le condizioni per un accordo erano al lumicino, ma un minuto dopo la caduta del governo il M5s ha scelto una strategia di attacco al Pd. Ne abbiamo dovuto prendere atto. Lo dice uno che ha lavorato contro la rottura.
Puntate a vincere o ad avere un Pd primo partito?
Le due cose coincidono, un Pd primo partito è un Pd che vince molti collegi. E riapre la partita.
FdI è una destra nostalgica?
Il fatto di non voler superare il simbolo della fiamma tricolore è un indizio. È il simbolo di un partito che si rifaceva esplicitamente all’esperienza della Repubblica di Salò. Se poi si dice che Meloni non vuole rompere con la famiglia di origine ma oggi ha migliori frequentazioni, non è neanche così. È a capo di un movimento che a livello europeo vede il partito di governo polacco produrre leggi messe in mora dalla Ue perché in contrasto con il rispetto dei diritti fondamentali.
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