- L’ex segretario si rivolge all’attuale leader del Pd:«Faccia una chiamata, un gesto per mettere insieme chi si sente di sinistra e M5s. Per Calenda ci sono i pragmatici e i coglioni. Per le destre è girato il vento».
- «Un campo progressista anche in Italia, ma è una dinamica mondiale, questo va detto a chi come Calenda dice che la divisione non è fra destra e sinistra ma fra pragmatici e populisti. In pratica quelli intelligenti e i coglioni. E chi è intelligente lo dice lui».
- «Sono stato fra i primi a sentire che arrivava la destra quando sembrava scomparsa, adesso dico che la destra sovranista si può battere perché nel mondo è girata l’aria. Hanno avuto la possibilità di governare e hanno fallito e perché si sono affacciati problemi – il Covid, la pandemia, il clima – dove ci vuole un esercizio collettivo».
«In queste amministrative i posti che alludono di più al perimetro della coalizione di centrosinistra sono Bologna e Napoli. Ma non bisogna fermarsi lì. Anche per uno come me che parte dal dato che la sinistra è inestirpabile. Non c’è mai riuscito nessuno, né il fascismo né il nazismo a estirparla. Quindi la domanda è: ma la prossima sinistra come la facciamo?».
Metti una sera Pier Luigi Bersani al Dragone, ristorante cinese zona piazza Bologna, nella capitale a parlare di sinistra. Chiamato da un’associazione, Istanza dem, che sembra un circolo del Pd ma con più iscritti. Bersani ha compiuto 70 anni ma alla definizione «vecchio saggio» si secca, «ha ragione Picasso, ci vogliono molti anni per diventare giovani». In cui la gioventù, a parte l’invidiabile forma fisica, si capisce che sta per la libertà di dire per dire per esempio, fuori dai cori della sinistra contro Salvini, che la riforma del catasto di Draghi lo lascia perplesso: «Non riuscire a dire che lo fai se non altro per creare più equità, non poterlo dire, già testimonia la natura di questa maggioranza». E rispondere sull’assalto alla Cgil che «gli antifascisti non possono finire perché ci sono i fascisti, e sull’antifascismo non c’è problema, si sta o di qua o di là, in mezzo non c’è spazio».
Attenti all’Ulivo
Ma qui si parla della sinistra, che Bersani definisce «campo progressista». Ha qualche perplessità sulle operazioni di ritorno all’antico, «non ho mai detto Ulivo due, e poi attenti che il Nuovo ulivo non diventi l’Unione, che è un’altra cosa», in riferimento ai natali nobili della coalizione del 1996 e all’ammucchiata di partiti di quella del 2006. E si parla di Enrico Letta, che di Bersani è stato il vice, a cui Bersani ha lasciato il posto di premier di un governo di larghe intese nel 2013, entrambi politicamente abbattuti dalla furia renziana (anni 2013 e 2014), ora stanno in due partiti diversi ma in rotta di avvicinamento. Letta invita Art.1 a partecipare alle Agorà democratiche. «Perché campo progressista? Ma è una dinamica mondiale, questo va detto a chi come Calenda dice che la divisione non è fra destra e sinistra ma fra pragmatici e populisti. In pratica quelli intelligenti e i coglioni. E chi è intelligente lo dice lui». Secondo Bersani, «la pandemia, il clima: tutte le destre del mondo sono scettiche, tutte le sinistre del mondo sono attive». E i Cinque stelle “né di destra né di sinistra”? «Bisogna lavorare perché ci sia un passaggio da com’erano a come possono essere. Né io li ho mai ammucchiati con la sinistra. Il campo progressista deve organizzarsi sulla base di un programma nuovo di quelli che si ritengono sinistra. E poi deve cercare un’alleanza con loro». Ma «il vero problema della sinistra è che a noi, credetemi, manca la consapevolezza che serve di una analisi nuova per vedere che fare».
La bolla della sinistra
«Non siamo in bolla con la dinamica che riorganizza tutta la gerarchia e tutte le forze in campo. La sinistra dice lotta alla disuguaglianza, ma come? Il processo tecnologico e la globalizzazione hanno veicolato la disuguaglianza attraverso la disarticolazione del lavoro e del welfare. Abbiamo una precarizzazione galoppante, e mille contratti nazionali. Quando sentite giustamente Landini che dice prima o poi bisognerà contrattare l’algoritmo, ha ragione in pieno».
Welfare, sanità. Delocalizzazioni: «È come fermare l’acqua con le mani. Diverso sarebbe se l’Europa dicesse: come posso buttar fuori Orbán perché viene meno ai principi della democrazia, siccome nei trattati c’è il concetto di “dialogo sociale”, una multinazionale che non lo rispetta la metto in infrazione con il rischio anche di tirarla via dal più grande mercato del mondo». Salario minimo, diritti. Insomma, un programma «che sappia di sinistra». Si discute anche di patrimoniale. Anche con Renzi, ma si intuisce perché non lo nomina; e con Calenda.
Faccia una chiamata
«Il punto è trovarsi, il Pd faccia una chiamata di quelli che si ritengono di sinistra, buttiamo giù un manifesto, quelli che partecipano diranno qual è l’esito politico: un partitone, una federazione, va bene tutto, ma riagganciamoci con l’hardware della sinistra che si chiama lavoro. Dentro il campo progressista ci vuole un propulsore di sinistra, una sinistra adatta ai tempi». Intanto però c’è il governo Draghi, «una situazione transitoria, sta affrontando bene l’emergenza sanitaria e anche alcuni aspetti di quella economica. Alle cose impossibili nessuno è tenuto, neanche Draghi. Come fai a fare una riforma fiscale con della gente che pensa alla flat tax e altra che pensa alla progressività?», vedasi anche riforma del catasto, insomma è «una situazione che non può innescare processi di riforma seri, quello che serve».
«I tempi stringono», secondo Bersani, «alla meglio abbiamo un anno davanti, alla peggio cinque sei mesi. L’astensionismo fa impressione, colpisce di più l’elettorato che dei Cinque stelle e della Lega. Che erano una novità, e hanno deluso. Ma pensiamo che non ci sia più bisogno di questa novità?». «Siamo ancora in una fase nella quale ci può essere una qualche onda, che non si sa da dove viene. Per questo c’è l’urgenza di interpretare noi una novità credibile, solida. Ma come fai a produrre una novità se non accompagni un gesto politico visibile, una novità programmatica apprezzabile?». Insomma le Agorà di Letta non bastano: «Andrò alle Agorà ma attenzione che non diventino solo un rito partecipativo: il sillabario del programma deve darlo qualcuno, non puoi tirarlo su come tiri sul il pesce con la rete. E poi si consulta tutto il mondo». «Sono stato fra i primi a sentire che arrivava la destra quando sembrava scomparsa» – la famosa “mucca nel corridoio” – «adesso dico che la destra sovranista si può battere perché nel mondo è girata l’aria. Hanno avuto la possibilità di governare e hanno fallito perché la globalizzazione devi riformarla non puoi negarla, con protezioni e muri, e perché si sono affacciati problemi – il Covid, la pandemia, il clima – dove ci vuole un esercizio collettivo».
Questo non vuol dire che la sinistra è destinata a vincere: «C’è una situazione sospesa, si vede un grado di incertezza, anche di scoglionamento, disaffezione, di smobilitazione dell’elettorato. Bisogna metterci una novità. Se non lo capiamo possiamo fare una cosa all’ultimo momento, possiamo anche farcela per un pelo, ma non avremo la spinta. Io ho girato durante le amministrative, piccoli e grandi centri, dove c’è una novità, c’era più movida, dove non c’è prevale l’idea del meno peggio, senza entusiasmo, lo si sente a pelle», caro Letta, «vediamo di fare uno sforzo».
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