Ministro Crosetto, in che clima cade questo 2 giugno, a ridosso delle elezioni europee?

Le elezioni, in Italia, sono un’abitudine antica…Si tennero anche il 2 giugno del 1946, per eleggere l’Assemblea costituente, in contemporanea col referendum istituzionale. Per la prima volta votavano anche le donne e il loro contributo a far vincere la Repubblica fu decisivo. È la festa di tutti noi, la festa degli italiani. Un bel film, C’è ancora domani, ce lo ricorda. Proprio quel film coglie quanto il capo dello Stato ha detto: «La Festa della Repubblica e la Costituzione sono la nostra declinazione del diritto alla felicità». La monarchia, che aveva avallato e permesso la dittatura, ma si era in parte riscattata con la destituzione di Mussolini e lo schierarsi con gli alleati, perse, e la Repubblica vinse. Invito, poi, a rileggere lo straordinario dibattito in seno alla Costituente, assemblea di cui erano membri, per dire, pure i qualunquisti. Che qualità, che livello, rispetto alle miserie degli scontri politici attuali.

Lo scontro è fisiologico o su alcuni punti come il 2 giugno tutti dovrebbero trovare un minimo comune denominatore?

Sì, tutti. È un giorno in cui abbattere tutte le barriere. E infatti ho voluto concedere questa intervista a voi non a caso, e suppongo che voi me l’abbiate richiesta con lo stesso spirito. Vede, la festa del 2 giugno ha una storia curiosa e poco conosciuta. È una festa “recuperata”. Negli anni Cinquanta e seguenti la sinistra non vi partecipava per scelta politica. Non amava l’aspetto militare della parata. Nel 1977 la festa fu soppressa e la parata militare anche, poi ripristinata, ma in formato ridotto, poi eliminata. La festa e la parata militare furono ripristinate per volontà non di un nostalgico del fascismo, ma del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ex partigiano, nel 2001, per riaffermare un principio che ho a cuore, il “patriottismo repubblicano”. Il ministro della Difesa che lo accompagnò, nel 2000, alla prima rinnovata parata, seduto sulla Flaminia, era Sergio Mattarella. Fu un successo di popolo, oltre che di pubblico. I loro obiettivi restano i miei: rafforzare l’unità nazionale, richiamare l’importanza dell’identità, della memoria storica e dell’orgoglio degli italiani per la Patria e la Costituzione. Spero che tutte le forze politiche vi si riconoscano in essi e, per un giorno, lascino nei cassetti polemiche pretestuose.

Eppure, questo governo mostra reticenze su altre feste nazionali, come il 25 aprile, o su stragi di Stato, come Brescia. Perché è ancora faticoso fare i conti con la storia?

A me non pare proprio. Guardi, lo Stato era a Brescia col suo esponente più alto, Mattarella, per ricordare e ammonire sulle stragi di ieri, e la premier era a Caivano per ricordare l’impegno dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata, le mafie, di oggi. Alla Camera dei deputati è stato ricordato, solennemente, l’ultimo discorso del deputato socialista Giacomo Matteotti. La Meloni ha parlato di «un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee». Parole chiare. Sommessamente, vorrei ricordare che Matteotti era un socialista riformista: credeva nel gradualismo delle riforme. E questo rafforza ancor di più il valore del suo martirio e delle sue denunce contro brogli e violenze, la sua coraggiosa lotta contro chi cercava di soffocare la democrazia. La condanna del regime fascista, come di ogni totalitarismo, fascista o comunista, è il discrimine cardine della Costituzione. La Resistenza è stata un’epopea civile e, anche, militare. Migliaia di soldati italiani sono morti, trucidati, per onorare il loro giuramento alla Patria, a Cefalonia, sulle montagne, nei campi di concentramento. Io li ricordo ogni 25 aprile.

La frizione tra governo e opposizione è massima, come testimoniano i toni sulla riforma del premierato.

Penso che riformare la Costituzione nella sua seconda parte, quella che riguarda l’ordinamento dello Stato, rispettando sempre l’equilibrio dei poteri ma facilitando un ruolo più centrale e decisionale del premier, sia legittimo e soprattutto necessario per consentire, a chiunque governi, di poterlo fare al meglio. La prima parte, quella sui principi fondamentali, non intende toccarla nessuno. Tante, troppe, commissioni bicamerali sulle riforme, o riforme in sé, spesso propugnate dalla sinistra, hanno fallito, ma anche loro ritenevano inadeguato l’attuale assetto istituzionale. Spero che, questa volta, ricercando il massimo del consenso possibile, si riesca a fare un passo avanti. Ma accusare il governo di “deriva fascista” per voler riformare i poteri del premier è ridicolo. Anche D’Alema e Renzi erano accusati di «golpismo istituzionale». Meloni è in buona compagnia.

Che ruolo sta giocando l’Italia in un panorama globale di enorme instabilità, tra guerra in Ucraina e in Medio Oriente?

Un ruolo importante non riconosciuto solo a casa nostra. Lavoriamo per la pace, ogni giorno. Aiutiamo l’Ucraina a difendersi, ma abbiamo – e ho, personalmente – favorito la missione di pace vaticana di monsignor Zuppi e altri tentativi anche in questi giorni difficili. Il pallino però è in mano alla Russia: il giorno che smetterà di bombardare l’Ucraina si potrà ragionare su un cessate il fuoco e poi su trattative di pace, nel rispetto del diritto internazionale violato. Per quanto riguarda Gaza, siamo stati i primi, se non gli unici, a mandare aiuti concreti alla popolazione civile, a curare donne e bambini, e altro ancora faremo. E insistiamo, ogni giorno, con Israele, per fermare l’offensiva a Rafah.

Auspica la creazione di un esercito comune europeo?

Una difesa comune europea, cioè una sola grande organizzazione federale, non è all’ordine del giorno. Una sempre maggiore integrazione tra le forze armate dei paesi Ue è, invece, possibile e molto auspicabile. Il modello migliore è quello Nato, dove l’interoperabilità tra marine, eserciti e aeronautiche di diversi paesi è già funzionante.

Lei si è opposto all’ipotesi di Stoltenberg, che chiede che le armi occidentali all’Ucraina possano essere usate in Russia.

Noi forniamo aiuti, anche militari, a una nazione aggredita, per difendersi e riconquistare la sua sovranità violata. La Costituzione, le leggi e la nostra postura internazionale non consentono, a mio avviso, di fare altro. Lo diremo ai nostri alleati in modo franco, leale, sereno, senza alzare i toni. Io penso che il dettato della nostra Costituzione ci dica, all’articolo 11, due cose precise: che l’Italia ripudia la guerra e, anche, che partecipiamo alle alleanze storiche in cui crediamo. Sono due parti dello stesso articolo. Per me significa che dobbiamo aiutare in ogni modo possibile l’alleato aggredito, ma che, non essendo in guerra, non possiamo consentirgli di utilizzare gli aiuti per colpire il nemico sul suo terreno.

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