In una cena carbonara in zona via Veneto la compagine d’area leghista dei dirigenti del servizio pubblico ha messo a punto la strategia per i prossimi mesi, con la speranza di portare a casa addirittura la presidenza, sulla carta già affidata a Simona Agnes in quota Forza Italia
Lo scontro finale sulla Rai si consumerà tra Fratelli d’Italia e Lega, con il partito di Matteo Salvini convinto di poter portare a casa se non la presidenza, almeno un amministratore delegato compiacente. Direttori e referenti d’area leghista si sono visti mercoledì sera a una cena in zona via Veneto per discutere i prossimi passi da fare per giocare al meglio le proprie fiches.
Chi c’era giura che tra i partecipanti non ci fossero politici («per lo meno non eletti in parlamento», scherzano). Ma a riferire il verbo salviniano c’era di certo Igor Di Biasio, consigliere uscente non più ricandidabile per aver raggiunto il numero massimo di mandati. Bisognerà agire a più livelli: a scegliere i membri sono parlamento, dipendenti e ministero dell’Economia.
Considerato che la Lega controlla il dicastero di via XX settembre il puzzle si complica. E allora, meglio anticipare i tempi per accampare pretese sulla presidenza in virtù di un gradimento più forte e un numero di parlamentari superiore a quello di Forza Italia. Anche l’attuale direttore generale Giampaolo Rossi sta spingendo per ridurre le settimane che lo separano dalla staffetta che – almeno secondo gli accordi dell’anno scorso – dovrebbe garantirgli il posto di amministratore delegato. «Meglio chiudere la trattativa subito, chissà quale sarà la situazione dopo le europee», dicono i dirigenti di rito meloniano in Rai.
Le tempistiche
Nei piani dei Fratelli d’Italia, dopo l’approvazione del bilancio in calendario per la metà di aprile e la successiva ratifica da parte dell’assemblea dei soci nella prima settimana di maggio, ogni giorno è buono per far insediare il nuovo cda. Alla cena, però, hanno calcolato che per concludere la pratica prima delle elezioni europee bisogna avviare le procedure già a marzo, visto che il parlamento ha bisogno di almeno due mesi a partire dal momento in cui si apre alla presentazione delle candidature.
I quattro consiglieri che spettano a Camera e Senato dovrebbero rappresentare FdI, Lega, M5s e Pd. Sempre che chi non ha un candidato di riferimento, come i partiti di centro o il gruppo misto, non decida di far convergere i propri voti su un indipendente. Quella interna al parlamento non è una trattativa da sottovalutare: nel 2021 è costata il posto da consigliere a Rossi perché Giorgia Meloni non era scesa a compromessi con i partner della destra. Una roba che a via della Scrofa ai leghisti non hanno mai perdonato.
Anche per l’elezione del consigliere in quota dipendenti servono circa 60 giorni. Restano poi i due nomi che farà il ministero di Giancarlo Giorgetti, di cui uno indicato come amministratore delegato. Per questioni di eleganza sembra improbabile che il Mef possa fare il nome del consigliere leghista. Nei calcoli che rimbalzano tra viale Mazzini e il parlamento si dà quindi per scontato che da via XX settembre esca il candidato di Forza Italia – quasi certamente Simona Agnes – e uno tra Roberto Sergio e Rossi. Il ticket Agnes presidente-Rossi ad è quello su cui FdI e FI si sono messi d’accordo da tempo. Da settimane viene segnalato un grande attivismo della consigliera uscente, ma la sua elezione non sembra più così scontata.
Durante la cena non si è però escluso un secondo scenario, alternativo alla conquista della presidenza, cioè il via libera ad Agnes in cambio della conferma di Sergio come ad. Ma perché si concretizzi devono allinearsi molti astri. Chigi dovrebbe accettare di mettere da parte lo storico referente di Meloni, conducendo Rossi verso altri incarichi: vero è che uno dei principali consiglieri della premier è l’amico Gian Marco Chiocci, che di Rossi e dei suoi scudieri Paolo Corsini e Angelo Mellone non è un grande fan, ma di qui a rimuoverlo ce ne passa. Ma c’è altro. «Rossi è un filosofo», si sono detti i dirigenti attovagliati, «i conti non sono il suo. Sergio il manager l’ha già fatto e risponde al telefono». Anche per dare una mano o fare qualche favore, è il ragionamento.
A cena si è discussa anche un’ulteriore possibilità: una volta costituito il nuovo cda non è necessario scegliere subito il presidente. Rimandare questa decisione a dopo le europee potrebbe essere una scelta intelligente.
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