Il primo settembre partirà il nuovo Centro per il rimpatrio di Pozzallo. «Non commentiamo perché non gestiamo i Cpr e non è questa per noi la soluzione. Siamo usciti dalla loro gestione, noi non l’appoggiamo». Per la Cri «Deve essere potenziato il servizio Sai (di accoglienza e integrazione), e se servono i Centri di accoglienza straordinaria»
Tornare a investire nell’accoglienza dei migranti. Il messaggio arriva dalla Croce Rossa Italiana, che sta gestendo l’hotspot di Lampedusa. Oggi c’erano 3.500 persone, fino a ieri quaranta donne incinte, oltre duecento minori non accompagnati: «Ma quello che ci preoccupa – dice il vicesegretario nazionale Ignazio Schintu – è il dopo, quando lasciano l’isola». Per adesso, racconta, «ci siamo focalizzati su come ovviare al problema, se fra due settimane il mare mosso bloccherà gli sbarchi ci dimenticheremo della questione, ma continuerà a esistere».
Ieri, il presidente, Rosario Valastro, ha scritto un post sui social: «Umanitarismo significa non solo dare da mangiare e da dormire. Significa rispettare la dignità umana che è l’anticamera di ogni politica non solo di accoglienza ma di sicurezza per chi ne è beneficiario e per le comunità locali».
E ha proseguito: «Investire in umanità è la strada che porta non solo il volontariato ma tutti a un diverso modo di fare accoglienza e politiche legate alle migrazioni. Mi auguro – conclude – che non solo l’Italia, già così messa alla prova, ma la comunità europea e internazionale tutta sappia rispondere con efficacia e sappia non cedere al caos».
Schintu spiega a Domani che per loro, mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi annuncia l’apertura di Centri per il rimpatrio in ogni regione, potenziare i Cpr non è la strada giusta. Dietro la mancanza di posti lamentata da regioni e comuni «è probabile che ci sia una questione economica». E il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino che racconta le difficoltà di raccogliere i rifiuti nella sua piccola isola, ma anche solo di pensare alla sepoltura delle persone giunte in Italia senza risorse «ha perfettamente ragione».
La fase emergenziale
Nelle scorse ore la Croce rossa ha dovuto affrontare l’emergenza nell’emergenza. Nell’hotspot si è arrivati a oltre 4mila presenze, con difficoltà nel lasciare l’isola, per via del mare mosso. «Più di cinquemila arriveremmo al collasso». Tuttavia, la diminuzione degli sbarchi per il cattivo tempo, e l’avvio delle operazioni di spostamento tramite nave e aereo ha permesso di tornare a una situazione più facilmente gestibile.
In realtà la struttura è nata per 800 posti. Con l’ausilio della Cri «abbiamo una cucina in grado di arrivare a 5mila 6mila pasti». Che va incrociata però alla questione bagni. Attualmente c’è una media di una tazza ogni 30 persone: «È chiaro che non è una struttura che può andare avanti con questi numeri oltre 72 ore». Finora sono riusciti a offrire tutto, doccia, mensa, supporto sanitario e psicologico. Non temono per la gestione dell’hotspot.
«In questo senso non dobbiamo pensare solo a Lampedusa, è solo un punto di passaggio. Dobbiamo pensare all’inclusione. Non sono solo numeri, come ha detto il presidente della Repubblica, ma anche esseri umani. Scappano da morte certa e da situazioni dove l’essere umano vale zero».
Nell’ultimo Cdm è stato ratificato l’accordo per la sede di Roma dell'Easo, l’Agenzia dell'Unione europea per l'asilo, un’agenzia che gestisce gli interventi europei a favore dei paesi più soggetti a flussi migratori; per anni c’è stato solo personale interinale a supporto dei tribunali. L’accordo è in gran parte solo confermativo del protocollo sulle immunità della Ue che già si applica. In sintesi, un atto dovuto.
«L’Europa deve essere parte integrante di questo processo. Anche perché molte persone cercano di andare in altri paesi», prosegue Schintu. A Lampedusa finora nonostante le difficoltà, sono riusciti a rendere dignitoso l’arrivo delle persone che superano il Mediterraneo.
È stato sempre presente il commissario Valerio Valenti, allo stesso modo il dipartimento libertà civili è stato molto attento, dice Schintu, così come procede in sinergia il lavoro con Unhcr, Unicef e Save the Children. Ma la macchina ha necessità di essere messa a punto: «Ogni emergenza è diversa dall’altra. Devono essere poi calibrate, bisognerà in qualche modo aumentare i trasporti. Ma il problema – ripete ancora una volta - è dopo».
No ai Cpr
Il primo settembre partirà il nuovo Cpr di Pozzallo. «Non commentiamo perché non gestiamo i Cpr e non è questa per noi la soluzione. Siamo usciti dalla loro gestione, noi non l’appoggiamo». Per la Cri «Deve essere potenziato il servizio Sai (di accoglienza e integrazione), e se servono i Cas», i centri di accoglienza straordinaria. Così come dare risposte certe ai migranti.
No fa valutazioni di spesa: «Dietro un numero c’è un essere umano, non gli possiamo dare un costo. E poi ci deve essere tutto un percorso che deve essere garantito a chi arriva. Però è chiaro che ridurre il rimborso a chi sene occupa, come associazioni e cooperative, porterà a non avere chi gestirà questo genere di attività». Alcuni servizi «sono stati limitati».
Il merito di questo governo, prosegue, «è dire che c’è un’emergenza». Adesso bisogna passare «all’inclusione, la parola integrazione non si usa più. Queste persone sono una risorsa». E «servono scelte economiche precise. Si è passato da rimborsi altissimi, alla parte opposta, bassissimi. Dalla mancanza dei controlli ai controlli esasperati. E non è stato creato il seguito. Ci si è concentrati su come non parlare del problema». Va fatta una politica «di pianificazione».
E adesso si dovrebbe pensare anche di «andarli a prendere per mano, e questo lo devono fare tutti i paesi, e a una missione europea di salvataggio. Ognuno potrebbe prendere delle quote: stiamo parlando di 120mila persone non è un numero che non si può affrontare. Solo in Italia abbiamo 8mila comuni».
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