- Nella notte di venerdì, dopo giorni di navigazione difficilissimi, la Ocean Viking è arrivata nel porto di Augusta.
- A bordo della nave della ong Sos Méditerranée ci sono 572 naufraghi raccolti nel Mediterraneo centrale.
- Complicato effettuare il test anti Covid a tutti. I migranti potrebbero dover rimanere a bordo per giorni in condizioni impossibili.
«Un delirio». Inizia così il racconto dalla nave Ocean Viking che venerdì, dopo giorni di navigazione, ha attraccato al porto di Augusta. Un delirio perché non si sa quanto tempo servirà per fare il test per il Covid a tutti i 572 naufraghi raccolti dalla ong Sos Méditerranée che saranno così costretti a scendere a terra e poi tornare a bordo perché sulla nave manca lo spazio fisico per poter effettuare i tamponi.
Nel frattempo hanno iniziato a sbarcare i più fragili. «Abbiamo a bordo un pupo di 4 mesi, due ragazzi paraplegici uno dei quali in sedia a rotelle, che sono a bordo dal primo salvataggio e cioè da undici giorni, abbiamo donne incinte, abbiamo persone ferite da spari, abbiamo persone ustionate. Circa 150 minori non accompagnati. Un delirio». Appunto.
Le violenze libiche
«Le donne portano in grembo il “frutto” delle violenze subìte nelle prigioni libiche. Donne e uomini hanno ferite da arma da fuoco perché sono stati colpiti dalle pallottole dei carcerieri e delle guardie libiche, magari pallottole prodotte in Italia e poi regalate dal nostro governo».
Moltissimi dei naufraghi raccolti hanno ustioni anche gravi causate da quella devastante miscela che si forma quando acqua salata e benzina si mescolano producendo un liquido pericolosissimo.
Di quel liquido era pieno il fondo della barca del terzo dei quattro soccorsi effettuati in questa missione della Ocean Viking. «Un salvataggio casuale. Il barchino, di legno, non era stato segnalato da nessuno degli aerei della società civile che fanno spotting sul Mediterraneo centrale e tantomeno dalle autorità. Lo abbiamo visto per caso: un puntino bianco nella immensa vastità deserta. Erano le sette di sera quando uno dei volontari che costantemente monitorano il mare con i binocoli lo ha notato. Ci siamo avvicinati con i gommoni dopo aver capito che era un’imbarcazione. A bordo c’erano 26 persone. Non un telefono, non una radio, non un gps. Nulla per comunicare la loro disperata situazione. Sul fondo della barca c’erano già 20 centimetri di acqua e benzina. Erano le sette di sera, per fortuna il mare era ancora calmo. Alle dieci c’era un metro e mezzo di onda. Non li avessimo trovati sarebbero tutti morti annegati. La maggior parte di loro erano minori. Non sarebbero nemmeno finiti nelle statistiche che contano i morti e i dispersi, perché nessuno sapeva che fossero in mezzo a quel nulla infernale che può diventare il Mediterraneo centrale quando sei in una situazione come quella».
Gli invisibili
Quando chi opera sulla frontiera più assassina del mondo dice che le cifre ufficiali sono enormemente sottostimate lo fa perché è stato testimone diretto della casualità di certi salvataggi, e perché solo stando in mezzo a quel mare ci si rende conto di quanta fortuna ci vuole per essere visti nel mezzo del nulla se non si hanno mezzi per comunicare, è capitato anche a chi scrive.
«È stata davvero una missione durissima», raccontano ancora da bordo mentre la Ocean Viking entra nel porto di Augusta. «Era notte quando abbiamo fatto l’ultimo soccorso, uno dei più numerosi degli ultimi anni: una wooden boat con a bordo 369 persone. Un delirio».
Le wooden boat sono le imbarcazioni di legno che hanno ricominciato ad attraversare il Mediterraneo, o quantomeno a provarci. Molto più grandi dei gommoni, erano scomparse negli ultimi quattro anni dalla rotta libica.
Da qualche tempo sono ricomparse, segno che i libici - che gestiscono i flussi di persone per ottenere regalie oppure più distrazione verso i loro traffici di petrolio e armi di contrabbando - stanno spingendo per ottenere qualche cosa dall’Italia e dall’Europa.
«Ma quattro anni fa, quando si trattava di soccorrere una wooden boat in difficoltà, intervenivano più navi, o delle ong o delle marine militari o della guardia costiera. Insomma c’era un coordinamento, perché gestire un trasbordo di centinaia di persone è una impresa davvero difficile e rischiosa».
Il barcone era stato visto da un aereo di Pilotes Volontaires durante il giorno. Ma quando la Ocean Viking è arrivata in zona, era già notte. «Ci siamo messi a pattugliare la zona sia con i gommoni sia con la nave. Ma per quanto possa essere grande una imbarcazione, di notte è come cercare un ago in un pagliaio».
La luce che può emettere una wooden boat arriva a un miglio e mezzo, forse due. E la zona che i volontari di Sos Méditerranée si sono trovati a pattugliare era di molte decine di miglia. «Nel nostro caso si trattava, in sostanza, di trovare una lucetta in mezzo al nulla. È andata bene, l’abbiamo trovata. Ma era tanto fioca che credevamo fosse una boa. Quando abbiamo acceso le nostre torce, ci siamo trovati davanti a una imbarcazione che dai gommoni pareva enorme. Abbiamo impiegato quasi sei ore per fare il trasbordo di tutti i naufraghi. Ci sembrava che non finissero mai, perché tanti caricavamo sui gommoni tanti salivano da sottocoperta. A un certo punto si sono messi a vomitare tutti, perché erano troppo compressi gli uni sugli altri. Un delirio. Abbiamo fatto avanti e indietro più di trenta volte con due gommoni per portarli tutti a bordo della nostra nave. Noi ce l’abbiamo fatta, ma è davvero assurdo che si sia rimasti soli, che non ci siano le istituzioni a operare i salvataggi. E che poi, per giunta, ci abbiano fatto attendere tutto questo tempo per assegnarci un porto di sbarco».
Enrico Letta nel 2015 twittava: «Ripristinare Mare Nostrum. Che gli altri paesi europei lo vogliano oppure no, che ci faccia perdere voti oppure no». Speriamo che non abbia cambiato idea, e che ripensi anche alla concessione del finanziamento italiano alla cosiddetta guardia costiera libica.
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