Ai bambini prima di dormire le mamme un tempo raccontavano la novella dello stento. Che dice così: «La novella dello stento che dura tanto tempo la vuoi sentir?» Se il bambino rispondeva sì, la madre riprendeva: «Non si dice sì alla novella dello stento che dura tanto tempo, la vuoi sentir?» Se il bambino a quel punto rispondeva no, la madre invertiva la tiritera «non si dice no alla novella dello stento...», innescando un andamento che sarebbe potuto durare all'infinito se il bambino nel frattempo sfinito non avesse chiuso le palpebre finalmente cotto.

Sembra un'inconcludente novella dello stento raccontata al governo, ai politici, alle imprese, ai cittadini anche la ponderosa relazione di 156 pagine elaborata da un gruppo di lavoro composto da professionisti di chiara fama incaricati dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (ora Mims, ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili) di fornire l'ennesima valutazione tecnica sulla fattibilità del «collegamento stabile» sullo Stretto di Messina. Il famoso o famigerato (dipende dai gusti) ponte tra la Calabria e la Sicilia ma anche, perché no, il tunnel sottomarino, se si vuole essere più fantasiosi, di cui si parla in Italia da almeno un secolo, spesso inutilmente a vanvera.

L'impegnativo documento più che avere l'ambizione di rappresentare una pietra miliare nella secolare querelle, si offre come un approdo temporaneo, più mobile che fisso e può soddisfare sia chi dice sì sia chi dice no, tutti e nessuno.

Nella interminabile contesa tra guelfi favorevoli alla grande opera e ghibellini contrari, i guelfi possono trovare motivi di soddisfazione dopo la gelata di quasi un decennio durante il quale sembrava che il progetto per il collegamento stabile tra Reggio Calabria e Messina fosse definitivamente tramontato.

E' a pagina 148 che viene riaccesa vivida la fiamma per i tifosi dell'opera, una schiera vasta che accomuna molti governanti, politici e normali cittadini, le grandi imprese di costruzione e drappelli di ingegneri, finanzieri, affaristi e professionisti. C'è scritto: «Il gruppo di lavoro ritiene che sussistano profonde motivazioni per realizzare un sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina». Cioè, le due sponde devono essere collegate con un ponte o un un qualcosa di equivalente, purché stabile.

Il ponte a più campate

Ma di che tipo di «attraversamento stabile» si tratta? Qui il gruppo di lavoro introduce una novità dirompente che forse senza intenzione porta di fatto acqua al mulino di chi è contrario e convinto che l'opera alla fine non si farà mai. La novità si chiama «ponte a più campate» e nella primavera 2021 fa il suo ingresso trionfale e ufficiale nella babele di soluzioni che nel corso dei decenni si sono rincorse facendo spesso a pugni l'una con l'altra. Almeno in tempi moderni finora si era parlato sempre e solo di ponte a campata unica, 3 chilometri e trecentotrentatre metri sospesi sullo Stretto per unire la periferia di Reggio Calabria agli stagni messinesi di Ganzirri.

Per il ponte a campata unica sono stati eseguiti per decenni studi, analisi tecniche, progetti, valutazioni idrogeologiche e sismologiche, verifiche di impatto ambientale ed era stato firmato addirittura un contratto con i costruttori. Il tutto con una spesa stratosferica di 350 milioni di euro senza che fosse posata neanche la prima pietra.

Il gruppo di lavoro ministeriale ritiene però che non basta: «Il progetto del ponte a campata unica andrebbe comunque adeguato ai risultati di nuove indagini, alle nuove normative tecniche per le costruzioni e alle più recenti specifiche tecniche di interoperabilità inerenti al sottosistema infrastruttura e sicurezza delle gallerie ferroviarie». Che tradotto vuole dire: se volete fare il ponte a campata unica «l'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare», come avrebbe detto Gino Bartali.

Meglio il «sistema con ponte a più campate che consentirebbe di localizzare il collegamento in posizione più prossima ai centri abitati di Messina e Reggio Calabria, con conseguente minore estensione dei raccordi multimodali, un minore impatto visivo, una minore sensibilità agli effetti del vento, costi presumibilmente inferiori e maggiore distanza dalle aree naturalistiche pregiate».

Ripartire da zero

Un progetto del genere sarà forse anche migliore dell'altro, ma al momento ha la non trascurabile caratteristica di non esistere anche se è destinato a produrre un effetto travolgente: per fargli posto deve essere buttato via tutto l'enorme lavoro fatto per il ponte a campata unica e bisogna ripartire da zero. Considerate insieme, le due valutazioni portano a un'unica immancabile conclusione: in linea teorica e di principio è opportuno il ponte si faccia, ma nel concreto ci sono almeno due soluzioni a confronto, la prima avrebbe bisogno di una revisione da cima a fondo, la seconda è da inventare di sana pianta dagli studi preliminari, ai progetti, ai permessi.

Di conseguenza in un caso o nell'altro i tempi di realizzazione sono inevitabilmente lunghi e più che incerti. Tutto ciò significa di fatto che la prima pietra del «collegamento stabile», ammesso che una prima pietra ci sarà, potrà essere collocata non prima di almeno un decennio. Quindi è escluso possa essere finanziata con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ha un arco temporale di validità fino al 2026.

Anche le schiere dei contrari possono quindi trovare i loro buoni motivi di soddisfazione per l'ingresso in campo della nuova opzione del ponte a più campate che sembra il prodromo dell'ennesimo aborto della grande opera. Così come contenti possono essere anche stuoli di studi di ingegneria, gli uffici di geologia, i sismologi, le società di consulenza e insomma tutta quella congerie di professionisti e tecnici che gira intorno a un'opera così mastodontica e discussa. I quali grazie proprio all'ambivalenza della moderna novella dello stento vedono dischiudersi praterie contrappuntate da nuove parcelle per nuove consulenze, nuove valutazioni, nuovi progetti, nuove analisi pro ponte a campata unica o pro ponte a tre campate, o per analisi comparate dei due sistemi.

Infine, conclusioni del genere non possono non piacere alle grandi imprese di costruzione per le quali si apre di nuovo una finestra di speranza. E infine anche i politici, soprattutto calabresi e siciliani, hanno di che essere contenti perché il tema del «collegamento stabile» ritorna e più di prima può accendere inesauribili e contrapposti argomenti da comizio.

Palla in tribuna

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Vista da questa angolazione la ponderosa relazione dei tecnici incaricati dal ministero somiglia a quella ambigua di PricewaterhouseCoopers del lontano 2001 ed è nei fatti un mirabile esempio dell'arte del «qui lo dico e qui lo nego» o, se preferite, del buttare la palla in tribuna. I tecnici si sono presi molto tempo per riflettere in maniera approfondita sulla delicata faccenda, più di 8 mesi.

Il gruppo di lavoro è stato istituito il 27 agosto del 2020 dalla ministra di allora, Paola De Micheli (Pd), nell'ambito di un governo bicefalo Pd e 5 Stelle assai diverso da quello ecumenico di oggi (tutti dentro tranne Fratelli d'Italia). Allora l'orientamento verso il ponte era ondivago, ma più spostato verso un no per effetto dell'opposizione senza quartiere dei 5 Stelle subita dall'alleato Pd più pro bono pacis che per convinzione.

La relazione è stata consegnata il 30 aprile del 2021, quando il committente governo, diciamo così, aveva cambiato pelle assumendo un colore indecifrabile. L'orientamento politico prevalente per il ponte è mutato rispetto a prima: l'area del no si sta restringendo per effetto dell'ingresso in maggioranza della Lega, del tormentato e clamoroso cambio di indirizzo in corso tra i 5 Stelle e della maggiore spigliatezza sulla questione che ne consegue per il Pd.

Anche il ministro non è più lo stesso: il Pd si è tenuto stretto il ministero, ma al posto della De Micheli ha scelto una figura considerata più tecnica, l'ex presidente Istat Enrico Giovannini presentato anche come economista. La relazione tecnica non è stata elaborata nell'iperuranio e per quanto autorevoli e indipendenti nelle loro valutazioni i tecnici non hanno vissuto in questi mesi nel vuoto di un'ampolla di cristallo. Inevitabilmente hanno avvertito gli echi prodotti dai cambi di persone e scenari politici e forse inconsapevolmente si sono adeguati ritenendo che non è più tempo dei no perentori al ponte, ma neanche è tempo di azzardati sì senza condizioni.

I balbettii della politica

Dopo essersi rivolta ai tecnici, la buona politica dovrebbe comunque accollarsi il compito di decidere prendendosi la responsabilità di mettere fine all'estenuante novella dello stento. Proprio alla responsabilità dei politici si rivolgono in ultima istanza gli stessi componenti del gruppo di lavoro ministeriale quando scrivono che «le nostre attività sono dedicate al supporto tecnico alle attività decisionali più propriamente politiche... in termini di motivazioni socio-economiche e trasportistiche».

Ma la politica dà l'impressione di non avere alcuna voglia di decidere, almeno non subito, e di usare proprio le conclusioni tecniche come un machiavello per sottrarsi al dovere delle scelte.

In un'intervista a Massimo Giannini, direttore della Stampa, il ministro Giovannini prefigura, per esempio, la necessità di nuove e si suppone lunghe e laboriose analisi sismiche come conseguenza delle conclusioni del gruppo di lavoro. Siccome accanto all'ipotesi del ponte a campata unica ora i tecnici avanzano pure quella del ponte a più campate, secondo il ministro sarebbero necessarie altre indagini sui terremoti nell'area nonostante le ipotetiche collocazioni delle opere distino appena qualche centinaio di metri l'una dall'altra. Sempre secondo il ministro alla fine «seguirà il dibattito», pubblico naturalmente e di certo aperto a tutti gli apporti, approfondito e lungo.

Che la faccenda del ponte appaia una sfibrante novella dello stento è dimostrato anche da altre circostanze. Nel drappello di 16 tecnici che hanno elaborato la relazione c'e anche chi più che un tecnico è un amministratore pubblico con un mandato politico e una vicinanza particolare al partito che lo ha scelto. E' Massimo Simonini, amministratore e direttore generale dell'Anas, voluto dai 5 Stelle.

Dire che Simonini è un personaggio di parte relativamente al ponte e quindi si trova in palese conflitto di interessi forse è dire poco perché Simonini è addirittura capo dell'azienda che il ponte l'ha sempre voluto essendo proprietaria della Stretto di Messina, società creata apposta per costruire la grande opera. Simonini ha messo la firma sul documento del gruppo di lavoro ministeriale che riporta in vita l'idea del collegamento stabile, ma di fatto accantona il progetto del ponte a campata unica concepito dalla Stretto di Messina, cioè dall'Anas. E anche questo è un bel paradosso.

Contenzioso doppio

Nei tempi in cui sembrava che l'avvio dei lavori per il ponte fosse certa, l'amministratore della Stretto di Messina era Pietro Ciucci che allo stesso tempo era amministratore dell'Anas. Per dire quanto l'azienda pubblica delle strade ora inglobata nelle Fs abbia sempre tenuto nella massima considerazione quell'opera è sufficiente ricordare che quando la società Stretto di Messina fu messa in liquidazione dal governo del «tecnico» Mario Monti il 15 aprile del 2013, Ciucci, manager di solito ossequiente verso gli orientamenti di ogni governo, con uno strappo rilasciò a tambur battente una dichiarazione perentoria per dire tutto il contrario: «Il Ponte è un'opera necessaria».

Della società Stretto è rimasto il simulacro, le operazioni di liquidazione sono di fatto completate e sono lontanissimi i fasti dei tempi in cui essa aveva decine di dipendenti, tecnici, ingegneri, funzionari e occupava tutta un'ala dell'immobile che a Termini a Roma sovrasta l'atrio della stazione. Tutt'oggi quando c'è bisogno del lavoro di qualcuno per qualche remota attività residua è ancora la controllante Anas a mettere temporaneamente qualche suo dipendente a disposizione. Ma è poca roba.

La Stretto di Messina non è stata del tutto cancellata perché paradossalmente è tenuta in vita da un doppio contenzioso alimentato proprio dalla sua soppressione. Un duplice braccio di ferro avviato la bellezza di 8 anni fa sul quale chissà se potranno avere effetti (e quali) le conclusioni del gruppo di lavoro ministeriale.

Nella prima contesa la Stretto di Messina chiede allo stato che le vengano riconosciuti gli investimenti di 350 milioni di euro effettuati nel corso di più di un quindicennio. Il secondo e più robusto contenzioso contrappone la Stretto di Messina alle aziende con cui aveva stipulato contratti per la costruzione del ponte. In ballo c'è una grossa cifra, la bellezza di circa 800 milioni di euro in totale, pretesi in misura minore dalla società project manager, l'americana Parson Transportation Group e in larga misura dal contraente generale Eurolink di Salini-Impregilo che con 35 mila dipendenti è la più importante società italiana di costruzione di grandi opere e da non molto ha cambiato nome diventando Webuild dopo che nel capitale sono entrate Cassa depositi e prestiti del ministero dell'Economia e le maggiori banche nazionali, da Intesa a Unicredit.

Con l'Anas di Simonini fila d'amore e d'accordo il sottosegretario alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri, un politico siciliano iperattivo che ha sposato la causa del fare, soprattutto nel sud, voltando le spalle all'assioma grillino per cui le grandi opere sono (quasi tutte) figlie del demonio e in particolare il ponte sullo Stretto, figlio del diavolo Berlusconi e della aborrita stagione della legge Obiettivo del 2001.

E' stato Cancelleri mesi fa il primo 5 Stelle ad abbattere il tabù del no ponte con annesso il corollario del no all'alta velocità. Allora la sua ad alcuni era sembrata la fuga in avanti di un politico intraprendente e disinvolto che però rappresentava solo se stesso.

L’intraprendente sottosegretario

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Non è stato così, Cancelleri le truppe le sta trovando e dentro il Movimento 5 Stelle lacerato ormai su tutto si è aperta anche la faglia delle grandi opere. Il sottosegretario grillino ha dalla sua buona parte del movimento siciliano e trova sponda nell'ala governista che fa capo al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. E ha contro i capi calabresi che si professano ortodossi verso i valori fondanti e hanno come alleati naturali Davide Casaleggio e la corrente tradizionalmente movimentista. Cancelleri dal ministero si è affacciato su un mondo sconosciuto ai 5 Stelle e ha familiarizzato con i concessionari e i costruttori delle grandi opere, quelli che un tempo gli stessi 5 Stelle avrebbero liquidato come i poteri forti da scansare e combattere.

Già prima che arrivassero i soldi del Recovery Plan Cancelleri aveva lanciato la proposta di prolungare l'alta velocità da Salerno a Reggio Calabria e poi in Sicilia da Messina a Palermo e da Messina a Siracusa. Senza il ponte tra Calabria e Sicilia quei progetti erano sembrati un controsenso propagandistico, ma grazie al PNRR l'alta velocità al sud è invece diventata un impegno di governo. Il ripescaggio fuori tempo del ponte sullo Stretto è la ciliegia sulla torta.

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