Scontro nel governo sul nuovo comandante della Guardia di Finanza Meloni non vuole il generale preferito da Mattarella. Tensioni nel corpo
La guerra interna al governo sul prossimo comandante della Guardia di finanza, anticipata da Domani qualche giorno fa, continua a creare grossi imbarazzi all’esecutivo di Giorgia Meloni. Non solo perché, nonostante sapessero da mesi della nomina da chiudere entro fine aprile, i ministri competenti e la premier hanno aspettato solo l’ultimo minuto per confrontarsi sui curriculum dei candidati, litigando furiosamente senza poi trovare la quadra e facendo slittare la decisione («dilettanti allo sbaraglio», commenta un pezzo grosso della maggioranza).
Ma perché il modus operandi di Meloni non è affatto piaciuto al Quirinale, tanto che la partita Gdf rischia di compromettere ulteriormente il già complesso rapporto con Mattarella e il suo entourage.
Il rinvio della scelta del successore di Giuseppe Zafarana, che sta per traslocare alla presidenza di Eni, non è infatti cosa da poco: la Guardia di finanza è un corpo strategico, che oggi maneggia gran parte delle inchieste sulla pubblica amministrazione, e il fatto di non aver mostrato un’opinione univoca su chi debba essere il prossimo capo non solo dà un’immagine di debolezza dell’esecutivo, ma può aprire pericolose tensioni sopite tra i vertici dei militari.
Ma cosa è successo davvero nelle ultime ore? Incredibilmente, fino alla vigilia del consiglio dei ministri che avrebbe dovuto varare la nomina, i quattro decisori principali del dossier (il ministro competente Giancarlo Giorgetti, quello della Difesa Guido Crosetto, il sottosegretario Alfredo Mantovano e Meloni) non avevano mai discusso faccia a faccia dei loro candidati preferiti.
Meloni, risulta poi a Domani, nei giorni scorsi ha incontrato il preferito di Mantovano, cioè il generale Andrea De Gennaro, ma non gli altri papabili. Il nome è di prestigio (fratello del superpoliziotto Gianni, è il più anziano del gruppo) non ha però mai convinto Crosetto, che apprezza molto Umberto Sirico, altro generale di corpo d’armata già comandante dei reparti speciali, tra qui quelli dediti alla lotta alle mafie.
Il ministro della Difesa si è così prima del cdm scontrato con Mantovano («caro Alfredo, il mio dicastero ha per legge il concerto per la nomina insieme al Mef, tu non c’entri nulla», il senso del suo ragionamento) e per bloccare la promozione di De Gennaro ha provato a giocare di sponda con il titolare dell’Economia.
È vero che anche Giorgetti preferirebbe Sirico a De Gennaro, ma il leghista non è tipo da fare barricate. Tanto che Meloni si è giustificata con i suoi dicendo che qualche tempo fa, su De Gennaro, aveva avuto ufficiosamente via libera «anche da Giancarlo». La premier, soprattutto, punta su De Gennaro per spirito di contraddizione con il Quirinale: sa che al Colle il preferito è Sirico, e per questo punta a un uomo su cui possa mettere solo lei il cappello. E che in futuro faccia riferimento solo a lei.
Le tensioni
Crosetto e Giorgetti, visto l’impasse, hanno suggerito alla premier di far slittare la scelta, e di incontrare di persona tutti i candidati nei prossimi giorni. Sulla carta la nomina andrebbe decisa al più presto: l’insediamento di Zafarana in Eni è previsto per martedì prossimo. Se si va oltre, a insidiarsi ad interim sarà il suo attuale vice, cioè proprio De Gennaro. A quel punto sostituirlo dopo con qualcun altro sarebbe molto più difficile.
Il finale del pasticcio resta comunque ancora aperto: oltre al nome di De Gennaro (sostenuto anche da Luciano Violante, grande amico di Mantovano) e quello di Sirico sta prendendo quota quello di Bruno Buratti, comandante interregionale dell’Italia centrale. Un contesto confusionario che legittima tutti i candidati a vedersi ancora in corsa e ad andare alla ricerca delle possibili debolezze dei concorrenti. Tanto che a Meloni qualcuno ha già riferito che Buratti «non va bene perché è molto amico di Nicola Zingaretti».
Una bugia: Buratti non è tipo da salotti, ha rapporti quasi inesistenti con la politica tanto che, a differenza di altri candidati, è l’unico dei generali a non essersi autopromosso con membri del governo. «Il generale ha incontrato Zingaretti solo ad alcune cerimonie nei tre anni in cui è stato comandante del Lazio. Con Zingaretti non ha mai preso nemmeno un caffè», dice chi lo conosce bene.
Il Quirinale, intanto, osserva attonito. Non solo perché spera che il successore di Zafarana sia scelto esclusivamente per le sua capacità e non per la forza di cordate politiche, ma perché si aspettava che – con tanto tempo davanti – una nomina così delicata fosse organizzata a dovere e non improvvisata all’ultimo secondo. «Il presidente è neutrale rispetto a tutti i candidati», dicono a Domani dal Colle.
Anche se non è un mistero che Sirico e Buratti sono i nomi più graditi a Mattarella. Nonostante la neutralità dichiarata, comunque, bon ton istituzionale prevederebbe che la scelta finale sia condivisa con il Quirinale, visto che il presidente è anche il comandante supremo delle forze armate.
Lo schiaffo al Viminale
È un fatto che la gestione improvvida del dossier complichi di nuovo i rapporti tra governo e Colle. Non è tutto. La questione ha aperto qualche incomprensione anche con il ministero dell’Interno. La decisione di accorpare la nomina del comandante della Guardia di finanza con quella del capo della polizia, ha portato infatti alla decisione di sostituire al volo anche Lamberto Giannini, che non era nemmeno in scadenza.
Matteo Piantedosi ha dovuto in pochi giorni convincere Giannini a farsi da parte: il suo successore sarà con ogni probabilità l’attuale numero due dell’Aisi, Vittorio Pisani (stimato da anni anche da Matteo Salvini), mentre il capo della polizia è destinato a diventare il nuovo prefetto di Roma.
Con l’ipotesi, tra un anno, di entrare nella partita che si aprirà proprio all’Aisi, quando scadrà il mandato del direttore Mario Parente.
Il paradosso è che il Viminale era riuscito ad incastrare tutte le caselle in tempi record, ma si è visto saltare il delicato avvicendamento a causa delle mancanze di organizzazione di altri colleghi ministri. Palazzo Chigi in primis. «Siamo sicuri che il prossimo Cdm risolverà una questione che non è affatto complicata come raccontate», spiegano ora dalle stanze di Meloni. In caso contrario, c’è da giurarci, le tensioni sono destinate ad aumentare.
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