La soluzione trovata dal presidente del Senato per evitare la gaffe di nominare segretario e vicesegretari uomini è stata quella di inventare una carica aggiuntiva. Per altro, senza un’area da presiedere. E meno male che pochi giorni fa si stracciava le vesti per le opportunità minori a disposizione delle donne rispetto agli uomini. Il suo contributo ad aumentarle è quella di consegnare pacchetti di opportunità vuoti
Pur di non concedere il posto di un uomo a una donna, meglio raddoppiare le poltrone. È questa l’insegnamento che consegna la soluzione «raffazzonata», come la definiscono nei corridoi del Senato, che il presidente Ignazio La Russa ha trovato per scegliere il nuovo segretario generale di palazzo Madama e la sua squadra.
Un incarico di grandissima importanza nella gerarchia di chi permette il funzionamento dell’istituzione, un potere dietro le quinte con un peso enorme. L’uscente, Elisabetta Serafin, nei piani originari sarebbe dovuta essere sostituita da un terzetto di soli uomini. Al suo posto, Federico Silvio Toniato, affiancato da due vice: il navigato Edoardo Sassoli e da Alessandro Goracci. Per Goracci si sarebbe speso Giuseppe Conte in persona, dopo che il funzionario era stato il suo capo di gabinetto a palazzo Chigi. Ma l’appoggio era in realtà trasversale visto che ha lavorato anche come capo dell’ufficio legislativo di Andrea Orlando, volto di primo piano del Pd. Senza contare il rapporto personale con il segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti, che conosceva bene Goracci senior.
Una soluzione a portata di mano, fin troppo lineare, che ha tentato la seconda carica dello stato ma anche quasi tutti gli altri partiti. Solo dopo la polemica sollevata dal Pd nell’ufficio di presidenza si sono resi conto che forse insediare una squadra di soli uomini potesse non essere una scelta al passo con il 2024.
Sostituire uno dei tre nomi maschili, però, avrebbe fatto saltare l’accordo raggiunto. E pazienza se per Goracci la nomina a vicesegretario generale rappresenta un doppio salto di carriera (il grado precedente, nella gerarchia, è quello di direttore ma lui non lo è). Meglio comunque forzare la mano che prendere in considerazione alternative femminili.
Peggiore del buco
Nel Salone Garibaldi, in Senato, è appena stata svelata la statua di una donna che allatta. L’opera di Vera Omodeo rifiutata da Milano, Dal latte materno veniamo.
«Credo che le donne abbiano a volte meno opportunità degli uomini, quindi penso sia giusto mettere attenzione su questo» ha detto La Russa all’inaugurazione. Una frase che suona comica guardando a cosa è successo intorno alla nomina del segretario generale. Peccato che la situazione sia tragica. Anche perché la toppa che il presidente ha messo per superare l’ostacolo, è perfino peggiore del buco.
Nella seduta dell’ufficio di presidenza di giovedì il fondatore di Fratelli d’Italia ha proposto l’aggiunta di una vicesegreteria ad hoc da destinare a Grazia Maniscalco. Eletto anche Alfonso Sandomenico.
La funzionaria, individuata come una “foglia di fico”, sta però per ricevere una promozione vuota. Infatti, mentre gli altri vicesegretari conoscono già l’area di cui saranno a capo, l’ambito di cui si occuperà Maniscalco non solo non è definito, ma non esiste proprio.
Insomma, pur di non sostituire uno degli uomini già in corsa per la promozione, si crea una vicesegreteria nuova. In modo da poter mostrare di aver premiato tutti. In particolare una donna.
Il Senato è un piccolo universo a parte, tanto da disporre perfino di un’autodichia che rende le sue decisioni incontestabili per esempio dalla Corte dei conti. Creare una poltrona ancor prima della divisione che dovrebbe guidare, altrove potrebbe configurare un danno erariale, ma la Camera alta ha l’autonomia necessaria per prendere decisioni di questo tipo.
La forzatura, sia della terza vicesegreteria, sia del doppio salto di livello di Goracci, indigna i dipendenti del Senato, anche se la consapevolezza è che alla fine si manderà giù anche questo. Poi, le poltrone che aumentano per accontentare tutti non sono una novità: l’ultimo caso risale al bisticcio sul teatro di Roma tra ministero della Cultura e Campidoglio di qualche mese fa. In quell’occasione, si era deciso di affiancare al direttore artistico un direttore generale. Nessuna ragione operativa anche in quel caso, ma perlomeno non si trattava soltanto di una foglia di fico rosa.
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