- I recenti scandali a destra non smuovono i partiti e il pubblico di destra. I politici toccati dagli scandali vengono difesi a spada tratta da colleghi e giornali.
- Questo atteggiamento è l’eredità della manipolazione berlusconiana che, per decenni, ha negato l’evidenza o ribaltato le accuse
- La cultura politica di destra sembra essere preda di una pura logica di clan in cui si difende la propria parte anche quando indifendibile
Un senso di già visto e di sconforto si sta impadronendo del dibattito pubblico sugli ultimi scandali a destra. Di già visto perché, come prevedibile, il solito armamentario difensivo dell’epoca berlusconiana è già stato ripreso da Meloni, Santanchè & co. Di sconforto perché è difficile capire come affrontare discorsivamente questi scandali e quelli che popoleranno questa legislatura.
Non è soltanto un problema di chi da sinistra cerca di criticare l’affarismo dei neofascisti. E non è tanto il problema del posizionamento della sinistra al riguardo. È, piuttosto, il problema più generale e apparentemente insormontabile di come si può discutere criticamente con chi non accetta nessun tipo di argomento critico.
In questo Berlusconi ha fatto scuola e ha dettato la strategia per la destra italiana (e non solo, basti pensare a Trump). In estrema sintesi la strategia prevede almeno queste fasi. Non scomporsi e negare l’evidenza. Se la questione persiste, minimizzarla. Se non si ridimensiona, ribaltarla sugli avversari. Basti pensare alle evoluzioni berlusconiane sui suoi guai giudiziari. All’inizio, negando l’evidenza, la difesa presume, con il senso comune pubblico, che una certa violazione del codice penale, civile o morale costituirebbe un problema.
Non riuscendo a negare l’evidenza, poi la strategia cerca di mostrare la lievità dell’eventuale violazione. Infine, non riuscendo a sminuire, inizia una campagna ossessiva di ribaltamento del senso comune: il problema non è Berlusconi (o Santanchè o altri), bensì le toghe politicizzate, o la sinistra che non difende gli interessi degli italiani, o quei cattivoni degli europei.
Di fronte a questo armamentario trito, ma imperterrito, la discussione critica sembra sempre più spuntata. Lo era anni fa di fronte all’occupazione che Berlusconi faceva dei mezzi di comunicazione, lo è ora con la segmentazione del pubblico sui social. Il problema non è solo della sinistra, bensì è di ogni atteggiamento critico, di fronte a una parte che si rifiuta di accettare qualsiasi norma di discussione pubblica basata su principi e argomenti condivisi.
Il pubblico impegnato e i giornali di sinistra si sentono costretti ad abbandonare l’aplomb e spingono, anche giustamente, sull’acceleratore retorico della denuncia, enfatizzando i termini (scandalo, vergogna, inaccettabile…).
La presenza dei postfascisti al governo non fa che dare altra benzina all’inflazione degli aggettivi di sdegno, che però risultano sempre più inefficaci, come se fossero frutto di una postura che non tocca i fatti e non smuove le coscienze. Ma tutto questo è sostanzialmente inutile.
Serve, forse, a mostrare al pubblico di sinistra (e di quel poco di centro critico che è rimasto) che è giusto indignarsi e arrabbiarsi. Ma non serve certo a convincere il pubblico di destra: non tanto a convertirsi a sinistra, quanto a riconoscere che dovrebbe smettere di sostenere la propria parte per manifesta incoerenza e incapacità.
Il peso enorme dell’eredità berlusconiana nella cultura di destra è proprio questo: aver plasmato un pubblico inerte di fronte agli argomenti di principio. Disinteressato alla coerenza tra valori professati e vita vissuta. Concentrandosi su poche questioni (meno leggi, meno tasse, meno migranti), la destra ha fatto credere a molti che ci si può isolare dal resto del mondo (legale, istituzionale, geografico e sociale), come se fosse possibile applicare a ciascuno le eccezioni che Berlusconi ha reso paradigma dominante.
Anche senza voler sbandierare una critica moralistica, questo modo di ragionare – esentorio, piagnucolone e deresponsabilizzante – ha reso il pubblico di destra inerte. Anche senza sostenere che eventuali standard politici e morali di destra sarebbero sbagliati, si deve riconoscere che la destra si è disabituata a pretendere che ci siano degli standard e che siano seguiti dai propri rappresentanti.
Ovviamente, anche la sinistra ha abbassato gli standard professati e praticati: principi deboli e compromissori si sono miscelati a biografie non esaltanti e a una strategia politica rinunciataria. Ma almeno il pubblico di sinistra, pur disilluso, ha mantenuto qualche richiesta e un senso di imbarazzo di fronte allo svelamento degli scandali provenienti dalla propria parte.
Emblematica è la differenza tra i casi di Soumahoro e Santanchè: il primo è stato abbandonato subito dalla propria parte, la seconda è per ora difesa a oltranza.
Esigere comportamenti morali
Non è tanto una questione di superiorità morale e non sto dicendo che il pubblico di destra non abbia principi morali. Sicuramente li ha. Ma si è disabituato a esigerli dai propri rappresentanti.
In primo luogo, a causa dei mezzi di comunicazione che popolano l’area: da megafoni berlusconiani si sono trasformati in megafoni salviniani e poi meloniani. In secondo luogo, a causa di un malinteso della lotta politica degli ultimi decenni, la discussione politica a destra è stata dominata da una pura logica di clan: difendo i miei simili di fronte a qualsiasi evidenza, attacco gli avversari in ogni caso.
L’onorabilità e rispettabilità, valori di cui la destra una volta si riempiva la bocca, sono ormai totalmente privi di senso. Anche prima erano agitati più come leve retoriche che come principi reali, ma almeno funzionavano come standard di discussione e critica pubblica. Ora non sembrano più funzionare per esigere che i propri rappresentanti siano minimamente all’altezza di ciò che dicono.
Al momento il recente ribollimento di scandali non intacca l’immagine di Meloni, sebbene la presidente del consiglio abbia fatto dell’integrità e della sua biografia personale la sua principale forza politica. Ma questo non può reggere per sempre. Per ora, gli scandali non turbano l’opinione pubblica di destra che si trincera a difesa del proprio clan, almeno fino a un certo punto.
Almeno fino a quando percepisce che il sistema di potere è solido. La logica di clan funziona solo fintantoché serve a difendere qualcuno che ha potere. Non appena si ha percezione della perdita di potere, la corazza polemica del clan svanisce. Non sono stati gli scandali sessuali di per sé a indebolire Berlusconi ma l’evidenza del discredito internazionale e il fatto che era stato chiaramente destituito.
Sorte ancora più fatale è stata la discesa di Salvini: non appena si è visto che la fine del primo governo Conte non gli garantiva più potere, Salvini è stato velocemente rimpiazzato con l’emergente Meloni. La logica di clan è feroce. Difende l’indifendibile finché l’indifendibile dà l’impressione di tutelare la propria parte.
Lo abbandona non appena si mostra debole. Chissà quando la destra, nell’abbandonare un leader e cercandone un altro, riprenderà ad accettare ragioni e standard che si dovrebbero applicare a tutti. Nell’attesa, al pubblico non di destra tocca argomentare a vuoto, richiedere coerenza, ripetere l’ovvio.
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