Lapidi commemorative e cimiteri, terreni e sentieri che attraversano l’Appennino bolognese: nessun mafioso, quasi sicuramente, ha attraversato questi luoghi, ma c’è chi, comunque, è riuscito a guadagnarci.

Siamo a Monte Sole, sull’Appennino che divide l’Emilia dalla Toscana, nei luoghi dell’eccidio di Marzabotto: in queste terre solo nell’autunno del 1944 i nazifascisti hanno trucidato 775 persone, tra civili e partigiani.

La mafia dei pascoli al centro del maxiprocesso “Nebrodi”, giunto a sentenza il  31 ottobre scorso, è arrivata anche qua.

Duecentomila euro è quanto la compagine criminale - per cui i giudici del tribunale di Patti hanno disposto in totale 91 condanne per più di 600 anni di carcere - avrebbe guadagnato sui terreni di Monte Sole grazie ai fondi europei per l’agricoltura.

La truffa 

Il meccanismo che c’è dietro non è complicato: le truffe della mafia dei pascoli si basano sulla falsificazione di carte per dimostrare di lavorare su particelle di terreno prese in affitto per portare i fondi europei che avrebbero dovuto aiutare agricoltori e allevatori nelle mani dei clan dei Batanesi (per cui è stata riconosciuta la mafiosità) e dei Bontempo Scavo.

Una truffa in cui si inseriscono anche professionisti: tra questi c’è Giuseppe Scinardo Tenghi, che per anni è stato operatore del Centro autorizzato di assistenza agricola tra Enna e Trapani e, prima, impiegato dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea).

Tenghi, condannato a quattro anni per le truffe sui terreni, grazie alla conoscenza acquisita sul sistema di controllo dei fascicoli aziendali dei produttori agricoli e sulle vulnerabilità del sistema gestionale per i pagamenti dei contributi comunitari erogati da Agea, era il soggetto ideale per riuscire a inserirsi in un business dal valore di milioni di euro: in sette anni la truffa ha fruttato in totale dieci milioni di euro in tutta Italia. Non solo in Sicilia, ma anche in altre regioni, tra cui, appunto, l’Emilia-Romagna.

Mafie liquide

19/09/2013, Catania - festa del Movimento Il Megafono al MegaForum 2013. Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi.

A spiegarlo è Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi: tra i primi a portare alla luce il meccanismo di pressioni ed intimidazioni che subivano gli agricoltori del territorio e il giro milionario di soldi legato alle truffe sui fondi europei, Antoci è stato minacciato più volte ed è sopravvissuto a un attentato.

«L'operazione Nebrodi - racconta - ha rivelato forti interconnessioni con altri pezzi di territorio: sono coinvolti l'Abruzzo, l’Emilia-Romagna con Marzabotto e tanti altri territori. Non è quindi solo un fenomeno siciliano, ma un fenomeno più ampio che riguarda il nostro paese e non solo. Questa vicenda dimostra il mutamento delle mafie: sono sempre state liquide, si sono adattate ai contenitori».

Giuseppe Scinardo Tenghi nel 2014, 2015 e 2016 (unico anno in cui il contributo non venne erogato) attraverso la sua impresa Geo-Zoot avrebbe quindi indotto in errore l’Agea, attestando falsamente la riconducibilità alla sua impresa di particelle di terreno del Parco storico di Monte Sole e facendosi quindi erogare contributi dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia.

I campi finiti all’interno della truffa appartengono a una privata cittadina e, addirittura, a una istituzione pubblica: l’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità – Emilia Orientale, istituito dalla Regione Emilia-Romagna per la gestione di aree protette.

Non è detto che ne fossero conoscenza, anzi, in questi casi è possibile che i proprietari dei terreni non si accorgano della truffa fino a quando non decidono di venderli, scoprendo che c’è un vincolo sulla vendita, oppure nel caso in cui vengano chiamati a testimoniare.

A loro insaputa?

È il caso della privata cittadina a cui appartengono i terreni che, dal cuore del Parco Storico di Montesole, a pochi metri dal Cimitero di Casaglia e dalla Scuola di Pace che da anni preserva la memoria delle stragi, lentamente degradano verso una delle principali arterie del traffico italiano, l’autostrada del Sole.

Alcuni di questi sono dati in affitto e coltivati, la grande maggioranza invece sono abbandonati a se stessi, come ha dichiarato la sua segretaria: «È stata convocata per testimoniare perché sembrava che ci fosse una truffa dietro ma lei non ne sa niente ed è completamente all'oscuro».

È andata diversamente, invece, per quanto riguarda l’Ente Parchi dell’Emilia Orientale, a cui appartengono i terreni nel cuore del Parco storico, lungo la strada di Casaglia che dall’edificio della Scuola di Pace arrivano fino al cimitero, luogo della strage: qui il 29 settembre del 1944 ottantaquattro persone vennero addossate al muro di cinta del cimitero e giustiziate dai soldati nazistifascisti.

I terreni oggetto della truffa, comprendono i boschi e i sentieri che arrivano su fino a Montesole, in cui oggi svetta il cippo con la Stella Rossa della Brigata partigiana, meta ogni anno, il 25 aprile, delle camminate che ricordano la Resistenza.

Sandro Ceccoli, presidente dell’Ente Regionale, ha affermato più volte - raggiunto telefonicamente, per mail e di persona nella sede lavorativa - di non essere in alcun modo a conoscenza della vicenda e di non essersi informato in merito, neanche dopo le segnalazioni inviate: «Non abbiamo niente da dire e qui non abbiamo neanche le persone che possano dare queste indicazioni», ha dichiarato.

Così, nel silenzio delle aree interne appenniniche, si parla poco del rischio di infiltrazioni mafiose, come spiega Isidoro Furlan, generale dei Carabinieri in riserva che nel corso della sua vita lavorativa si è specializzato in numerose operazioni anti bracconaggio e contro truffe e sofisticazioni agroalimentari: «Ormai l’ambiente montano - afferma - è un territorio marginale che viene abbandonato in maniera inesorabile da vent'anni a questa parte.Gli appennini sono territori marginali e l’abbandono ha portato al depauperamento di queste aree: neanche i legittimi proprietari sanno più i confini dei propri terreni, perché sono abbandonati da anni. Per cui i territori sono alla mercé di chi fa le truffe».

Appennino abbandonato

Sull’Appennino bolognese, la leggenda delle piccole comunità che controllano il territorio e sanno chi arriva e cosa succede nei paesini di montagna svanisce: silenzio e disattenzione imperversano, mentre il tessuto sociale ed economico è sempre più disgregato.

Nel corso degli anni infatti le fabbriche hanno ridotto la produzione, chiuso o delocalizzato e, in parallelo, gli indici di fragilità sociale sono in costante aumento: l’indice demografico in calo e l’età media in aumento raccontano un territorio dove la popolazione ha sempre meno radici.

È in questi luoghi che, tra infiltrazioni mafiose e spopolamento, arriveranno 90 milioni di euro dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in piccoli comuni con pochi dipendenti e una struttura che non è abituata a gestire così tanti soldi.

A mettere in guardia è lo stesso Giuseppe Antoci, collegandosi a quanto emerge dall’inchiesta dei Nebrodi: «Gli atti di indagine - afferma - ci consegnano una realtà mortificante perché è mortificante, ad esempio, il fatto che Gaetano Riina, fratello di Totò, utilizzasse i fondi europei per l'agricoltura. Questo non colpisce solo l'aspetto economico di un Paese che da un lato porta avanti la lotta alle mafie e dall'altro le finanzia e fa i bonifici bancari. C'è un tema di dignità: se non ripartiamo da questo noi siamo sull’orlo del baratro e questo Pnrr può diventare il precipizio dove crollano tutti e dal quale non riusciremo più a risalire».


I fatti raccontati sono al centro della video-inchiesta “Ipossia Montana”, finalista dell’ultima edizione del Premio Roberto Morrione

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