Al ministero dell’Economia la vicenda della manovra non è finita con l’approvazione al Senato, arrivata a poche ore dalla notte di San Silvestro, appena in tempo per evitare l’onta dell’esercizio provvisorio. Il guazzabuglio di veleni si è infatti accumulato sul tavolo del ministero. La legge di bilancio ha scatenato la «guerra del Mef», secondo quanto raccontano varie fonti a Domani. Con diramazioni fino a palazzo Chigi, in direzione dipartimento Rapporti con il parlamento, affidato al ministro Luca Ciriani.

I principali protagonisti delle tensioni sottobanco sono i sottosegretari al Mef, Federico Freni (Lega), accusato di essere «accentratore e di fare il fenomeno», Lucia Albano (Fratelli d’Italia), tacciata di «troppe distrazioni» a via XX Settembre, e Sandra Savino (Forza Italia), rea di «scarsa incisività». Voci incrociate che non sembrano dal sen fuggite, perché la battaglia viene condotta a colpi di mail e documenti - più o meno informali – in cui ognuno rivendica le proprie ragioni, scaricando le responsabilità dei ritardi e dei pasticci sui colleghi.

Gli spin comunicativi sono al vetriolo. E coinvolgono pure il viceministro, Maurizio Leo, mente economica del partito di Giorgia Meloni: «Lui non si sporca le mani con i dettagli della manovra, ma la presenta in conferenza stampa perché gioca una partita tutta sua», sussurrano i leghisti. Mentre Giancarlo Giorgetti è rimasto impassibile, come sempre, nell’attesa che “passasse la nottata”.

Ma al termine della faticosa e claudicante maratona della legge di bilancio, è già stata messa in conto una resa dei conti. La meloniana Albano è finita sotto gli attacchi incrociati dei colleghi al Mef, ma anche del suo stesso partito. Gli appetiti per la sua poltrona sono voraci. Tanto che qualcuno caldeggia un siluramento travestito da spostamento dal Mef in direzione di altri ministeri.

Di sicuro sono a disposizione varie caselle di sottosegretari, dall’Università alla Cultura fino ai Trasporti. In ogni caso deciderà solo Giorgia Meloni. Al massimo la delegata è la sorella, Arianna Meloni, in asse con il sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari.

Scontro totale

Al ministero dell’Economia non sono volati ancora gli stracci in pubblico proprio perché di mezzo c’era la necessità di approvare la legge entro la fine dell’anno. Ma a inizio anno sarà convocata una riunione per fare chiarezza sul caos dell’iter.

«Non si può andare avanti così», è il mantra su cui sono tutti d’accordo. Anche perché la «gestione disastrosa», definizione affibbiata nelle conversazioni private a palazzo Chigi, stava per travolgere la Ragioneria dello stato, trovatasi con un sovraccarico di lavoro da smaltire in poche ore, infilzato pure da «ingenerose» accuse. Gli elementi sembrano quelli di una commedia degli equivoci, ma gli ingredienti sono quelli reali di una manovra - la terza del governo Meloni - iniziata male e finita peggio.

Gli effetti si sono propagati agli uffici del ministero per i Rapporti con il parlamento, non tanto nella figura del ministro, Luca Ciriani, che ha dovuto badare a capra e cavoli per trovare gli accordi con le opposizioni, ma in quelle delle due sottosegretarie, Matilde Siracusano (Forza Italia), e la leghista Giuseppina Castiello. «Non si sono viste», è la vulgata.

Una voce arrivata a Siracusano, che interpellata da Domani, risponde diretta: «Cornuta e mazziata anche no. Quando mi hanno chiesto di essere presente in aula, ci sono stata. Sfido chiunque a dire il contrario». E allora dov’è il problema? «Non ci sono state riunioni in fase istruttoria. Non sono una che va in commissione a fare scena muta su un provvedimento complicato per definizione come la manovra». Il sottinteso è che al Mef hanno deciso da soli.

Per provare a capirci qualcosa occorre riavvolgere il nastro alla metà di dicembre, nel delirio di un governo incartato sull’iter della manovra, che doveva essere un fiore all’occhiello del decisionismo di Meloni. E che si è trasformato nell’esempio massimo del pressappochismo al potere con la destra. Dopo giorni di trattative caotiche ed estenuanti, arriva – la sera del 18 dicembre – l’approvazione in commissione Bilancio alla Camera. Il testo viene trasmesso all’aula di Montecitorio per l’avvio della discussione generale.

Il governo fa la peggiore figura di buon mattino: a inizio seduta non c’è nemmeno un sottosegretario a rappresentarlo. Le opposizioni sono incredule e parlano, a ragion veduta, di «sciatteria». I lavori sono sospesi e le tossine si diffondono alla velocità della luce nella maggioranza e a via XX Settembre, al Mef. La prima indiziata diventa la sottosegretaria all’Economia Albano. È il capro espiatorio perfetto, reduce da uno scivolone sul decreto Fisco (collegato alla manovra): al Senato il governo è finito sotto sul taglio del canone Rai, oggetto della contesa tra Lega e Forza Italia. Albano aveva fornito parere favorevole.

«Avresti dovuto rimetterti al voto in commissione», è stata la reprimenda ricevuta poco dopo da palazzo Chigi, ricordando le istruzioni delle ore precedenti. Memore dello svarione, la sottosegretaria meloniana arriva di corsa per far riprendere la seduta alla Camera. La vicenda si tinge di giallo. Un documento addebita la responsabilità della figuraccia a Freni: una mail e il calendario delle presenze lo incaricavano di essere in Aula, fin dalle 8 di quella mattina.

Il sottosegretario leghista era reduce dal tour de force in commissione Bilancio e, secondo quanto apprende Domani, aveva ricordato agli uffici del ministero e del governo che non spettava a lui. Resta il mistero sulla mattina del 19 dicembre, che ha distillato il veleno tra colleghi di ministero.

Scaricabarile

«La sua assenza è stata un dispetto», secondo la versione di alcuni al Mef, «non toccava a me», ha ribadito Freni con chi ha parlato in quelle ore. Di mezzo c’è una terza sottosegretaria al Mef, attrice tutt’altro che protagonista sulla finanziaria: la forzista Savino. «È stata quantomeno impalpabile», come raccontano diverse fonti parlamentari in commissione Bilancio. Il motivo non è noto. «Vorrebbe un maggiore coinvolgimento, non essere trattata da tappezzeria», si ragiona nel suo partito, Forza Italia. Ancora una volta il solito tema dell’accentramento. Qualcosa si è inceppato, di sicuro.

Riparte il leitmotiv: «La colpa è di Freni che accentra tutto per protagonismo anche sugli accordi con le opposizioni su alcuni emendamenti». Qualcun altro replica: «Ma senza di lui sarebbe stato un guaio». Il leghista, invece, in privato rivela che avrebbe volentieri respirato ottenendo qualche cambio in commissione.

Intanto l’accento è stato posto su un emendamento secondario per potenziare il fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, proposto da +Europa, che sarebbe passato – con il via libera di Freni – nonostante l’orientamento negativo dei ministri competenti per materia, Giuseppe Valditara (Istruzione) ed Eugenia Roccella (Famiglia) e il precedente stop a una proposta simile dei 5 stelle.

Quisquilie nel mezzo di una manovra che diventano questioni capitali visto il clima di sospetti incrociati e dispetti reciproci. Insomma, bravo chi ci capisce qualcosa. Anche perché la questione abbraccia pure un altro profilo che al Mef conta, eccome: il viceministro Leo.

E in tutto questo cosa dice Giorgetti? Non ha battuto ciglio nemmeno di fronte alle sconfitte che hanno preso forma: il testo è stato cambiato rispetto alla versione che aveva predisposto, a cominciare dallo stop all’aumento delle tasse per le operazioni con criptovalute. Dal Mef trapela che il ministro ha lasciato fare a Freni: oltre a essere nel suo stesso partito è anche «alla quinta manovra in parlamento». Nemmeno lo spirito natalizio è bastato a riportare il sereno.

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