Dopo la nomina della commissione di accesso agli atti del comune, esponenti della maggioranza di governo hanno affermato che si è trattato di un «atto dovuto». Non è così. La nomina è il risultato di una valutazione discrezionale del prefetto, quindi del Viminale, che deve fondare l’atto sul motivato sospetto di infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale. Tale valutazione pare essere stata carente
Dopo la nomina della commissione di accesso presso il comune di Bari, per verificare infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso o similare, esponenti della maggioranza di governo hanno affermato che si è trattato di un “atto dovuto”. Ma è davvero così?
I fatti
Il Viminale ha specificato in un comunicato che «il provvedimento di accesso ispettivo» si è reso necessario a seguito di un primo monitoraggio «circa i fatti emersi a seguito dell'indagine giudiziaria che ha portato a più di 100 arresti nel capoluogo pugliese e alla nomina, da parte del tribunale, ai sensi dell'art. 34 del codice antimafia, di un amministratore giudiziario per l’azienda Mobilità e trasporti Bari spa (Amtab), interamente partecipata dallo stesso comune».
Il ministero ha precisato, inoltre, che l’accesso ispettivo «non è pregiudizialmente finalizzato allo scioglimento del comune bensì a un’approfondita verifica dell’attività amministrativa».
Dunque, la nomina della commissione non scatta in automatico al verificarsi di certi eventi, ma discende dalla necessità di un approfondimento.
Non un “atto dovuto”
Il Testo unico degli enti locali (Tuel, art. 143) prevede che la commissione sia nominata dal prefetto al fine di verificare la sussistenza di elementi che possono condurre allo scioglimento del comune.
Vale a dire elementi «concreti, univoci e rilevanti» su «collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori», «ovvero su forme di condizionamento degli stessi», che alterano la formazione della volontà degli organi collegiali e compromettono «il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni», «il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati» e altro.
Dunque, prima di adottare l’atto di nomina della commissione serve accertare che vi sia un qualche “fumus” circa tali elementi, cioè un ragionevole sospetto che influenze mafiose inficino l’attività dell’amministrazione. In altre parole, l’atto di nomina non è “dovuto”, ma è il risultato di valutazioni discrezionali. E ogni atto discrezionale di un’autorità va adeguatamente motivato. Su quali motivazioni si basa la decisione del prefetto, quindi del ministro dell’Interno di cui il prefetto è emanazione?
Gli elementi concreti
Come emerge dal comunicato del Viminale, il primo elemento su cui si basa la nomina della commissione è la recente effettuazione di 130 arresti, tra cui quello di una consigliera accusata di voto di scambio nelle elezioni comunali a Bari del 2019.
La consigliera era stata eletta in una lista di centrodestra, e solo successivamente aveva aderito a una lista civica collegata alla maggioranza. Già un’altra consigliera, sempre eletta nel centrodestra, era stata arrestata nell’ottobre del 2022. Entrambe non sembra avessero incarichi e competenze gestionali. Dunque, l’amministrazione pare lambita in modo parziale e circoscritto da tali fatti, come peraltro affermato dal procuratore che si è occupato degli ultimi arresti.
Il secondo elemento riguarda il commissariamento dell’Amtab per infiltrazione mafiosa da parte del tribunale di Bari. Anche in questo caso sembra che le influenze riguardassero un ambito limitato e, soprattutto, che restassero ai margini del funzionamento dell’amministrazione comunale.
Al di là del merito di queste vicende, la questione è di metodo. Si tratta di elementi la cui consistenza dev’essere adeguatamente ponderata ai fini della nomina di una commissione il cui impatto, sul piano politico e reputazionale, può essere dirompente. Non c’è alcun automatismo normativo che impone di far scattare la nomina in caso di arresto di due consiglieri o infiltrazione in una municipalizzata. L’atto non è dovuto.
Si aggiunga che il sindaco di Bari, Antonio Decaro, da anni sotto scorta per minacce mafiose, aveva inviato al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, molti faldoni di documenti comprovanti l’attività del comune contro la criminalità organizzata. Ma la nomina della commissione è avvenuta prima che i documenti fossero esaminati. L’esame avrebbe forse potuto fornire elementi utili a valutare la necessità o meno della nomina stessa. Ma la fretta di Piantedosi ha evidentemente prevalso.
È sbagliato dire che, se il sindaco non ha nulla da temere, dovrebbe essere felice sia accertato tramite la commissione che è tutto a posto. È chi dispone la nomina a dover motivare fondatamente la sua scelta, e non il vertice dell’amministrazione a dover dimostrare di essere immune da influenze mafiose.
Un consiglio all’opposizione. Anziché evocare congiure, che sono un terreno scivoloso anche quando paiono fondate, meglio ricorrere ad argomenti di diritto e usarli come corazza. O come testa d’ariete, alla bisogna.
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