In Basilicata l’opposizione non ha dato il meglio di sé, forse può sperare nel soccorso di chi comprende che è un momento difficile e occorre evitare che le destre si consolidino dopo avere imbarcato quella parte dell’opposizione che non ha trovato di meglio che scegliere per dispetto. È curioso che Matteo Renzi e Carlo Calenda facciano la stessa scelta dopo essersi divisi.
Auguri alla Basilicata di liberarsi di chi la immagina come il Texas a scapito dell’ambiente e dell’agricoltura e potrebbe puntare al deposito delle scorie nucleari, colpo già tentato in passato.
Tuttavia qualcosa accomuna Abruzzo e Basilicata e perfino la Sardegna: l’astensione. L’astensione ha raggiunto, in qualche caso superato, la metà degli elettori. È un problema di fondo per la democrazia, che non può restringersi a lotta per la spartizione del potere istituzionale che diventerebbe appannaggio di pochi.
Il disegno delle destre
Le destre hanno un comune disegno di conquista del potere. È un cemento forte. Le attuali opposizioni stentano ad avere un disegno alternativo convincente (a giudizio degli elettori) perché debbono essere credibili nell’impegno a cambiare, con l’aggravante dei giochi nazionali di forze minori dell’opposizione che si sbracciano per non sparire, per condizionare al di là della forza reale.
Questo avviene perché nelle elezioni regionali vige un sistema elettorale maggioritario legato alla figura del presidente, che non può essere cambiato senza tornare a votare.
Il governo Meloni propone un sistema istituzionale ed elettorale simile a quello delle regioni anche a livello nazionale: voto diretto per il capo del governo e un parlamento che va a casa se cade il governo, a cui lo legherebbe un rapporto di fedeltà obbligata. Così il parlamento servirebbe solo per approvare le decisioni del governo e non avrebbe più il ruolo di architrave della democrazia, delineato in Italia dalla Costituzione antifascista del 1948.
Verso una nuova Repubblica
La divisione e l’equilibrio dei poteri in una democrazia, il loro controllo, sono fondamentali, anche il ruolo di equilibrio e garanzia costituzionale fin qui svolto dal presidente della Repubblica verrebbe drasticamente ridotto, il resto sono balle. Il parlamento verrebbe ridotto a “guardia del pretorio” del governo, con buona pace dell’articolo 67 della Costituzione.
Proporre la modifica di pochi articoli della Costituzione, come ha fatto il governo, per non dare troppo nell’occhio non deve ingannare; le modifiche sono di fondo, al punto che il governo non si cura delle contraddizioni che verrebbero iniettate nella Costituzione del 1948, del resto l’obiettivo dichiarato è andare oltre: verso una nuova Costituzione e una nuova Repubblica.
Le opposizioni debbono opporsi a questo disegno di svuotamento della Costituzione democratica, anche se questo parlamento ha una maggioranza di destra e difficilmente si potrà impedire l’approvazione di un progetto che si configura come il quadro politico-istituzionale in cui Giorgia Meloni e il suo mondo potranno sentirsi a loro agio senza più l’ingombro della Costituzione democratica ed antifascista.
Il ruolo delle opposizioni
Per farlo le opposizioni debbono chiedersi se oltre a difendere e attuare la Costituzione attuale non sia necessario riconoscere che la scelta del maggioritario non ha dato buona prova perché costringe a trovare un accordo politico prima delle elezioni. Il sistema tedesco è fondato sul parlamento ma prevede che i partiti si presentino con il loro volto e solo dopo le elezioni cerchino un accordo su un programma. Lo hanno fatto e sta tenendo.
Perché insistere che l’accordo va fatto prima per conquistare la maggioranza? Può essere una via obbligata come per le regioni a causa delle leggi elettorali o per le elezioni nazionali e abbiamo visto nel 2022 il risultato disastroso di una mala gestione delle opposizioni, ma una scelta è un altro discorso.
Per contrastare l’astensionismo e riportare a votare chi oggi non lo fa occorre far decidere agli elettori chi li deve rappresentare, mentre oggi conta solo la fedeltà ai capi.
Ripristinare un rapporto diretto tra eletto ed elettore e un proporzionale sul modello tedesco può consentire di risalire la china dell’astensionismo, che insieme alla capacità di presentare credibili alternative potrebbe consentire di dare respiro al No all’elezione diretta del presidente del Consiglio, con la proposta di fare eleggere agli elettori direttamente deputati e senatori.
I gruppi dirigenti torneranno a formarsi sulla base della capacità di gestire le diversità e di essere credibili. Del resto questo è il governo che applaude ogni volta che saltano le scelte europee più innovative sull’ambiente e lo sviluppo, perché gli elettori non dovrebbero capire la differenza, naturalmente bisogna proporla e forse anche a destra il clima potrebbe cambiare.
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