- Le vicende che riguardano la fondazione Open e Matteo Renzi pongono, tra le altre, la questione di quali attività economiche possano essere svolte da un parlamentare in carica.
- In diversi paesi ai membri del parlamento sono vietate o pesantemente limitate attività diverse dall’esercizio della funzione legislativa.
- In Italia mancano norme così stringenti. La Costituzione non ne parla ma questo non impedisce che la legge disponga un qualche divieto.
Le vicende che riguardano la fondazione Open e Matteo Renzi, tornate in questi giorni all’attenzione dell’opinione pubblica, pongono, tra le altre, la questione di quali attività economiche possano essere svolte da un parlamentare in carica.
In diversi paesi ai membri del parlamento sono vietate o pesantemente limitate attività diverse dall’esercizio della funzione legislativa. Negli Stati Uniti, ad esempio, è vietato retribuire, sotto qualsiasi forma, un deputato o un senatore per tenere un discorso o scrivere un articolo o presentare un programma televisivo, ed è vietato farsi rimborsare le spese sostenute per raggiungere una località in cui si è stati invitati in qualità di deputato o senatore.
In Italia mancano norme così stringenti. L’articolo 69 della Costituzione riconosce, per l’esercizio delle funzioni di parlamentare, una indennità (che oggi è di circa 5.000 euro netti mensili cui si aggiungono, in media, altri 8.000 euro netti al mese) ma non prevede divieti di ricoprire altri incarichi.
Quando la Costituzione italiana è stata scritta, diversi membri dell’Assemblea costituente avevano proposto un simile divieto. I più convinti erano Costantino Mortati e Piero Calamandrei i quali, nel difendere l’indennità che consentiva a tutti di esercitare la funzione legislativa ponendo gli eletti al riparo da possibili pressioni esterne, affermavano l’esigenza di vietare qualsiasi incarico retribuito.
Il discorso di Calamandrei del 10 ottobre 1947 sembra scritto oggi. «L’opinione pubblica – diceva – non ha, in questo momento, molta simpatia e molta fiducia per i deputati. Vi è intorno a noi un’atmosfera, che tutti quanti avvertiamo, di sospetto e di discredito. C’è la convinzione diffusa che molte volte l’esercizio del mandato parlamentare, il quale è conferito per il raggiungimento di scopi di pubblico interesse, possa servire a mascherare il soddisfacimento di interessi personali e diventi un affare, una professione, un mestiere».
Per contrastare tale discredito Calamandrei proponeva di vietare al parlamentare di assumere incarichi esterni; la sua proposta è stata, però, bocciata ed è rimasta solo la previsione dell’indennità.
Il silenzio della Costituzione, tuttavia, non impedisce che la legge disponga un qualche divieto. Ad esempio, per i dipendenti pubblici che sono eletti parlamentari, la legge già impone l’aspettativa, per cui l’eletto, se dipendente pubblico, può svolgere solo la funzione legislativa. Nulla si dispone, invece, per i dipendenti privati ai quali è solo vietato non avere incarichi da società pubbliche.
La storia parlamentare italiana conta pochi casi di deputati che si sono dimessi per svolgere attività professionale: il più noto riguarda l’attuale segretario del Pd, Enrico Letta, che ha scelto, nel 2015, di dimettersi per diventare presidente della scuola di affari internazionale dell’università francese Science Po.
Qualche mese prima, anche il deputato PD ed ex ministro della Cultura Massimo Bray aveva deciso di dimettersi, avendo accettato l’incarico di direttore dell’Enciclopedia Treccani. Si badi bene: in entrambi i casi gli incarichi ricoperti dai due non erano incompatibili con la funzione parlamentare. E pur tuttavia entrambi hanno ritenuto di dover lasciare il parlamento perché, a causa dei nuovi impegni lavorativi, non avrebbero potuto assolvere al loro mandato politico con la dedizione necessaria.
Cosa si può già fare
Le questioni attuali – a dir vero ricorrenti – impongono al legislatore di intervenire. Dall’inizio della legislatura a oggi, sono stati presentati 8 disegni di legge in materia (di cui uno a prima firma di Fabiana Dadone e uno di Emanuele Fiano) quasi tutti concentrati sul governo o sulle condizioni di incompatibilità del parlamentare; uno solo (a firma Francesco Berti del M5s) prevede il divieto per i parlamentari di ricevere soldi da stati esteri ma non si dispone nulla sugli altri incarichi retribuiti.
Nelle more di una legge ad hoc, l’ufficio di presidenza del Senato potrebbe vietare retribuzioni improprie adottando il codice di condotta (istituito dall’articolo 12 del regolamento ma mai attuato), mentre quello della Camera potrebbe modificare l’articolo 4 del proprio codice di condotta vietando ai deputati di ricevere rimborsi di viaggi e soggiorni da parte di terzi (specialmente se si pensa che la Camera versa loro ogni mese 4.000 euro per rimborsi spese generiche).
Si contribuirebbe a realizzare, così, l’auspicio di Calamandrei e la politica ne uscirebbe senz’altro migliore.
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