Si mostrano spavaldi ma sono molto inquieti. Temono di perdere tutto, la vicenda giudiziaria rischia di prendere una brutta piega e loro lo sanno. Parlano di Eni e invocano un nome. Vengono rassicurati: «Per me Emma è una sorella». Qualcuno però è infastidito, lamenta che lui sarebbe dovuto intervenire prima con «sua commare Marcegaglia». Forse è troppo tardi. Forse l'inchiesta li travolgerà o, nel migliore dei casi, li metterà fuori gioco. E parlano, parlano tanto. Sicuri che nessuno li stia ascoltando.
Questa è una cronaca ricostruita su documenti che non sono più coperti dal segreto istruttorio, carte poliziesche con il timbro di una procura della repubblica e ormai a disposizione delle parti, qualche migliaio di pagine dove si racconta di spericolate dipendenze, ricche commesse negli stabilimenti petrolchimici, soci occulti, patti, macchinazioni.

Al centro c'è Calogero Antonio Montante detto Antonello e intorno una dozzina di personaggi, tutti posizionati ai piani alti di Confindustria e di Eni. E poi c'è lei, sorella o commare poco importa perché comunque Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria dal 2008 al 2012 e presidente dell'Eni dal 2014 al 2020, non è stata per nulla ininfluente nell'irresistibile scalata di uno sconosciuto siciliano “nel cuore” di un mafioso: don Paolino Arnone, il consigliori di uno della Cupola.

E' quanto sembra affiorare dagli atti, telefonata dopo telefonata, incontro dopo incontro. Tuttavia c'è chi lo percepisce capovolto quel rapporto: con Antonello padrone. Di certo è che quelle tre o quattro foto che li ritraggono insieme, sorridenti e complici, non bastano a spiegare un vincolo antico e profondo, certificato dal diario di Montante ritrovato in una stanza nascosta della sua villa in Sicilia. Il bunker dei dossier e dei ricatti.

Il sostegno di Marcegaglia 

Sempre vicina a lui, Emma Marceglia come un'ombra della sua ombra. Anche quando è già sotto indagine per la vicinanza alla “famiglia” di Serradifalco, gravemente sospettato “per avere concorso nelle attività dell'associazione denominata Cosa Nostra e nel perseguimento dei suoi interessi dal 1990 ad oggi”. Oggi che è poi il 22 gennaio 2016, ventisei anni dopo, quando il vicepresidente di Confindustria è ufficialmente un indagato e c'è la prima scoperta di un'inchiesta che scava sull'altro volto di un uomo misterioso che dal niente diventa tutto.

Ha in pugno capi della Direzione Investigativa Antimafia come Arturo De Felice e condiziona ministri dell'Interno come Angelino Alfano, il presidente del Consiglio Renzi lo vuole nel suo governo, tratta con i comandi superiori della Finanza e dei servizi segreti, si arricchisce con il denaro della Regione Siciliana dove piazza amante e servi. E' un vecchio amico di gente di mafia che ormai è uno dei potenti d'Italia.
Nel fascicolo a carico di Calogero Montante c'è una “linea” che attraversa Confindustria dalla Marcegaglia a Giorgio Squinzi fino a Vincenzo Boccia, ma c'è anche un intero capitolo dedicato ai «Rapporti tra Montante Antonio Calogero e i vertici dell’Eni». Deleghe d'indagine, verbali di interrogatorio, informative. Reati e peccati.

Da una Confindustria all'altra

LaPresse

E' la fine dell'inverno del 2016 ed è passato più di un mese da quando i poliziotti della squadra mobile di Caltanissetta entrano nella villa di Montante e sequestrano le prove della sua attività di spionaggio, quotidiani e siti web diffondono la notizia e qualche dettaglio. Fino a quel momento (ma anche oltre) Squinzi difende il suo vice che, in questa nostra Italia tragicomica, mantiene la sua delega alla Legalità. Sono anche i mesi in cui in viale dell'Astronomia ci si sta preparando a scegliere il nuovo presidente.

Sono le 8,08 del 2 marzo 2016 e Antonello ed Emma Marcegaglia «dialogavano in merito al sostegno a Vincenzo Boccia, che poi veniva effettivamente eletto presidente nazionale di Confindustria al posto di Squinzi..». Subito dopo scrivono i poliziotti: «Il Montante è notoriamente molto vicino ai vertici di Eni, l'attività tecnica d'indagine fa emergere stretti legami oltre che con Emma Marcegaglia anche con il dirigente Giuseppe Ricci, con Salvatore Sardo responsabile del settore Refining, con Bernardo Casa...».

Siamo già negli ultimi giorni di aprile 2016 e Vincenzo Boccia è il nuovo presidente di Confindustria, Calogero Montante chiama Linda Vancheri. E' l'amica che ha imposto al governatore Rosario Crocetta come assessore regionale alle Attività Produttive, anche lei con il vizietto di registrare i colloqui telefonici con i suoi interlocutori e anche lei sott'inchiesta.

Montante le comunica «che ha appena terminato un incontro con la Marcegaglia e che, grazie alle insistenze della stessa, avrebbe ottenuto un'importantissima delega da Vincenzo Boccia». Resta vicepresidente di Confindustria, nonostante il suo coinvolgimento nell'indagine per mafia. E viene nominato anche presidente di Retimpresa. Dice testualmente: «Amò. vado a trecentossesanta gradi sul sistema, per questo Emma ha insistito con Enzo..è l'unico modo per restare al settimo piano nella mia stanza».
Protetto da Squinzi, coperto da Boccia, rilanciato dalla Marcegaglia il siciliano di Serradifalco nella primavera del 2016 - mentre sta tramando con il capo dei “servizi” Arturo Esposito, con l'ex presidente del Senato Renato Schifani e con un drappello di talpe che cercano di penetrare nei segreti della procura di Caltanissetta che investiga su di loro - è un indagato eccellente che chiama a raccolta i suoi. Emma Marcegaglia è lì, sempre al suo fianco, decisa a non mollarlo. Anzi, lo coccola più di prima.

Una lunga frequentazione

I due si frequentano dalla seconda metà degli anni '90, quando la Marcegaglia è presidente dei giovani imprenditori di Confindustria e Montante è solo il presidente dei giovani imprenditori di Caltanissetta. Un'amicizia che si rinforzerà nel tempo. E' lo stesso Montante che lo confessa.

Parla con Rosario Amarù, un imprenditore che grazie ai contatti di Antonello con i capi dell'Eni si assicura appalti alla raffineria di Gela. La microspia registra le loro parole. E' il 26 aprile del 2017, un anno prima del suo arresto. «Noi non possiamo perdere l'Eni», urla Montante. E Amarù: «No, per carità». Montante: «La squadra siamo noi, non gli altri». Amarù: «Emma che dice?». Montante: «E chidda lo sai, una sorella è... squadra seria di chidda seria, di quella giusta». Seguono omissis.
Nelle stanze che contano dell'Eni Montante è di casa. Nelle agende che gli sequestrano sono segnati decine di pranzi, le cene, le riunioni. Molti quelli con la Marcegaglia e con Salvatore Sardo (all'hotel Bernini e all'hotel Majestic di Roma), una volta c'è l'amministratore delegato Claudio De Scalzi e ogni tanto c'è anche Ivan Lo Bello, socio di Montante, presidente di Unioncamere e prima ancora vicepresidente di Unicredit. Ma non sono solo relazioni istituzionali, perché Calogero Montante «ha personali e diretti interessi in attività gestite dall'Eni».

L'indagine segue una traccia. E' quella della “Terranova di Sicilia srl”, un'azienda “che si occupa di ideazione, progettazione e manutenzione di impianti per il trattamento di acque, trattamenti di terreno, fanghi, impianto recupero oli, bonifica ambientale” che ha come soci occulti Calogero Montante e Ivan Lo Bello.

Matteo Corner/Lapresse

Tutto nasce quasi per caso. Alla raffineria di Gela una società, la “Petrolchimica spa”, nel 2015 si aggiudica un appalto per il trattamento dei rifiuti ma ha bisogno di un partner locale. Così il direttore della raffineria, Bernardo Casa, consiglia all'amministratore delegato della “Petrolchimica spa” Mario Pivi di rivolgersi a Montante e a Lo Bello per averne indicato uno.

Cosa fanno i due campioni della legalità? Annotano i poliziotti: «Questi ultimi si mostravano interessati alla faccenda e, invece di indicare una società partner, proponevano di costituirne una ad hoc che avrebbero partecipato al 50 per cento ciascuno». Viene costituita la "Terranova di Sicilia srl”, 50 per cento “Petrolchimica spa” e 50 per cento “Calta srl” riconducibile a Montante e a Lo Bello. L'amministratore della Petrolchinica si sorprende davanti a quest'operazione. Anche perché, nonostante la buona reputazione della sua azienda, fino ad allora ha conquistato appalti di importo medio sui 300 mila euro. Il primo appalto concesso alla "Terranova di Sicilia" è di 14 milioni, 872 mila, 648 euro. Pivi è sempre più spiazzato e vuole spiegazioni da Montante e da Lo Bello. Chiede perché, loro due, non siano presenti palesemente nella nuova società. La loro risposta: «Abbiamo molti amici ma anche molti nemici».
Una parentesi sull'invisibile Ivan Lo Bello, altro enigmatico siciliano (a Siracusa ha piccola un'azienda che produce biscottini e crema di riso per bambini) catapultato nel cuore del potere italiano, robuste entrature in Vaticano e - non si sa come - di professione dichiarata banchiere. Mai indagato nell'affaire Montante, il suo nome ricorre per 131 volte nell'informativa di polizia e per 143 volte nella misura di custodia cautelare. Uscito con un'archiviazione dall'indagine di Potenza - poi trasferita a Roma - insieme a Gianluca Gemelli sull'affare di un pontile destinato allo stoccaggio del petrolio, Ivan Lo Bello attraversa percorsi accidentati restando sempre in piedi. E' un grande equilibrista. Socio occulto di Montante e, contemporaneamente, accanto a don Luigi Ciotti per firmare protocolli di legalità. Un colpo di qua e un colpo di là.

Gli affari siciliani 

Ma torniamo agli altri business di Montante con l'Eni. Li fa attraverso due imprenditori di Gela che sono ai suoi ordini. Il primo è quel Rosario Amarù, titolare di un'azienda meccanica, l'altro è Carmelo Turco a capo di un'impresa edile. Conversazioni in libertà svelano il suo peso. Rosario Amarù, in un colloquio con la moglie Sonia - siamo nel 2018 a tre mesi dall'arresto di Montante - dopo avere pranzato a Roma con Antonello telefona contento alla moglie e le racconta che tutti «lo davano per spacciato e finito» ma lui «non essendo più in prima linea poteva lavorare molto meglio da dietro». E poi, sempre più eccitato, dice alla moglie «Tutti passano da lui, tutti, tutti, il direttore, il presidente Boccia...è venuto a mangiare con noi». La moglie: «Nell'ufficio del capo..». E Amarù: «Del boss, non del capo». La moglie: «Del boss.. wow..». Wow, meraviglia. Sono sempre sicuri di stare al riparo da orecchie indiscrete e tutti danno fiato a ogni pensiero. Anche il “boss” si lascia andare a giudizi su questo e su quell'altro, è un mondo permanentemente microfonato.

Antonello fa anche il nome di Alessandro Alfano, il fratello del ministro. Dice di lui: «E' un cugliuni, è latru (ladro, ndr), delinquente istituzionale». Detto da Montante, è tutto un programma.
Altre conversazioni intercettate e altri appalti Eni per altri amici. Questa volta il predestinato è Carmelo Turco, costruttore con un'impresa sull'orlo del fallimento. La cimice è all'interno dell'auto di Amarù. Sibila Montante: «A Carmelo gli abbiamo dato noi la vita, ricordatelo… più di quanto tu possa immaginare… se lo sarebbero giocato cinque anni fa...». E Amarù: «Ma stanno provando a giocarselo?». Montante: «No, ma il problema è che non ha più impresa, è un castello di sabbia..io ne ho riparlato con Ricci a Roma..a noialtri tutti ci stimano in Eni». Antonello Montante riceve un pressing da Turco e chiama (è il 19 ottobre del 2016) Salvatore Sardo annunciandoli una visita dell'imprenditore edile «in qualità di rappresentante di Confindustria».

Dopo meno di dieci giorni la società di Carmelo Turco prende un appalto a Priolo dove ha sede uno stabilimento Eni e, meno di sei mesi dopo, un secondo appalto a Taranto dove ha sede un altro stabilimento Eni. Il Salvatore Sardo che favorisce Montante e i suoi compari è lo stesso Salvatore Sardo con un passato in Telecom e in Seat, vicino a Luigi Bisignani, “il manager del potere nascosto”. Prima di approdare come amministratore delegato nell'Immobiliare Cassa Depositi e Prestiti, Sardo “risolve” volentieri i problemi siciliani di Montante.

Come Amarù e Turco ricompensano il “boss” per i lavori ricevuti? Il primo, su consiglio di Montante, fa sparire materiale informatico da Confindustria che cercano i poliziotti della squadra mobile. Il secondo acquista un palazzo da Montante per tre volte il suo valore di mercato. Paga pizzo. Nei dieci anni che il Cavaliere di Serradifalco è il signore della Sicilia, e sale sempre più su in Italia, le aziende di Amarù e Turco triplicano il loro volume di affari con Eni. Ma sono soltanto questi gli interessi di Montante nella multinazionale dell'energia? E' lui che chiede con il cappello in mano o sono gli altri costretti in qualche modo a piegarsi ai suoi voleri?

I discorsi sull’Eni

Nelle carte ci sono altri discorsi su Eni e dintorni, tutti molto di confine. Protagonisti due ufficiali della Finanza. O meglio un ufficiale e un ex ufficiale transitato in Eni come responsabile della security della divisione Refining & Marketing dopo - così almeno raccontano le cronache - «una spettacolare perquisizione al Petrolchimico di Gela». L'ufficiale è Ettore Orfanello, comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Caltanissetta, arrestato due volte nella stessa inchiesta Montante, la prima per associazione a delinquere e corruzione e la seconda volta per inquinamento delle prove.

L'ex ufficiale - non indagato - è Nazario Saccia, prima a capo del Gico di Caltanissetta (la struttura investigativa delle Finanza che indaga sul crimine organizzato) e poi comandante della compagnia di Gela. E' lui che guida la perquisizione alla raffineria il 12 dicembre del 2009, è sempre lui che nel dicembre 2010 entra in Eni.

La coincidenza delle date potrebbe indurre a maliziose supposizioni, ma è superfluo. Per capire chi è questo Saccia è sufficiente riportare le trascrizioni delle sue conversazioni con il maggiore Orfanello. Sono tante. I due sono molto chiacchieroni, soprattutto Saccia: canta come un usignolo. L'ex capitano è preoccupato per sé, vorrebbe un incarico più prestigioso in Eni.

Il maggiore Orfanello invece ha l'acqua alla gola, sa che è già stato inghiottito nell'indagine. Tutti e due seguono con apprensione le cronache giornalistiche sull'inchiesta Montante, commentano, provano a ipotizzare ciò che potrebbe accadere.

L'ex ufficiale spiega al suo amico «che non gli piacevano delle situazioni che si erano venute a creare all'interno dell'Eni e il Montante, attraverso la Marcegaglia, poteva far valere la sua volontà accontentandolo». Dice testualmente al maggiore Orfanello: «Con la Marcegaglia lui può mettere una parola pesante».

«Ad Alfano lui non ci dava del tu, ci dava l''io»

Da Eni passano a Confindustria. Citano Squinzi, che è in scadenza come presidente e che per Montante «si è dimostrato un fratello maggiore» per averlo sostenuto nonostante l'indagine per mafia. Sono in attesa di nuovi eventi. Che arrivano esattamente quattro giorni dopo: il 22 gennaio. I poliziotti perquisiscono le tredici abitazioni di  Montante fra la Sicilia e Milano, gli uffici di Sicindustria, le sedi delle Camere di Commercio di Caltanissetta e Palermo.

Orfanello aggiorna Saccia sulle ultime notizie e Saccia sbotta: «Gli vogliono scassare la minchia, ma che serve la perquisizione a casa, ma che cazzo ci vogliono trovare, il contratto di associazione mafiosa?». E' infuriato: «Mi colpisce, in che cazzo di mondo viviamo… un masculazzu che smuoveva il mondo rovinato da due cornuti che sono andati a fare dichiarazioni in procura».

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I due “cornuti” sono Marco Venturi e Alfonso Cicero, i testimoni chiave dell'indagine che rivelano i meccanismi del sistema Montante. L'ex capitano Saccia è anche avvilito perché, ormai, intuisce che Antonello non potrà più fare molto per lui: «Fortuna non ne abbiamo, gli dovevo chiedere una mano ..parla con la tua commare Marcegaglia.. e succede tutto questo bordello...a questo punto è finita cumpa'..».  Neanche un mese prima l'ex capitano e Montante si  incontrano in viale dell'Astronomia. Saccia gli porta in regalo una cravatta e lo racconta al maggiore Orfanello: «E' stato superaffettuoso… squisito, squisito…  è in gran forma ed è anche dimagrito» Orfanello gli dice di avere visto Montante in televisione con il ministro dell'Interno Angelino Alfano, «quindi, probabilmente riesce a mantenere la posizione il buon Antonello». Forse qualche speranza ancora c'è, i due si rincuorano uno con l'altro. E' però in una successiva telefonata che l'ex capitano Nazario Saccia fa una straordinaria sintesi filologica del laccio che lega il ministro dell'Interno all'amico del boss: «Ad Alfano lui non ci dava del tu, ci dava l''io».
Calogero Antonio Montante detto Antonello ha sempre avuto una passione per Angelino. E' lui stesso che lo confessa: «Alfano pì mia è me frati!». Per me è un fratello. Naturalmente è solo teatro siciliano. E come potrebbe essere altrimenti, un ministro dell'Interno e un uomo “nel cuore” di un boss di Cosa Nostra uniti da legami di sangue?

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