Per i presidi è «irrealistico» tornare a scuola prima delle feste di Natale, la ministra ondeggia. Intanto il Tar dà ragione ai prof precari: chi non ha potuto partecipare al concorso straordinario perché contagiato ha diritto a sostenere la prova d’esame
- Di nuovo confusione nella scuola. I presidi: per riaprire serve almeno un mese, bisogna intervenire su trasporti e Asl. «Le regole non consentono di trovare supplenti nella misura in cui servono».
- La Cgil Scuola denuncia: «Manca l’elemento fondamentale: i dati. Perché sono state chiuse le scuole?». Intanto il Tar dà ragione ai precari, ci saranno prove suppletive per chi non ha partecipato al concorso (ora sospeso).
- Il Cts: «I numeri dicono che i contagi in età scolastica non sono diversi da quelli di altre classi di età», «non abbiamo evidenze per capire se siano avvenuti a scuola o fuori».
Il regalo di Natale per la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è già arrivato. Il Tar del Lazio ha dato ragione a una professoressa precaria campana che doveva partecipare il 29 ottobre al concorso straordinario, ma si è ammalata di Covid con obbligo di quarantena e non ha potuto partecipare. I giudici dicono che ha diritto a fare la prova. Sempreché davvero riprenda il concorso sospeso il 5 novembre dal Dpcm del premier Giuseppe Conte. Secondo il ministero vi ha partecipato oltre il 60 per cento degli iscritti e il nuovo calendario delle prove sarà pubblicato «non appena sarà possibile riprendere la procedura concorsuale». Ma ora le cose si complicano se alla ripresa del concorso bisognerà organizzare anche le prove suppletive per chi era in quarantena, come alcune forze politiche chiedevano (Pd e Lega) e invece giuristi dei ministeri dell’Istruzione e della Pubblica amministrazione avevano escluso.
La ministra dovrà rivedere le sue convinzioni. Come sulle «scuole aperte» prima delle vacanze di Natale. Lo slogan funziona, ma nel concreto la situazione in ciascuna regione è diversa (ieri il Tar della Calabria ha riaperto le scuole chiuse per ordinanza). E comunque prima di gennaio non si può fare.
Confusione totale
«Meglio una didattica a distanza fatta bene che una didattica in presenza per finta. Le posizioni massimaliste, ideologiche e preconcette non sono molto utili. Il punto è che la scuola si sta facendo a distanza perché sono mancate alcune condizioni: i trasporti non sono stati in grado di..., il sistema sanitario non è stato in grado di... e regole interne al sistema di istruzione non consentono di trovare supplenti nella misura in cui servono». L’analisi impietosa è di Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi. Giannelli non la nomina, ma la titolare dell’Istruzione per mesi ha ripetuto che le scuole dovevano «restare aperte» mentre i presidenti delle regioni le chiudevano. E così fra le dichiarazioni e la realtà si è spalancato il baratro. Fino a domenica quando la ministra ha dovuto smentire notizie di stampa che la davano rassegnata alle chiusure. «È falso che al ministero dell’Istruzione si dà ormai per scontato che anche a dicembre tutti gli studenti resteranno a casa». Siamo alla confusione massima: quindi tenterebbe la riapertura delle scuole il 4 dicembre, e cioè alla scadenza del Dpcm del 3 novembre? Secondo Giannelli per riaprire le scuole serve almeno un mese, un mese e mezzo. «Le decisioni vanno prese in modo assennato», avverte. «Ecco perché ritengo sia improbabile e irrealistico tornare a scuola i primi di dicembre. Il 4 è venerdì, il 6 domenica, martedì 8 è l’Immacolata». Dopo il ponte, c’è poco più di una settimana prima delle vacanze di Natale, che nelle scuole di tutto il territorio iniziano fra il 23 e il 24. Insomma a parte casi particolari, se ne riparla ovviamente dopo le vacanze di Natale.
Purché però nel frattempo si lavori su trasporti e indicazioni delle Asl, le due principali cose che non hanno funzionato. Perché che la scuola debba riaprire è l’opinione di tutta la comunità scolastica. E anche del Comitato tecnico scientifico, come ripetuto più volte in questi giorni dal coordinatore Agostino Miozzo. L’esempio è quello che hanno fatto altri paesi. Ma le ragioni delle chiusure, come quelle per le riaperture, restano avvolte nella nebbia. «A me manca l’elemento fondamentale: i dati. Perché sono state chiuse le scuole?», si chiede Francesco Sinopoli, segretario generale Flc Cgil. Il rischio è che il 4 dicembre gli istituti riaprano ma il giorno dopo i presidenti delle regioni li richiudano. Esattamente come è successo in questi primi mesi dell’anno scolastico. Per Sinopoli «occorre un tracciamento specifico per le scuole; che siano garantiti trasporti esclusivi; che ci sia un chiarimento di competenze con regioni e comuni perché questa gestione sta diventando una follia».
Quella dei dati della scuola continua a essere un buco nero informativo: a fine ottobre il ministero dell’Istruzione ha fatto sapere di aver «condiviso» con l’Istituto superiore di sanità i risultati del monitoraggio condotto attraverso i dirigenti scolastici, e quindi in attesa di analisi epidemiologiche specifiche, la condizione dei contagi nelle scuole resta una valutazione approssimativa: «I dati ci dicono che i contagi in età scolastica non sono significativamente diversi da quelli di altre classi di età», spiega Miozzo, ma ancora «non abbiamo evidenze per capire se siano avvenuti a scuola o fuori».
© Riproduzione riservata