- In alcuni paesi dell’isola l’acqua, quando va bene, viene distribuita ogni quattro o cinque giorni e solo per poche ore
- Di solito arriva di notte. Così si deve puntare la sveglia per fare scorta e riempire i serbatoi sul tetto e naturalmente riempire anche i bidoni sparsi in ogni stanza.
- Ci sono siciliani che sanno tutto dell'acqua. Sanno di tubi, dighe, reti idriche interne, acquedotti, allacci abusivi, prolungamenti, condotte volanti, di metri cubi pompati o scaricati, dei livelli giornalieri degli invasi come La Castello, il Fanaco e il Leone, come il Gammauta e la Garcia.
Amici siciliani in questi giorni mi hanno inviato numerose email e qualcuno ha pure telefonato per parlarmi dell’acqua che non c’è.
Un vecchio compagno di scuola si è anche proposto per organizzare corsi di sopravvivenza in favore dei nostri connazionali residenti da Roma in su costretti a sopportare, fra disagi e paure, l’ "estrema siccità” che ha colpito l’Italia.
Vagamente ironico e comunque sempre molto rispettoso, il compagno di scuola è partito dai fondamentali. Come lavarsi i denti: «Aprire il rubinetto, bagnare velocemente lo spazzolino per qualche secondo, chiudere il rubinetto, passare lo spazzolino sui denti per un paio di minuti, riaprire il rubinetto e sciacquarsi la bocca per quattro o cinque secondi al massimo, chiudere con scatto fulmineo il rubinetto».
Come farsi la doccia: «Insaponarsi ma non troppo, aprire l’acqua, spazzare via il bagnoschiuma con rapidità, chiudere l’acqua con celere mossa ed evitare che se ne perda una sola goccia».
Espertissimo in materia, prima o poi estenderà un manuale su come – attraverso piccoli gesti che ai più potrebbero sembrare banali – si può risparmiare acqua in ogni momento della giornata.
La sveglia per fare scorta
Il vecchio compagno di scuola non fa mai il bagno perché la sua vasca da bagno è sempre piena d’acqua, l’ultima riserva per i giorni più difficili, il tesoro di casa, la sua cassaforte.
Lui vive in un paese della provincia di Agrigento, terre arse da mezzo secolo, dove l’erogazione dell'acqua (che lì chiamano il “prezioso liquido”) quando va bene è prevista ogni quattro o cinque giorni e per due o tre ore. Di solito arriva di notte.
Così deve puntare la sveglia per fare scorta e riempire i due serbatoi che ha sistemato sul tetto in mezzo ad antenne e parabole, e naturalmente riempire anche i bidoni sparsi in ogni stanza. Ma non sempre ci riesce. A volte, qualcuno più svelto di lui lo lascia a secco.
Vista da giù, dalle province interne della Sicilia, questa “emergenza idrica” che affligge l’Italia fa un po’ (tristemente) sorridere. È niente rispetto alla sete che soffrono almeno un milione e passa di siciliani dalla fine degli Anni Sessanta.
E ormai non c’è neanche più smarrimento o panico, ci si adegua, al limite si impreca ogni tanto contro “quei cornuti della regione”.
Si scavano pozzi, si montano “motorini” (autoclavi) sempre più potenti per succhiare acqua e strapparla ai vicini del condominio, ci si organizza con le taniche, ci si affida agli "autobottisti”, si compra acqua dai padroni delle sorgenti e in circostanze particolarmente drammatiche si compra pure la minerale per lavarsi. Ci sono Italie molto distanti fra loro.
La sete che cambia il paesaggio
Mia madre, che se n’è andata a 95 anni due inverni fa, dal 1975 non ha mai saputo se l’acqua che sgorgava dai rubinetti della cucina di casa sua – un appartamento in un quartiere residenziale di Caltanissetta – fosse acqua corrente o “di serbatoio”, quella che si accumulava lentamente distribuzione dopo distribuzione nelle enormi vasche costruite al posto del parco giochi per bambini previsto originariamente in un condominio di via Malta.
La grande sete, in certe zone della Sicilia, ha cambiato il paesaggio urbano. L’acqua che non c’è ha modificato i progetti degli ingegneri, soffocato la creatività degli architetti, stravolto i piani di costruzione.
Un collega, Fabio Russello, che scrive per il giornale La Sicilia dal centro dell’isola, racconta delle sue disavventure idriche che poi trasfoma in articoli: «Noi siamo abituati fin da bambini ad avere a che fare con il razionamento, i nostri genitori ci hanno insegnato che il rubinetto non si tiene mai aperto facendo scorrere l’acqua inutilmente. È ovvio che le ragioni dell’acqua razionata al nord sono legate al cambiamento climatico, da noi l’acqua invece è stata sempre scarsa per le dighe che non ci sono o perché le dighe non hanno mai avuto un’adeguata manutenzione, per le le reti idriche colabrodo che disperdono tutto e anche per altre ragioni».
Il collega Fabio Russello, che abita a Canicattì, a metà strada pressappoco fra Caltanissetta ed Agrigento, quando finisce le scorte acquista 9mila litri di acqua a 15 euro. La prende da privati, dai mercanti che si arrichiscono con la siccità permanente. È il prezzo di una ”bonza”, una cisterna, un carico.
I ”signori“ delle cisterne
Avendo girato in lungo e in largo la Sicilia per tanto tempo, ho avuto modo di conoscere alcuni di questi “signori dell'acqua”. Uno dei più popolari ad Agrigento è Domenico Cimino.
L’ho conosciuto quando ero ragazzo in una delle contrade intorno alla Valle dei Templi mentre vendeva acqua, l’ho ritrovato un paio di anni fa nella stessa zona mentre vendeva acqua. Tutto passa ma Domenico Cimino resta.
Sembra eterno come i templi greci in cima alla Rupe Atenea. La sua fortuna è un pozzo ereditato da suo padre Gioacchino e che andrà in lascito a suo figlio Gioacchino, che già ha cominciato a fare trasporti di qua e di là, commercianti d’acqua da tre generazioni sono in moto perpetuo per la provincia guadagnadosi non solo sostentamento ma anche la riconoscenza di una popolazione assetata per destino infame.
Ci sono siciliani che sanno tutto dell’acqua che non c’è. Sanno di tubi, dighe, reti idriche interne, acquedotti, allacci abusivi, prolungamenti, condotte volanti, di metri cubi pompati o scaricati, dei livelli giornalieri degli invasi come La Castello, il Fanaco e il Leone, come il Gammauta e la Garcia.
L’acqua nell’agrigentino condiziona sensibilmente anche il mercato immobiliare. Una casa vale di più se sotto invece della cantina ha la cisterna. E più grande è la cisterna più sale il prezzo della casa.
Cosa c’è nel sottosuolo di alcuni paesi e città della Sicilia interna nessuno lo sa con esattezza, la mappa delle condotte è un segreto che non conoscono i geometri degli uffici idrici comunale, non conoscono spesso nemmeno i sindaci.
Un prefetto di Agrigento, una decina di anni fa, fece ferro e fuoco per procurarsi una pianta delle condutture d’acqua e non ci riuscì. È un mistero che custodiscono solo alcuni anziani fontanieri, è solo nella loro memoria l'intrico di canali e serpentine di ghisa che s'incrociano là sotto.
Avere un amico fontaniere è come fare bingo. Capita che l’acqua arrivi in un palazzo e non arrivi nel palazzo accanto, sulla stessa via. Ad Agrigento, è successo anche sullo stesso pianerottolo: un appartamento all’asciutto e quello difronte inondato. L’amico fontaniere.
L’acqua che non c'è sino a qualche anno fa ad Agrigento era anche l’acqua più cara d’Italia, una famiglia agrigentina la pagava quattro volte più che una famiglia di Milano.
Favori e furti
Poi c'è stato lo scandalo di "Girgenti Acque” per le assunzioni di amici e familiari dei notabili locali, in cambio prezzo dell'acqua gonfiato. Il processo è iniziato appena qualche giono fa, imputati imprenditori, deputati regionali, ex presidenti della provincia, poliziotti, ex prefetti e anche qualche giornalista. Tutti favoreggiatori o favoriti in qualche modo dalla "Girgenti Acque”. Fino al 2007-2008 poteva succedere che i turni di erogazione avvenissero due volte al mese, oggi a Racalmuto l'acqua viene distribuita ogni quattro giorni, nella fortunatissima Sciacca un giorno no e un giorno sì ma solo di mattina. C'è anche quando l'acqua finisce "sotto scorta”, condotte sorvegliate da telecamere e guardiani per far desistere i ladri, elicotteri che ogni tanto si alzano per monitorare le "fonti di approvvigionamento”. C'è anche quando intervengono i carabinieri, di ronda lungo i quaranta chilometri di condotta che porta l'acqua dal dissalatore di Gela fino a Licata. Furti d'acqua, un'altra delle piccole grandi guerre della Sicilia.
L’incubo del Madonie Est
Un paio ricordi personali, credo significativi. Quando ho iniziato a fare il giornalista all’ufficio di corrispondenza del giornale L’Ora di Caltanissetta – siamo nella seconda metà degli Anni Settanta – su dieci “pezzi” che il caporedattore mi commissionava nove trattavano di acqua.
E la metà di questi riguardavano il “Madonie est”, un malandato acquedotto che scendeva dalle montagne e non faceva arrivare in città nemmeno un litro di “prezioso liquido”.
L’acqua, a Caltanissetta, veniva distribuita anche ogni ventuno giorni. Quando un quarto di secolo fa mi sono trasferito a Roma, oltre ai mobili e agli scatoloni di libri, gli operai della ditta di traslochi si sono trovati fra le mani anche due bidoni da 20 litri. Mi hanno chiesto cosa c’era dentro. Sono rimasti sbalorditi dalla mia risposta: «Acqua».
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