- Le ricerche mostrano che gli italiani ritengono irrilevante l’intervento pubblico per ridurre le diseguaglianze, in netto contrasto con il resto dell’Unione europea.
- La cultura politica socialista e democratica che faceva dell’intervento pubblico il perno per raddrizzare le distorsioni socio-economiche e territoriali, sembra svanita.
- Anni di liberismo alle vongole, propalato dai media “di regime” come avrebbe detto Ernesto Rossi, hanno modificato le opinioni degli italiani.
L’egemonia culturale della destra forza-leghista negli ultimi venticinque anni, accettata sostanzialmente e supinamente anche dalla sinistra soprattutto nel periodo renziano, si staglia in maniera chiara e inequivocabile non tanto nel dibattito politico, e già questo sarebbe un indicatore sufficiente, bensì attraverso i dati delle ricerche condotte da team internazionali negli ultimi anni, dal 2010 al 2022, in 18 paesi europei.
Un volume che raccoglie e analizza in forma chiara e intellegibile questa grande messe di dati è offerto da Leonardo Morlino e Francesco Raniolo, Disuguaglianza e democrazia (Mondadori educational, 2022). Tra le tante informazioni disponibili, una illumina in maniera quasi abbagliante un passaggio di epoca rispetto alla fine del secolo scorso: l’irrilevanza che gli italiani attribuiscono all’intervento pubblico per ridurre le diseguaglianze. Appena il 5 per cento lo ritiene opportuno, ultimi in Europa. Nessun’altra opinione pubblica ha valutazioni così negative, tanto che la media europea è del 20,4 per cento e in Svezia si arriva, ovviamente, al 48,1 per cento.
La cultura politica socialista e democratica – non solo Pietro Nenni ma anche Ugo La Malfa e la sinistra democristiana – che faceva dell’intervento pubblico il perno per raddrizzare le distorsioni socio-economiche e territoriali, sembra svanita. Anni di liberismo alle vongole, propalato dai media “di regime” come avrebbe detto Ernesto Rossi, hanno modificato le opinioni degli italiani.
Non c’è da stupirsi, allora, se il governo Meloni stia avviando una politica antipopolare con lo scardinamento del reddito di cittadinanza, uno strumento contro la povertà che esiste in ogni paese dell’Ue. L’ideologia del mercato, regolatore perfetto che assicura a tutti, basta volerlo e impegnarsi, un reddito frutto del proprio impegno, e del povero come un fannullone sfruttatore della fatica dei laboriosi cittadini, si concretizza in questi propositi del governo. A cui fa da ovvio pendant un bel condono agli evasori.
Interventi a monte
Il disinteresse del nostro governo per ridurre le diseguaglianze ha effetti anche su un piano diverso. La sfiducia nei confronti delle istituzioni, e lo stesso disincanto da parte dei ceti sottoprivilegiati nei confronti dei processi politici, a partire dalla partecipazione elettorale, discende anche da una considerazione negativa sull’inazione o l’inefficacia degli interventi sul terreno dei diritti sociali.
Anche nei paesi in cui la sinistra è andata potere, sottolineano Morlino e Raniolo, la diseguaglianza non è stata sostanzialmente ridotta perché sono state abbandonate politiche tendenzialmente pro labour. L’Europa vive ancora il grande freddo delle politiche distributive (di interventi di welfare) e a maggior ragione di quelle redistributive (ridefinizione delle risorse tra gruppi sociali, tendenzialmente a favore dei più svantaggiati).
Una politica distributiva come quella del reddito di cittadinanza costituisce solo un tampone, un rimedio di ultima istanza, perché interviene alla fine del processo di formazione del reddito, allorquando si constata il fallimento di una economia ben funzionante in grado di beneficiare una vasta platea di cittadini. Molto più efficace, come sottolineato anche nel recente volume di Carlo Trigilia (La sfida delle diseguaglianze, Il Mulino 2022), con il quale Morlino e Raniolo concordano, sarebbero gli interventi a monte, cioè laddove si definiscono le politiche pubbliche sul piano economico – ad esempio, diversa modalità di prelievo fiscale – e sul piano sociale – ad esempio, migliore definizione del welfare.
L’Italia, che ha cancellato la tassa sulla casa – nonostante esista in tutti i paesi avanzati – e che ha praticamente annullato l’imposta di successione – anche qui presente ovunque – è un paese che predilige gli interessi dei più benestanti, in quanto evita di acquisire risorse laddove esistono per ripartirle laddove ce n’è bisogno. E soprattutto evita di far pagare chi deve.
Lascia interdetti che in Italia solo l’1 per cento dei contribuenti dichiari di guadagnare più di 100mila euro. Uno schiaffo in faccia ai cittadini onesti. Che la destra si muova a favorire evasori e malfattori innalzando il tetto del contante e elargendo condoni è nelle cose. Favorisce il proprio elettorato. Risulta invece “incomprensibile” che la sinistra si sia mostrata così a lungo acquiescente nei confronti di un modello economico-sociale che puntava, senza riuscirci, a favorire innanzitutto la crescita economica, lasciando nel retrobottega la lotta alle diseguaglianze.
Un atteggiamento ben esemplificato dall’opposizione feroce al reddito di cittadinanza da parte del Pd renziano e post renziano. La sinistra si è giustamente preoccupata di assicurare le compatibilità finanziarie per evitare di far precipitare il paese in una crisi come quella prodotta dal governo Berlusconi nel 2011. Ma non toccare alcuna leva per modificare gli squilibri socio-economici è costato l’abbandono dei ceti popolari. Un peccato mortale per un partito che si vuole socialista e di sinistra.
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