Sul frontale di Carlo Calenda contro di lui, Maurizio Landini dice poche parole e malvolentieri, la domenica mattina su Radio 24: «Le lavoratrici e i lavoratori hanno detto quello che pensano. Se si vuole rispetto bisogna avere rispetto. I lavoratori e le lavoratrici sono persone intelligenti. Quelli della Magneti Marelli di Crevalcore li conosco personalmente, insieme a loro ho lottato per tenere aperta quell’azienda».

Per Landini il caso è chiuso: quello di Calenda che lo accusa di aver soprasseduto sulla cessione di Marelli da parte di Fca per non urtare la stampa controllata dallo stesso gruppo, dei lavoratori in lotta che dichiarano l’ex ministro «persona non gradita» ai cancelli (229 licenziamenti, la fabbrica rischia di chiudere), dell’ex ministro che arriva a Crevalcore e si lancia all’inseguimento degli operai per parlarci, ma loro girano le spalle e se ne vanno. Per la Cgil Calenda «è in cerca di un minuto di notorietà», punto.

Eppure il crescendo rossiniano di affondi, contro il sindacato e il suo leader, per Corso d’Italia sono puntini da unire: dagli articoli che fanno le pulci ai bilanci Cgil e alla sua organizzazione interna, a quelli sullo scivolone del licenziamento del portavoce storico, alle dichiarazioni della ministra del lavoro Marina Elvira Calderone («vigileremo sulla Cgil»), fino ai lazzi di Calenda.

Segnali d’allarme. Ma in definitiva in queste settimane sono stati anche l’occasione di chiamare a raccolta tutti i compagni di strada in vista della manifestazione del 7 ottobre: hanno innescato un moto di solidarietà con il sindacato. E in Landini hanno rafforzato una convinzione: che il corteo, anzi i due cortei del prossimo sabato a Roma – partenza alle 13 e 45, uno da piazza della Repubblica e uno da piazzale dei Partigiani, destinazione piazza San Giovanni, Landini chiude dal palco alle 17:15 – mettano in apprensione il governo e la maggioranza di destra. Perché se il segretario si dichiara «stanco» di negare di voler scendere in politica («sono dieci anni che me lo dicono»), stavolta non c’è nessuno, alla sede nazionale della Cgil, che neghi che quella del 7 ottobre è una manifestazione «politica». Intanto per il titolo, “La via maestra, insieme per la Costituzione”, e per le parole d’ordine, ben oltre le vertenze sindacali: «Per il lavoro, contro la precarietà, per il contrasto alla povertà, contro tutte le guerre e per la pace, per l’aumento dei salari e delle pensioni, per la sanità e la scuola pubblica, per la tutela dell’ambiente, per la difesa e l’attuazione della Costituzione contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della nostra Repubblica parlamentare».

Ma soprattutto perché il cartello dei promotori è sterminato: più di cento associazioni, fra cui alcune “pesanti” dal punto di vista degli iscritti, come l’Arci, altre pesanti politicamente, come le cattoliche Acli, ma ci sono anche i comuni di Ali, l’ex Lega delle autonomie, Legambiente, Libera, Cnca, Comunità di San Benedetto al Porto, Emergency, Rete per la pace e il disarmo, Sbilanciamoci, Udi, Wwf.

Conclusione: se le opposizioni in parlamento non danno pensieri alla premier, non si può dire la stessa cosa di Landini, leader di un’organizzazione con cinque milioni di iscritti, che si mette alla testa di una coalizione sociale variegata, civica, con troppi cattolici all’interno per essere liquidata come il solito sindacato di sinistra e la solita sinistra. Anzi, qui la sinistra ci sarà, lo vedremo, ma rischia di essere un puntino in un mare. Insomma il Landini che promette battaglia contro la manovra fino allo sciopero generale, qualche preoccupazione a palazzo Chigi la dà.

La coalizione sociale

Per denunciare gli attacchi contro di lui, lo scorso 22 settembre, il segretario ha convocato i cronisti ed elencato la contabilità del fallimento del governo: «Nei primi sette mesi dell’anno 559 morti sul lavoro, con una media di 80 decessi al mese, quattro milioni di italiani hanno rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie, pari al 7 per cento della popolazione, 800mila persone in condizione di bisogno percepivano il reddito di cittadinanza E ora sono lasciate sole, 8 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo del contratto, 3.365.000 dei quali nel settore pubblico, 1,037 milioni di occupati che lavorano da 1 a 11 ore settimanali, la diminuzione del reddito dei pensionati a causa dell’inflazione tra il 2018 e il 2022 è pari al -10,6 per cento».

Da palazzo Chigi scrutano la parabola del sindacalista, sicuri che presto o tardi si presenterà negli abiti di leader politico. A Corso d’Italia invece giurano con fastidio che Landini porterà a compimento il suo secondo mandato da segretario. Non è questo il punto, viene spiegato: il punto è che il governo va avanti da solo, senza i sindacati, anzi prova a renderli irrilevanti. Dunque nelle prossime mobilitazioni, a partire dal 7 ottobre e a finire con lo sciopero generale, la Cgil prova una dura e anche rischiosa prova di forza: dimostrare a Meloni che non può prescindere dal sindacato. Per questo gli serve di accumulare forza d’urto. Sarà un autunno caldo: la manifestazione, l’approvazione della Nadef in parlamento, poi il ritorno alla Camera del salario minimo, probabilmente il 17 ottobre – ma sul nuovo assetto del Cnel, che deve scrivere la proposta per conto della maggioranza, pende una serie di ricorsi – poi la finanziaria. Lo sciopero generale.

Cisl e Uil sabato non saranno in piazza, ma è difficile che la Uil si sottragga. E segnali se non di incoraggiamento almeno di solidarietà contro i disastri del governo, interessati quanto si vuole, stavolta sono arrivati persino da Confindustria. Questa è la partita di Landini. Il suo futuro dopo la Cgil, fra poco meno di quattro anni, per ora resta oltre l’orizzonte.

E qui va aperta una parentesi: quando Landini dice «sono dieci anni che me lo dicono» intende dire che lo accusavano di voler fare il salto in politica già dal 2015, quando da capo della Fiom e leader invocato da tutta la sinistra radicale mise insieme una rete infinita di associazioni, quasi le stesse di oggi, per «unire quello che la crisi divide». Non un partito, una “coalizione sociale”, che si scagliò contro il premier Matteo Renzi e il Jobs act. Ma alla fine le associazioni hanno sentito davvero odore di partito, e si sono ritirate. Sono passati dieci anni, non è detto che stavolta vada così.

I numeri

Sabato dopo pranzo, l’ultima call, cioè l’ultima riunione fra Landini e i rappresentanti delle categorie sindacali, ha dato la misura della manifestazione. Vietato sparare numeri, ma si annuncia imponente. Per dirla con il dem Arturo Scotto, «la più grande degli ultimi dieci anni». In molte regioni da giorni è impossibile trovare un pullman in affitto: tutti prenotati. I primi a fare il sold out sono stati i liguri: a metà settembre si erano accaparrati tutto il trasporto su gomma disponibile e annunciavano «l’assalto ai treni». Così in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lombardia. A spanne: da tutta Italia il sindacato ha prenotato il viaggio per Roma di almeno 60mila persone. A questi vanno sommati i militanti che si muoveranno con mezzi propri. Poi ci sono le più di cento associazioni promotrici, non tutte hanno scelto i pullman Cgil. E infine va aggiunta quella che in tutte le manifestazioni nazionali è la voce “Roma”: se “Roma” si muove può portare dalle 20mila alle 50mila persone.

La presenza del Pd

Anche per questo Elly Schlein schiera il suo nuovo Pd solidamente a fianco della Cgil dentro quella piazza. Rischiando la polemica fra i suoi. La manifestazione sarà il secondo atto ideale di quella della pace dello scorso 5 novembre: e il Pd resta un partito favorevole agli aiuti militari all’Ucraina. In più i riformisti giudicano Landini «un massimalista», e la sinistra interna osserva che Landini, per rinforzarsi, deve scavalcare il Pd: e se Schlein lo rincorre, non si sa dove va a finire. Comunque Schlein sarà in corteo, e così il leader M5s Giuseppe Conte. Dal Pd nazionale restano sulle generali. «Ci saranno moltissimi democratici in piazza», spiega il responsabile organizzazione Igor Taruffi. Ma il segretario cittadino Enzo Foschi spiega che la presenza sarà organizzata: «Il percorso di mobilitazione è iniziato da tempo, abbiamo raccolto le firme sul salario minimo, sulla sanità pubblica e, questo week end, sulla scuola pubblica. Il 7 ottobre in piazza avremo un nostro striscione: condividiamo tutti i temi della piattaforma, daremo massima visibilità alla nostra presenza, è finito il tempo della presenza in incognito».

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