Non è una semplice stupidaggine, è indice di un modo di pensare di quei ricchi che pensano di diventare ancora più ricchi grazie alla pandemia
- L’assessora Letiza Moratti ha chiesto al commissario Arcuri di tenere conto anche del prodotto interno lordo nella distribuzione dei vaccini. Non ha solo detto la più odiosa delle stupidaggini. Ha anche manifestato la più selvaggia idea di società che sia capitato di sentire in questi tempi grami.
- Ma, ammesso e non concesso, se dobbiamo mandare più vaccini in Lombardia, in quanto «motore dell’economia d’Italia», perché non mandarli tutti in Germania, la «locomotiva d’Europa»?
- Purtroppo ci sono pensatori a pancia piena che pensano a uscire più ricchi dalla pandemia, come i loro genitori uscirono più ricchi dalla seconda guerra mondiale.
La nuova assessora al Welfare della Lombardia Letizia Moratti ha chiesto al commissario Domenico Arcuri che nella distribuzione delle dosi di vaccino alle regioni si tenga conto non solo del numero degli abitanti, ma anche del prodotto interno lordo (Pil). Il ministro della Salute Roberto Speranza l’ha presa alla lettera e si è arrabbiato: «La salute è un bene pubblico fondamentale garantito dalla Costituzione. Non un privilegio di chi ha di più».
Ma Moratti – ex ministra della Pubblica istruzione, ex sindaco di Milano, ex presidente della Rai ed ex presidente della banca Ubi, nonché vedova di uno degli uomini più ricchi d’Italia – non ha solo detto la più odiosa delle stupidaggini. Ha anche manifestato la più selvaggia idea di società che sia capitato di sentire in questi tempi grami.
Parafrasando il leggendario detto del ministro della Polizia francese Joseph Fouché (1759-1820), quella di Moratti è peggio di una sciocchezza, è un errore. Infatti l’assessora, per rimediare alla figuraccia del lunedì, ha escogitato la spiegazione del martedì, argomentando che non si tratta di privilegiare i più ricchi ma di salvaguardare il «motore d’Italia». Se si permette al Covid di fermare per troppo tempo l’economia lombarda, dice, «questo penalizzerebbe tutta l’Italia». Purtroppo per lei questo è semplicemente falso.
Sacrificare l’uguaglianza
Quando una comunità affronta un pericolo mortale, quasi sempre deve sacrificare il principio di uguaglianza all’interesse generale. Un caso di scuola è quello del disastro aereo delle Ande. Nel 1972 un aereo precipita in mezzo alle montagne argentine, ad alta quota, 16 passeggeri su 45 sopravvivono ma nessuno li trova e devono cavarsela da soli, anche nutrendosi dei cadaveri dei deceduti.
Tra i 16 sconosciuti si salda un autentico patto di solidarietà. Designano i due più tonici perché scavalchino montagne innevate di oltre 4mila metri alla ricerca di presenze umane a cui chiedere aiuto. Decidono (tutti insieme) che i due esploratori si mettano in forze con razioni di cibo maggiori degli altri. Assumono (volontariamente) il rischio di morire di fame per consentire ai “privilegiati” di salvare tutti. A sessanta giorni dall’incidente arrivano due elicotteri a prenderli, ma a salvarli è stata, in senso non sentimentale ma tecnico, la solidarietà.
La scelta tragica è un luogo comune della letteratura ma stavolta l’occidente ricco, tutto insieme, la deve fare sul serio. Dobbiamo decidere chi vaccinare e chi no. Medici e infermieri, anche se giovani, li proteggiamo per una valutazione razionale: se si ammalano loro, nessuno curerà gli altri. Le dosi per i sanitari le togliamo agli anziani, ai quali pure è stata data la precedenza perché sono i più a rischio.
Se i vaccini scarseggiano bisogna mediare le ragioni umanitarie con un superiore interesse generale. Ma quale interesse generale ha in mente Moratti? Davvero vuole convincere qualche giovane sardo o calabrese che il motore lombardo, se lo facciamo ripartire magari sacrificando i loro nonni, porterà il Bengodi nel Sulcis e sulla Sila? Il suo ragionamento risulta non stupido ma schiettamente classista, con la solita pigra cantilena che chi produce ricchezza lo fa per tutti.
Ma, ammesso e non concesso, se dobbiamo mandare più vaccini in Lombardia, in quanto «motore dell’economia d’Italia», perché non mandarli tutti in Germania, la «locomotiva d’Europa»? E perché non dare a Milano i vaccini di Lodi, visto che il Pil pro capite del capoluogo è il doppio? E soprattutto, se proprio dobbiamo difendere la trincea della produzione, perché non vaccinare gli operai di Milano prima degli anziani di Milano?
Nella logica morattiana, per privilegiare le aree dove si produce più ricchezza, si finirebbe per ritagliare i territori comune per comune, strada per strada, casa per casa. E si scoprirebbe che anche a Milano ci sono i produttori di ricchezza e i percettori di reddito di cittadinanza, i ricchi e i poveri appunto, e gli inutili pensionati. Qui casca l’asino.
La solidarietà è un’altra cosa
Se la Lombardia ha un Pil pro capite nettamente più alto del resto d’Italia, ha anche il reddito pro capite più alto. A differenza di ciò che Moratti si racconta con i suoi simili in chissà quale salotto o consiglio d’amministrazione, chi produce più ricchezza non la distribuisce ai meno fortunati.
Per questo il modello proposto dalla stimata imprenditrice non è stupido, semmai è astuto, sia pure di quella penosa astuzia confindustriale che tanti danni continua a fare. Ma ha un difetto, postula la guerra civile.
Prefigura uno scenario in cui i lombardi vaccinati fanno ripartire la loro economia a manetta mentre al sud muoiono di Covid (e di fame) come mosche per far ripartire “il motore d’Italia”. Il finale è noto: la brillante imprenditrice torna nei panni della politicante (che veste da decenni) e rilancia il verbo del federalismo fiscale caro ai suoi partiti di riferimento: i soldi restino a chi produce, e un bel ciaone al Sussidistan (ricordate?) e ai terroni scansafatiche. Per fortuna non ci crede nessuno.
La solidarietà tra 60 milioni di persone è una cosa molto seria, molto più seria che mandare bonifici a San Patrignano. Purtroppo ci sono pensatori a pancia piena che pensano a uscire più ricchi dalla pandemia, come i loro genitori uscirono più ricchi dalla seconda guerra mondiale. Papà sarebbe fiero di loro.
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