Nella prima visita di Giorgia Meloni a Bruxelles da presidente del Consiglio, Ursula von der Leyen le aveva riservato una certa dose di freddezza personale e istituzionale. Ora la presidente della Commissione europea si è trasformata forse nella miglior alleata della premier. Cosa è cambiato?
Nella prima visita di Giorgia Meloni a Bruxelles da presidente del Consiglio, poche settimane dopo il suo insediamento, la leader di Fratelli d’Italia sembrava convincere poco Ursula von der Leyen che a Meloni aveva riservato una certa dose di freddezza personale e istituzionale.
La presidente della Commissione europea, infatti, è sempre stata una popolare centrista; in questi anni ha lavorato bene con Macron, l’altro leader sospettoso verso Meloni; ha collaborato senza patemi con la sinistra socialista; ha sempre guardato con sospetto esplicito l’ascesa dei sovranisti.
Insomma, la neo presidente del Consiglio italiana non sembrava proprio il suo tipo. Ma la politica è l’arte dell’impossibile e a meno di un anno di distanza da quelle scene di distacco la fotografia è completamente diversa.
Von der Leyen si è trasformata forse nella miglior alleata di Giorgia Meloni. Ne ha benedetto la prima prudente legge di Bilancio; non ha eseguito forti pressioni per la ratifica del Mes; ha favorito le modifiche italiane al Pnrr e deliberato il rilascio di terza e quarta rata; ha messo Meloni in prima linea nelle varie missioni per la stabilizzazione dell’Africa. Cosa è cambiato in questi mesi?
Spostamento a destra
Senza dubbio ci sono stati alcuni dossier, di politica economica e politica estera, su cui il governo italiano ha ben giocato le sue carte mettendosi al riparo da critiche ed evitando imbarazzi alla Commissione.
C’è poi il cambio di equilibri nel Partito popolare europeo, a cui appartiene von der Leyen, con uno spostamento programmatico a destra di molti parlamentari europei spaventati dalla crescita della destra nazionalista in tutta Europa.
Non è un caso che Manfred Weber, presidente del Ppe, da mesi lavori per trovare una sponda con Meloni. Pesa in questo contesto anche la scomparsa di Silvio Berlusconi e la paura che Forza Italia, membro del Ppe, possa diventare evanescente sul piano elettorale.
Di conseguenza, seppur per interesse più che per simpatia, von der Leyen preferisce avere un rapporto solido con Meloni che può tornare utile dopo le elezioni europee dove Fratelli d’Italia potrà essere un attore fondamentale per la scelta del prossimo presidente della Commissione. E tutti a Bruxelles sanno che alla presidente uscente non dispiacerebbe un secondo mandato.
Ecco dunque che i pezzi del puzzle si incastrano in parte per la strategia del governo italiano e in parte per le ambizioni politiche di von der Leyen.
Il futuro
Tuttavia, questo scenario solleva alcune questioni politiche relative al futuro. La prima è che la Commissione europea, per lungo tempo considerata un organo tecnocratico, che in parte ancora è, è sempre più soggetta a meccanismi di politicizzazione.
Uno scenario favorevole in Europa può aiutare molto un governo nazionale con la Commissione che dà una mano, chiude un occhio, favorisce la negoziazione. Ai livelli decisionali più alti non c’è alcuna oggettività ma soltanto trama politica e anche i partiti un tempo considerati “radioattivi” per le proprie posizioni possono guadagnare spazio e legittimità.
La seconda considerazione riguarda fino a che punto la crisi dei popolari diventerà un corridoio per la destra. La cortesia di von der Leyen verso Meloni è certamente interessata, ma la politica si fonda più sull’interesse che sui sentimenti. E oggi l’interesse dei moderati è quello di cooperare con la destra.
Su uno schema simile scommettono anche alcuni analisti tedeschi che preconizzano una alleanza tra la Cdu e AfD a livello nazionale. In altri termini, pur di sopravvivere politicamente, i popolari sembrano disposti a legittimare la destra sovranista. Una destra che guadagna consensi elettorali ed è al governo oramai in numerosi paesi europei.
Ecco allora il possibile patto tra centro e destra: al primo la possibilità di restare al governo e tutelare formalmente le istituzioni, al secondo l’agibilità politica e il programma.
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