- Una vicenda emblematica delle conseguenze che possono determinarsi a causa della stratificazione e della complessità che connota la regolamentazione nazionale è quella dei 1.200 massofisioterapisti esclusi dall’esercizio della professione per la quale si sono formati.
- Secondo il Consiglio di Stato, il quadro normativo legittima la loro differenziazione giuridica rispetto a colleghi in possesso del medesimo titolo di studio, ma ricompresi in un regime di maggior favore.
- Invece i massofisioterapisti, che manifesteranno il prossimo 23 gennaio dinanzi al ministero della Salute, lamentano l’irragionevolezza dell’esclusione, cui conseguirebbe una discriminazione in ambito lavorativo nei loro riguardi.
La stratificazione normativa nuoce gravemente ai cittadini. Questo avviso dovrebbe comparire sopra ogni atto normativo.
Una vicenda emblematica sta riguardando circa 1.200 massofisioterapisti impossibilitati a svolgere la professione per la quale si sono formati, che manifesteranno il 23 gennaio per rendere nota la loro situazione e chiedere un incontro ai vertici del ministero della Salute.
La selva normativa
L’attività del massofisioterapista, esercitabile in base a un diploma, con la frequenza di corsi regionali di durata triennale, era originariamente inclusa tra le “professioni sanitarie”, in forza di una legge del 1971 (art. 1, l. n. 403/71).
Nel 1992, per l’esercizio delle “professioni sanitarie” fu richiesta una formazione universitaria, prevedendo che «i corsi di studio non riordinati fossero soppressi a decorrere dal 1° gennaio 1994» (d.lgs. n. 502).
Il ministero della Sanità non riformò quelli per massofisioterapisti, che quindi restarono ricompresi tra i “professionisti sanitari”, dato che la legge del 1971 non era stata abrogata. Nel 1997, i trattamenti ricompresi in tale professione furono precisati da un decreto ministeriale (n. 105).
Nel 1999 un’altra legge demandò a un decreto del ministro della Sanità, d'intesa con quello dell’Istruzione, il riordino della figura dei massofisioterapisti. Tale decreto non fu mai emanato, e l’attività continuò a essere svolta come “professione sanitaria” non riordinata.
Nel 2006 (l. n. 43), una legge subordinò lo svolgimento delle “professioni sanitarie” al conseguimento del titolo universitario.
Nonostante il legislatore intendesse formulare una perimetrazione rigida delle attività qualificabili come sanitarie, tuttavia continuò a salvaguardare le vigenti fonti di legittimazione, e la relativa disciplina, delle professioni (art. 7), inclusa pertanto quella dei massofisioterapisti, che quindi restò regolata dalla legge originaria del 1971. Peraltro, sul sito del ministero della Salute tale categoria rimaneva indicata fra le “professioni sanitarie” non riordinate.
Nel 2013, il Consiglio di Stato (sent. n. 3325) ritenne che la legge del 2006 non consentisse più di qualificare i massofisioterapisti come “professionisti sanitari”: con i titoli rilasciati dalle scuole regionali poteva conseguirsi unicamente l’inferiore profilo di “operatore di interesse sanitario”.
Nel luglio 2013, il ministero della Salute, recependo la pronuncia, modificò sul suo sito web la definizione dei massofisioterapisti: da quel momento, essi passarono da “professionisti sanitari” a “operatori di interesse sanitario”. Insomma, la modifica del sito istituzionale del ministero funzionò come una sorta di fonte del diritto.
Un capitolo definitivo si aggiunse nel 2018. La Legge di Stabilità 2019 (l. n. 145/18) abrogò la legge del 1971, che qualificava la figura del massofisioterapista come “professione sanitaria”, ma consentì la qualificazione come “professionisti sanitari”, mediante l’iscrizione in elenchi speciali, ai massofisioterapisti che al 1° gennaio 2019 avessero svolto per almeno 36 mesi, negli ultimi 10 anni, la relativa professione.
Vi rientravano coloro i quali avevano conseguito il diploma entro 2015, avendo iniziato il corso di formazione triennale entro l’anno formativo 2012/2013. La legge è stata attuata da un decreto del ministero della Salute del 9 agosto 2019.
Dunque, per effetto di tali disposizioni, mentre i massofisioterapisti che avevano maturato i requisiti previsti dalla legge hanno potuto godere dell’abilitazione all’esercizio della “professione sanitaria”, i colleghi sprovvisti di tali requisiti non hanno beneficiato della disciplina di maggior favore, rimanendo ricompresi tra gli “operatori di interesse sanitario”.
Le opposte versioni
A seguito di una complessa vicenda giudiziaria, avviata con un ricorso amministrativo presentato dai massofisioterapisti esclusi dagli elenchi speciali, sulla questione si è pronunciato il Consiglio di Stato nel giugno scorso (sent. n. 4513/2022).
Secondo i giudici, la qualificazione di “professione sanitaria” sarebbe stata preclusa all’attività dei massofisioterapisti a partire dal 2006, come già deciso nella citata sentenza precedente. Pertanto, non si sarebbe potuto parlare di un «affidamento ragionevole e tutelabile» dei ricorrenti allo svolgimento di tale professione: dopo il 2006 si poteva assumere solo la qualifica di “operatore di interesse sanitario”.
Nonostante ciò, il legislatore aveva comunque deciso di tutelare i massofisioterapisti iscritti ai corsi di formazione entro l’anno scolastico 2012/13 e diplomati entro il 2015: esclusivamente in capo a loro poteva ritenersi sussistente un’aspettativa qualificata, poiché solo nel 2013 il ministero della Salute aveva ufficializzato sul suo sito web che i corsi regionali consentivano di conseguire il mero titolo di “operatore di interesse sanitario”.
Inoltre, per i giudici sarebbe ragionevole e non discriminatorio il regime di favore solo per i massofisioterapisti in possesso di una pregressa esperienza di almeno di 36 mesi al 1° gennaio 2019.
Se pure essi non hanno conseguito un titolo di laurea, come i colleghi esclusi dagli elenchi speciali, il «congruo requisito esperienziale» compenserebbe tale mancanza.
I massofisioterapisti esclusi dagli elenchi speciali, invece, protestano perché reputano che la legge del 2018, la quale ha sancito tale esclusione, avrebbe leso il loro affidamento di poter svolgere un’attività equiparata alla “professione sanitaria”: quando si sono iscritti ai corsi di formazione era ancora vigente la legge del 1971, che li qualificava come “professionisti sanitari”.
Quindi, anche la loro posizione, come quella dei colleghi che beneficiano della disciplina di maggior favore, sarebbe stata meritevole di tutela.
Il legislatore avrebbe, pertanto, compiuto una scelta irragionevole, senza peraltro valutare la proporzionalità tra il peso imposto ai destinatari della norma e il fine perseguito, come previsto.
Soprattutto, i massofisioterapisti che non fruiscono del regime agevolato vedono limitate le proprie possibilità lavorative, con un danno che va oltre la qualificazione formale di “operatore di interesse sanitario” o “professionista sanitario”: essi possono svolgere soltanto attività ausiliarie alla terapia, e non una vera e propria attività terapica, come invece i colleghi iscritti negli elenchi speciali. Ed è una penalizzazione notevole.
I massofisioterapisti danneggiati hanno adito la Corte europea dei diritti dell’Uomo. In caso di pronuncia positiva, la vicenda giudiziaria nazionale potrebbe essere riaperta. Intanto, 1.200 persone restano intrappolate in un groviglio di regole che finora non è stato districato come servirebbe.
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