Dalla scorsa settimana è possibile fare domanda per ricevere l’Assegno di inclusione, il nuovo volto del Reddito di cittadinanza. In attesa di valutare l’andamento delle richieste, l’occasione è utile per cercare di fare il punto su un tema, quello delle politiche per la povertà e insieme delle politiche per il lavoro, che pare essere completamente uscito dai radar del dibattito pubblico.
Sappiamo infatti che il nuovo impianto voluto dal governo prevede quella che è una sostanziale copia del vecchio strumento (l’Assegno di inclusione) e, per i cosiddetti occupabili, il nuovo Supporto per la formazione e il lavoro. La vera criticità, a oggi, è quella di avere un insieme di dati sufficientemente dettagliati per poter sapere come sta andando soprattutto questo secondo strumento, che tra i due è il più delicato.
Infatti oggi sappiamo solo che 127mila persone hanno fatto richiesta, su una base potenziale stimata dalla relazione tecnica di accompagnamento alla legge di 350mila. Ma di questi non sappiamo né quanti fossero precedentemente percettori di reddito di cittadinanza (alcuni dati, non aggiornati, ci dicono che almeno 30mila non lo fossero) né se la domanda presentata abbia avuto esito positivo, né soprattutto se le persone siano state inserite in qualche azione formativa e quindi percepiscano i 350 euro previsti come indennità. Dal 2024 la platea stimata crescerà e arriverà a 615mila persone, numeri che da soli giustificano la necessità di avere dati che aiutino a capire come stia andando. Anche perché, in tutto ciò, la transizione tra Anpal e Sviluppo Lavoro Italia ha fatto sì che anche i monitoraggi periodici sul programma “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (Gol) siano stati sospesi, e quindi mancano informazioni anche su questo fronte, fortemente connesso con il Supporto per la formazione e il lavoro.
In assenza di dati, ci si può basare su altri elementi per provare a ipotizzare cosa stia accadendo. Si è detto in più riprese che la buona performance del mercato del lavoro in Italia degli ultimi mesi sta beneficiando degli ex percettori di reddito di cittadinanza occupabili che, in assenza del sussidio, sarebbero stati obbligati a cercare un lavoro, trovandolo.
Dai dati che abbiamo, questa ipotesi sembra plausibile solo in minima parte, se è vero che c’è stata una leggera crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno (dove si concentrava la maggior parte dei beneficiari) ma questa non riguarda le persone con un titolo di studio basso (la maggioranza tra i beneficiari) e si concentra soprattutto tra gli over 50. È quindi possibile che ex percettori abbiano trovato un lavoro, ma di certo in misura marginale. Un’altra spiegazione è che molti degli occupabili percettori in realtà lavorassero in nero, e quindi fossero effettivamente impegnati quotidianamente, condizione che impedirebbe di essere inseriti in corsi di formazione. Non solo, la bassa indennità prevista non incentiverebbe il lasciare un lavoro irregolare con una paga migliore.
In ultimo, lo scoraggiamento rispetto alla proposta di corsi di formazione che difficilmente saranno attivati e l’urgenza di avere un reddito dopo aver perso il sussidio potrebbe aver spinto le persone verso lavori e lavoretti irregolari immediati sebbene, probabilmente, saltuari. Ci troviamo, purtroppo, nel regno delle ipotesi in assenza di dati che profilino la platea dei richiedenti.
Ma allo stesso tempo questo tema non può essere lasciato sullo sfondo, fagocitato dalla soddisfazione di dati del mercato del lavoro che continuano a essere positivi. Pensare che questi dati siano sufficienti, nell’ultimo paese europeo per tasso di occupazione, a mettere in secondo piano 600mila persone che rischiano di essere assorbite dal vortice del lavoro irregolare o, nella migliore delle ipotesi, di permanere in uno stato di povertà, non ci porterà lontano.
La scommessa della formazione, di per sé corretta, non può basarsi sullo status quo che già mostra i suoi risultati. Il tempo stringe, difficilmente dopo il 2026 avremo una possibilità come quella del Pnrr per fare qualcosa, e purtroppo è ormai difficile che ci riusciremo.
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