Nella legge di Bilancio varata dal governo che arriva in Senato c’è un articolo che ha allarmato gli ambientalisti perché destina 150 milioni ai progetti per riuso delle materie, efficienza energetica ma anche stoccaggio e riutilizzo della CO2 (Ccus). Per ora in Italia, dice Luca Iacoboni di Greenpeace, «l’unica compagnia che ha presentato un progetto è Eni, che vuole usare così i giacimenti dismessi di Ravenna per produrre idrogeno blu da metano. Una soluzione che finisce per avvantaggiare le fonti fossili».

La formulazione

La legge è vaga: «Allo scopo di favorire l’adeguamento del sistema produttivo nazionale alle politiche europee in materia di lotta ai cambiamenti climatici» nasce presso il ministero dello Sviluppo economico il Fondo per il sostegno alla transizione industriale «per la realizzazione di investimenti per l’efficientamento energetico, per il riutilizzo per impieghi produttivi di materie prime e di materie riciclate, nonché per la cattura, il sequestro e il riutilizzo della CO2».

A stabilire come sarà attuato ci penserà poi il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, di concerto con quello dell’Economia, Daniele Franco, e quello del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

Lo stoccaggio della CO2 potrebbe potenzialmente interessare molti settori, dalle acciaierie, ai cementifici. Tuttavia, si legge in uno studio del think tank Ecco, «gli unici esempi di applicazioni relativamente mature riguardano l’industria dell’upstream petrolifero». Quindi, accusa Ecco, più la Ccus rappresenta un’estensione delle attività dell’industria fossile con la prospettiva di procrastinare la dismissione degli impianti.

Il progetto Eni

LaPresse

Lapo Pistelli, ex viceministro degli Esteri passato nel 2017 all’Eni, nel corso di un’audizione parlamentare aveva detto che il progetto era candidato oltre che per il Fondo Innovazione anche per i nuovi aiuti europei post-Covid. Lo aveva detto ancora prima che venisse formalizzato il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il megadeposito di Ravenna è arrivato fino alla prima bozza del Pnrr redatta dal governo Conte, per poi scomparire nella successiva e non tornare nel piano definitivo inviato a Bruxelles.

La compagnia energetica controllata dal Tesoro ha comunque richiesto l’autorizzazione alla conversione del giacimento Porto Corsini, nel ravennate, un progetto pilota dalle dimensioni ridotte. Al momento, specifica Eni, «non è previsto il ricorso a finanziamenti di carattere pubblico». Ma ricorda che in Inghilterra un progetto simile «ha ricevuto fondi governativi per circa 33 milioni di sterline (circa 40 milioni di euro), che coprono circa il 50 per cento dei costi per gli studi di progettazione in corso».

In un’intervista al Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi aveva detto che «potremmo essere in grado di stoccare dai 4 ai 5 milioni di tonnellate di CO2 l’anno». Secondo le stime Eni, si tratterebbe in totale di 300-500 milioni di tonnellate di CO2. Il costo finale si aggirerebbe sui 2 miliardi.

Per Iacoboni di Greenpeace, già le parole di Descalzi sono una garanzia di fallimento ambientale: «Solo di emissioni “scope 1 e 2”, quindi dirette e da giacimenti che operano direttamente, Eni emette 43 milioni di tonnellate l’anno».

Per il think tank Ecco, «la Ccus è una soluzione altamente inefficiente da un punto di vista economico e contraddittoria rispetto alla strategia complessiva di decarbonizzazione».

La linea di Draghi

Di recente, sulla cattura del carbonio è intervenuto lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi: «Nel lungo periodo dobbiamo essere consapevoli che le energie rinnovabili possono avere dei limiti», ha detto nel corso del suo discorso alla Cop26, la conferenza per il clima attualmente in corso a Glasgow, «nel frattempo, dobbiamo investire in tecnologie innovative per la cattura del carbonio».

Se si tratti di ex Ilva, cementifici, o industria fossile, non è dato sapere. Il ministero dello Sviluppo economico reinterpellato da Domani sulle reali intenzioni non ha commentato.

© Riproduzione riservata