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L’unica ipotesi per ora è quella di modificare la legge attuale, eliminando i collegi uninominali e inserendo un premio di maggioranza. Ma il quadro può cambiare in vista del Quirinale, con Forza Italia che rischia di implodere, divisa tra filoleghisti e ministri legati al governo.
- L’unico scenario possibile perché si possa ragionare di proporzionale è: la Lega, che mette il veto su questo modello, dovrebbe lasciare il governo Draghi, che a quel punto sarebbe sostenuto da una “maggioranza Ursula” come quella europea.
- La fuoriuscita della Lega è legata a una possibilità: che Mario Draghi voglia andare al Quirinale. Per questo anche la partita della legge elettorale è legata all’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
Una legge elettorale proporzionale «è una bolla giornalistica». La liquida così un esponente di primo piano del Partito democratico, escludendo categoricamente che un’ipotesi di proporzionale con soglia di sbarramento ma senza premio di maggioranza sia in campo.
L’unico vero dibattito tra Pd e Lega, invece, riguarda la modifica dell’attuale legge elettorale con «una soglia per ottenere il premio di maggioranza e l’eliminazione del 35 per cento di collegi uninominali dalla legge attuale», spiega. In realtà, al netto della sua realizzabilità, esiste un lavorìo sotterraneo che guarda al proporzionale.
A certificarlo basta il fatto che il centrodestra abbia diramato un comunicato congiunto tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia per esplicitare «l’indisponibilità a sostenere una legge elettorale proporzionale». La necessità di dire no all’ipotesi nasce proprio dal fatto che esistono fazioni interne ai singoli partiti che in questa direzione stanno riflettendo: nel Pd; dentro il Movimento 5 stelle e in Forza Italia, oltre che nella compagine centrista che va da Italia viva ad Azione.
Alla base dell’iniziativa interna al Pd c’è quella che in gergo viene chiamato il «timore del tiranno»: una legge con un premio di maggioranza va nella direzione di consegnare al centrodestra il paese. Invece, si riflette tra i democratici, una legge proporzionale con soglia di sbarramento permetterebbe di evitare una eccessiva frammentazione a sinistra, nello stesso tempo scongiurando la necessità di alleanze precostituite con il Movimento 5 stelle.
Il sistema maggioritario impone una visione bipolare che poco si attaglia all’attuale quadro politico, costringendo a coalizioni spurie inevitabilmente destinate a essere tradite in parlamento. Inoltre, il sistema proporzionale è quello che meglio permetterebbe la nascita nel 2023 di un esecutivo simile (se non uguale) all’attuale governo Draghi, che si è formato proprio grazie alla convergenza delle singole forze in parlamento, a prescindere dalla loro collocazione opposta alle urne nel 2018.
Anche dentro al Movimento 5 stelle la pulsione è doppia: chi ormai ha assimilato l’alleanza con il Pd predilige un sistema maggioritario che favorisca la coalizione con lo schema attuale; i duri e puri, invece, rimangono legati al mito del Movimento che corre da solo e considerano questa l’unica strategia per rimanere determinanti, vista la diaspora di voti ovunque i Cinque stelle si siano legati al Pd.
Forza Italia spaccata
In Forza Italia, invece, l’implosione è vicina ed è legata anche a diversi orientamenti rispetto alla legge elettorale. Il partito è diviso in due. Ci sono i “falchi”, orientati a confederarsi con la Lega e disponibili a un percorso di coalizione vecchio stile anche se questo significa accodarsi a posizioni filosovraniste: abbracciando lo schema maggioritario avrebbero più garanzie di rielezione e alla Lega porterebbero in dote una presentabilità europea in vista di un governo di centrodestra. Le “colombe”, invece, rappresentano l’anima più moderata e liberale del partito, non apprezzano gli estremismi di Salvini e Meloni e si trovano a loro agio nel governo Draghi, che non a caso a scelto in quest’area i ministri Renato Brunetta, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.
Tutti e tre sono in enorme difficoltà dentro il partito e molto tentati dall’addio: si sentono tagliati fuori dal dialogo con Berlusconi, che si sta impegnando a mantenere intatta la coalizione nell’ottica di ottenere sostegno per la corsa al Quirinale.
Ieri Berlusconi ha detto che le dichiarazioni belligeranti di Gelmini sono «contrarie alla realtà». Per chi in Forza Italia non vuole «andare al traino di Lega e Fratelli d’Italia» e accarezza ancora l’idea di un centro liberale, una legge proporzionale sarebbe la garanzia di poter costruire questo spazio. Permetterebbe di staccarsi dall’orbita leghista per fare la spalla destra di Draghi e, alle prossime politiche, collocarsi nel blocco europeista invece che in quello sovranista.
A metà strada, invece, rimangono le forze centriste: in teoria il proporzionale le favorirebbe, ma per Azione e Italia viva l’incognita è l’alleanza con il Pd e il progetto di “Nuovo ulivo” che il segretario Enrico Letta starebbe preparando. Se decidessero di aderirvi, automaticamente la legge maggioritaria sarebbe la soluzione da preferire.
La realtà
Questi sono i posizionamenti tattici di singole compagini interne ai partiti. La realtà è un’altra: le leggi elettorali sono il risultato del quadro politico e non delle singole convenienze. Tradotto, è inimmaginabile che l’attuale maggioranza possa approvare una legge proporzionale. Il veto determinante arriva da Salvini che mai direbbe sì a una legge che lo relegherebbe inevitabilmente all’opposizione subito dopo il voto.
Stabilito questo, si delinea l’unico scenario possibile perché si possa ragionare di proporzionale: la Lega dovrebbe lasciare il governo Draghi, che a quel punto sarebbe sostenuto da una “maggioranza Ursula” come quella europea. Tuttavia questa opzione non esiste: il disastro alle amministrative ha costretto Salvini a rimanere ancorato al governo e ad allontanare il voto anticipato. Questo si traduce nel fatto che, ad oggi, sia molto difficile mettere mano alla legge elettorale, se non nella direzione di qualche ritocco all’attuale modello.
Più probabilmente, però, se ne continuerà a parlare molto ma alla fine non si cambierà nulla per impossibilità di trovare uno schema condiviso. Almeno fino all’elezione del presidente della Repubblica.
Nei calendari di tutti i partiti, infatti, febbraio 2022 è cerchiato in rosso come il momento in cui lo schema di gioco potrebbe venire modificato, facendo evolvere anche il quadro politico dentro il quale riscrivere la legge elettorale. L’ipotesi che farebbe mutare lo scenario è una: che Draghi voglia andare al Quirinale.
Il premier non si è ancora sbilanciato, ma se decidesse di aspirare al Colle sa che dovrebbe garantire la prosecuzione della legislatura: solo con l’assicurazione di non dover tornare a casa i parlamentari lo voterebbero. Dovrebbe quindi fare da regista per un nuovo esecutivo, il quarto della legislatura, che potrebbe avere proprio lo schema “Ursula” con la Lega all’opposizione. Solo con questo allineamento di astri il proporzionale potrebbe tornare in discussione.
Per ora rimane solo la realtà: i Cinque stelle non sono disposti nemmeno a ragionare di votare Draghi al Quirinale, la Lega non ha incentivi a uscire dal governo e il Pd è sempre più tentato dalla coalizione del “Nuovo ulivo”.
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