Le elezioni in Francia e nel Regno Unito hanno risvegliato il fantasma della legge elettorale anche per il governo italiano.

La questione è aperta da tempo sul tavolo della ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati, ed è la necessaria conseguenza della riforma del premierato, il quale impone il pensionamento dell’attuale Rosatellum per una nuova legge elettorale che sposi la logica dell’elezione diretta del premier.

Il nodo è complicato da sciogliere e il voto francese e inglese aggiungono ulteriori spunti di riflessione - e preoccupazione – su quale sia il modello più efficace.

Al ministero è al lavoro lo stesso autore del premierato, il costituzionalista Francesco Saverio Marini che è anche consigliere giuridico della premier e Casellati ha assicurato che entro ottobre un primo testo da sottoporre alle camere sarà pronto. Ieri ha ammesso che «non è semplicissimo costruire un vestito che si adatti al premierato» ma ha anticipato che «Sto pensando a un sistema misto, proporzionale e maggioritario, che possa aiutare il bipolarismo e mettere fine alla frammentarietà dei partiti che ha reso sempre difficile il nostro sistema». E misto era sia il Mattarellum, la legge elettorale che porta il nome dell’attuale presidente della Repubblica, che l’attuale Rosatellum. Con un problema, però: quello che ormai può essere definito un “premierato all’italiana” impone l’elezione diretta del premier e dunque del capo dell’esecutivo, che deve essere collegata a quella dei parlamentari e dunque dei rappresentanti del legislativo.

Al netto di questo aspetto ancora non chiarito, le tre principali questioni aperte sono chiare: il mantenimento dei collegi uninominali; la soglia per far scattare il premio di maggioranza e l’ipotesi del secondo turno. Oggi queste incognite vengono lette alla luce delle sconfitte elettorali delle destre sia in Francia che nel Regno Unito, dove i due meccanismi elettorali avrebbero potuto essere una bozza di modello anche per l’Italia.

Gli esempi stranieri

Il sistema inglese è di tipo maggioritario a turno unico, con collegi uninominali. Viene considerato un sistema molto semplice, secondo il motto del the winner takes it all, il vincitore prende tutto, perché l’elettore esprime solo una preferenza per il candidato nel suo collegio uninominale e chi ottiene la maggioranza relativa conquista il seggio, senza nessuna soglia minima. Alle ultime elezioni, il laburista Keir Starmer è stato premiato con il 65 per cento dei seggi perchè i candidati laburisti hanno vinto in 410 dei 650 collegi, ma la percentuale di consenso è stata del 33 per cento. Questo sistema, dunque, premia il bipolarismo e la rappresentatività degli eletti, visto che si tratta di collegi uninominali. Astrattamente, il «bipolarismo» che anche Casellati ha citato come uno degli obiettivi per il sistema che lei ha in mente.

Il sistema francese, invece, prevede un sistema sempre maggioritario e uninominale, ma a doppio turno. Il candidato nel collegio, infatti, deve raggiungere o superare il 50 per cento dei voti per essere eletto al primo turno. Quando questo non succede, vanno al ballottaggio tutti i candidati che hanno superato una determinata percentuale e, al secondo turno, vince chi ottiene la maggioranza anche solo relativa. Al voto, il Ressemblement national di Marine Le Pen ha ottenuto il 33 per cento al primo turno e ha ottenuto subito 38 dei 577 seggi, ma al secondo la desistenza di molti candidati in favore della coalizione di sinistra ha fatto prevalere il Nuovo Fronte Popolare, che ha ottenuto 178 seggi e la maggioranza relativa.

Il premierato di Casellati, però, tecnicamente propenderebbe per una soluzione simile a quella francese, perché prevede un premio di maggioranza e la Consulta – per giurisprudenza costituzionale pregressa – non accoglierebbe nessuna ipotesi senza ballottaggio o con l’asticella della soglia sotto al 40 per cento.

La paura del centrodestra

«In Francia è accaduto qualcosa che ci deve far riflettere e cambiare la nostra agenda», è stato infatti il commento del capogruppo di Forza Italia al Parlamento europeo, Fulvio Martusciello, durante il consiglio nazionale del partito. «Se proiettassimo ciò che è accaduto in Francia in Italia, avremmo perso in tutti i collegi camerali» perché nei 46 collegi camerali del sud il centrodestra ha superato il 50 per cento solo in uno e solo in 10 ha passato il 40 per cento. «Se passasse lo stesso schema che c'è stato in Francia, sarebbe una catastrofe annunciata anche dal punto di vista territoriale.

Ecco dunque l’ipotesi sul tavolo che Forza Italia continua a ribadire - e che piacerebbe anche a Fratelli d’Italia e Lega - per risolvere il problema del ballottaggio: il cosiddetto “modello Sicilia”, che prevede di andare al ballottaggio solo nel caso in cui nessun candidato ottenga il 40 per cento dei consensi. Non a caso, il vicepremier Antonio Tajani ha detto di «aver riflettuto a lungo sulla legge per l'elezione dei presidenti di Regione».

Con il modello regionale, inoltre, si cancellerebbe il rischio dei collegi uninominali evidenziato da Martusciello: per le regioni, infatti, i collegi sono plurinominali con preferenze. Si eviterebbe così l’effetto dentro-fuori prodotto dal meccanismo uninominale che oggi è previsto dal Rosatellum nella quota maggioritaria e che – insieme al ballottaggio - ha penalizzato in Francia Marine Le Pen.

Le idee dentro la maggioranza, tuttavia, rimangono confuse. Casellati, infatti, ha parlato di «meccanismo misto», quindi mantenendo una quota maggioritaria e una proporzionale, che poco c’entra con il modello delle regioni. Proprio la quota proporzionale che attualmente prevede listini bloccati sarebbe quella più problematica da gestire nell’ottica di semplificare il meccanismo, anche perché Meloni non ha mai fatto mistero di preferire il sistema delle preferenze a quello delle liste fissate dai partiti. La sensazione, quindi, è che la propensione sia quella per un meccanismo puramente maggioritario, sullo schema delle regioni appunto. Tutto, però, è ancora scritto sull’acqua, come hanno sottolineato le opposizioni, chiedendo invece che il testo venga condiviso il prima possibile, perché cambiare le regole del gioco dovrebbe essere fatto a larga maggioranza, ma, come ha detto la capogruppo del in commissione Affari costituzionali alla Camera Simona Bonafè, «il governo non ha una linea comune e per il momento abbiamo solo indiscrezioni ed elucubrazioni di singoli ministri».

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