Il Pd chiede che la Rai si rimangi la cancellazione dai palinsesti del programma Insider dello scrittore Roberto Saviano. Ieri i parlamentari dem della commissione Vigilanza hanno annunciato un’interrogazione al governo.

Una richiesta per due motivi: il primo è «la rilevanza del programma» sul contrasto alla mafia. Il secondo sono i soldi buttati a secchio, ovvero il danno erariale, visto che «il programma era già in palinsesto» e il taglio comporterà «un costo per la Rai anche in relazione alla vendita degli spazi pubblicitari».

Il pericoloso precedente

Ma c’è un’altra ragione per la quale la dirigenza Rai dovrebbe meditare meglio le conseguenze della scelta che appare come un bilanciamento politico, se non una rappresaglia, della cancellazione del programma di Filippo Facci. I due casi non sono paragonabili. Per ragioni formali.

La scelta di invocare il codice etico Rai per una frase scritta dal giornalista di Libero (contro la ragazza che ha accusato di stupro il figlio di La Russa) è arrivata nelle immediate vicinanze temporali a quando è stata scritta, pochi giorni dopo.

Nel caso di Saviano è tutto diverso. Il programma, già realizzato e pagato, viene cestinato, in sostanza, per frasi pronunciate assai indietro nel tempo. Per ora a motivare la scelta c’è solo un’intervista all’amministratore delegato Roberto Sergio, a cui – diversamente dal caso Facci – non è seguita nessuna comunicazione ufficiale di viale Mazzini. Ma la frase che non è andata giù ai vertici Rai è «ministro della mala vita» riferito a Matteo Salvini.

Saviano l’ha ripetuta nei giorni scorsi, ma la prima volta risale al 2018. Era una citazione colta: si tratta del marchio che Gaetano Salvemini affibbiò a Giovanni Giolitti, risale a un secolo prima, ma il leader leghista non ha apprezzato la raffinatezza e lo ha querelato.

Per le querele aspettiamo i giudici. Ma il labirinto in cui si infila Roberto Sergio è quello della cacciata per demeriti precedenti. E quelli che hanno invocato la libertà di insulto in difesa di Facci, nel caso di Saviano si dovrebbero preoccupare di più, perché molti conduttori potranno essere impallinati da una incompatibilità con il codice etico, anche lontana nel tempo. Basta pensare alla bestemmia comparsa sulla pagina di Salvo Sottile – per cui c’è all’orizzonte una prima serata di Raitre – che il giornalista ha attribuito a un errore di un collaboratore (poi le scuse, e per viale Mazzini il caso è chiuso).

Rischiano anche i dirigenti. È incompatibile con il codice etico persino Giampaolo Rossi, l’attuale direttore generale, che nel 2018 ha paragonato Mattarella a Dracula e dato in sostanza dei golpisti a due presidenti della Repubblica, Napolitano e lo stesso Mattarella (l’uno «aveva abbattuto un governo legittimo» l’altro «ha impedito che nascesse»)? E cosa dire dei post firmati anni fa dai nuovi colonnelli meloniani, come quello in cui Paolo Petrecca, direttore di Rainews, auspica una nuova «marcia su Roma» (aprile 2008)? Sono compatibili espressioni come «Confermo. Se droga!» riferito all’allora premier Renzi nel 2014 o la pubblicazione di una fotografia del motto della X Mas: «Memento audere semper»? Angelo Mellone, capo del Day time, nel 2011 pubblicava un video su Casapound commentando «I cattivi sono bellissimi».

Marcello Foa, ex presidente della Rai ai tempi dei gialloverdi e tra i più citati per condurre una nuova trasmissione su Radiouno, ha espresso «disgusto» per il presidente della Repubblica. Se caccia Saviano, Rossi si infila in un tunnel senza uscita.

Salvini querela Provenzano

Intanto la vis querelatoria di Salvini non si ferma. Ne ha annunciata un’altra contro Saviano per aver rispolverato contro di lui la definizione di «ministro della mala vita». E ieri un’altra ancora per Peppe Provenzano, che è un politico, anzi un ex ministro.

«Ci sono dei segnali preoccupanti che arrivano da Salvini sulla lotta alla mafia: l’attacco a Don Ciotti, la riforma del codice degli appalti tre. È lui il mandante politico del caso Saviano». Salvini: «Querela subito, e poi vediamo se ci riprovano». Controreplica di Provenzano: «Se avesse, non dico il coraggio, ma il senso delle istituzioni di venire in Parlamento a discutere di lotta alla mafia, le potrei elencare ad una ad una tutte le ragioni. Pronto a farlo anche in tribunale, comunque, ministro».

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