Alle tre di pomeriggio, a Roma, al Pio sodalizio dei Piceni, accompagnata da Matteo Ricci e contornata dai sindaci di Ali (l’ex Lega delle autonomie), Elly Schlein per la terza volta si trova di fronte alla stessa domanda dei cronisti: con Conte come va? Lei risponde sempre uguale: «La parola che mi convince è concretezza, vogliamo stare sulle sfide, non sulle polemiche», «Ci vorrà del tempo. Ma siamo disponibili a dialogare con tutte le opposizioni, sentiamo il peso di costruire un’alternativa». Conte l’attacca, lei non reagisce. Eppure nel recente attivismo della leader Pd (ieri ha convocato la segreteria, poi ha partecipato alla conferenza stampa dell’Anpi per lo scioglimento delle organizzazioni fasciste e per una legge contro la propaganda fascista, poi è andata alla festa per i vent’anni di Sky infine al Festival delle città) si intravede un cambio di passo: ha capito che deve presidiare tutti i fronti possibili. Anche perché qualche segnale non positivo comincia ad arrivare: un’indagine sulle intenzioni di voto dei giovani realizzato da Youtrend per SkyTg24, segnala che nella fascia d’età fra i 18 e i 30 anni il Pd è votato dal 16,2 per cento e M5s dal 17,1.

Quella di Conte contro il Pd è, a dirla con lui, «un’escalation». Iniziata il 20 settembre con l’accusa di chiedere «l’accoglienza indiscriminata» dei migranti, proseguita con il voto M5s con la destra in commissione Vigilanza Rai, fino a ieri, quando l’ex premier ha dato la colpa a Pd e Azione se non parte un tavolo delle opposizioni sulla sanità, «se uno va prima in tv a dire “queste sono le nostre proposte” non funziona».

Le cose stanno diversamente: il tavolo non parte perché il Pd sta aspettando che M5s si sieda. «Ci sono differenze fra le nostre proposte sulla sanità?» si chiede un deputato vicino alla segretaria, «ma ragioniamo, una sintesi si trova di sicuro. C’è un governo che annuncia una finanziaria scellerata: vogliamo procedere in ordine sparso?».

Le strategie

Ma ormai è chiaro che quella di Conte è una scelta precisa. Un suo vecchio amico la riassume così: «Prova a fomentare il malumore nel Pd, farsi rincorrere da Schlein fino alle europee per farla fallire. Lui non si candiderà ma ci metterà sempre la faccia: ed è convinto che la gente di sinistra piuttosto che votare un Pd in crisi voterà M5s». Qualcosa non torna. Accusare il Pd di essere un partito immigrazionista, come fa Meloni, non è “di sinistra”. Per Arturo Scotto, coalizionista a prova di bomba (è un Pd di derivazione Art.1, ed è uno dei registi della proposta unitaria sul salario minimo) l’analisi va aggiornata: «È iniziata la rincorsa della campagna europea. Non sono in grado di dire se siamo in presenza di un nuovo slittamento politico dei Cinque Stelle. Ma sanno che a sinistra non si allargano molto di più di quanto hanno fatto fin qui e quindi potrebbero riprovare a fare quelli di confine al centro. Da parte nostra ci vorrà molta capacità di dialogo e tanta pazienza».

Pazienza. Schlein la chiede ai suoi: non reagire e restare concentrati sull’opposizione al governo. Infatti al Festival di Ali, Ricci è cauto: «In vista delle europee, tra Pd e M5s ci deve essere competizione. Ma che sia competizione cooperativa. Per Meloni saranno elezioni di mid-term e l’opposizione sarà competitiva se percepita come alternativa credibile. E non dimentichiamoci i tantissimi comuni e le regioni che andranno al voto. Le opposizioni siano unite o continueranno a regalare vittorie alla destra». Anche dal lato M5s l’intenzione resta tutto sommato coalizionista: qualche diverbio politico «è un fatto fisiologico e non è un reato», spiega la senatrice Alessandra Majorino, vicinissima a Conte, «ma è evidente la nostra salda appartenenza alla cornice progressista. A destra non si fanno il problema di attacchi interni, persino al governo». Un problema c’è: «Noi vogliamo fare una battaglia comune sulla sanità pubblica, ma sappiamo che anche i governi di centrosinistra hanno contribuito al suo impoverimento: si sono ravveduti? Noi facciamo una battaglia contro l’autonomia differenziata, ma sappiamo che alcuni governatori Pd l'hanno chiesta: hanno cambiato idea?». In ogni caso: «Dico al Pd di non vivere i nostri distinguo come un disvalore, non siamo e non dobbiamo essere un partito unico».

Poi però c’è la guerra, e cioè gli aiuti militari all’Ucraina, il tema divisivo per eccellenza. Accanto al pacifistissimo Pagliarulo dell’Anpi, Schlein si tiene in equilibrio fra il supporto all’Ucraina e l’invocazione della pace. Conte invece dall’Anpi non va, ma apre la sua diretta Facebook sparando a zero sui «bellicisti»: ce l’ha con Giorgia Meloni, ma anche con Schlein. Non se ne esce. Da qui alle europee ci sono otto mesi in cui Conte menerà e lei alzerà le mani.

Le elezioni locali

La domanda è: davvero finite le europee, e deciso a chi tocca sedere a capotavola nel tavolo della futura alleanza, tutti i conflitti torneranno a un livello davvero “fisiologico”? E intanto ci sono le amministrative e le regionali: a stringere accordi poco convinti e poco convincenti con M5s, chi rischia di più è il Pd, ovvero Schlein.

Prendiamo il caso Sardegna. Si vota a febbraio. Dal Nazareno è partita l’indicazione di ragionare sul nome della grillina Alessandra Todde. Il responsabile enti locali Davide Baruffi nega: «L’accordo non è chiuso». Intanto però il Pd sardo si è dovuto rimangiare l’intenzione di fare le primarie, che M5s non accettava ma sarebbero servite a tenere insieme un’alleanza più larga, fatta di una decina di liste e di un pezzo da novanta: l’ex presidente Renato Soru, che giovedì inaugura un tour in tutta l’isola. Se la scelta sarà davvero quella suggerita «dal nazionale», Todde, c’è il rischio che Soru si candidi lo stesso: e si porti via un pezzo, se non del partito, dell’elettorato.

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