Ancora spinte sulla giustizia e campagna acquisti politica in corso. L’addio di Miccichè apre un fronte al sud, che è granaio di voti per FI
Il vicepremier Antonio Tajani è un pacifista di natura, poco propenso ad alzare i toni ma altrettanto avvezzo al mestiere della politica da sapere che, in questo momento, per Forza Italia è arrivato il momento di accendere i motori. Una forte spinta è arrivata, secondo molte fonti azzurre, direttamente da Arcore: prima in privato, poi pubblicamente con l’intervista di Marina Berlusconi in cui ha rilanciato sull’anima liberale e orientata ai diritti del partito fondato dal padre. Si spiega così, allora, l’attivismo agostano di Forza Italia, che lascia gli alleati in vacanza per mobilitare uomini e mezzi sui temi della giustizia e lavorare ad un allargamento dei propri ranghi, sia in parlamento che nelle regioni.
Carceri
Come a voler dimostrare che il tema non è stato affatto abbandonato, gli azzurri sono impegnati in giri ispettivi nelle carceri italiane insieme al partito radicale. Quasi ogni giorno un parlamentare visita un penitenziario – ieri è toccato a Maurizio Gasparri in quello di Favignana, Raffaele Nervi a Terni, Pierantonio Zanettin ad Ancona, Flavio Tosi e Paola Boscaini a Montorio e Angelo Scavone a Bologna – e fa pervenire i propri rilievi, certificando celle affollate e caldo soffocante. Un modo per mantenere viva l’attenzione e con un sottotesto chiaro: il decreto carceri non è bastato.
Per amore di coalizione FI su quello ha fatto un passo indietro, ma solo per rilanciare sulla revisione della custodia cautelare e modifica della Severino, oltre a un intervento più corposo per ridurre il sovraffollamento. Del resto, gli indugi sono stati rotti dal deputato Giorgio Mulè sul Foglio e poi tutti si sono accodati: «A che serve stare al governo se non incidiamo?».
I ritorni
Proprio la necessità di incidere maggiormente sugli orientamenti del governo è stata l’indicazione arrivata dalla famiglia Berlusconi e colta immediatamente anche dai più freddi rispetto alla gestione Tajani, considerato troppo appiattito sulla premier Giorgia Meloni. «Riunioni di fuoco tra di noi, per poi sapere che ha parlato con Meloni e le ha detto che è tutto a posto», è uno dei borbottii riferiti da un parlamentare azzurro. Ora proprio questo si punta a cambiare. Anche perchè, viene fatto notare, a differenza dell’autonomia leghista che spacca anche il centrodestra, il campo della giustizia è quello su cui il governo può trovare facili sponde anche al centro, guastando i piani del campo largo di Elly Schlein.
La strategia di Tajani, però, va oltre l’agenda. L’obiettivo è allargare il partito, ricucire con chi se ne è andato e rosicchiare proprio a centro qualche utile tassello, sia in parlamento che nelle regioni. Affiliare parlamentari di altri partiti di centrodestra sarebbe uno sgarbo agli alleati, quindi su quella strada si procede con cautela, ma il coordinatore sta tessendo la sua tela per far aderire agli azzurri nuovi volti soprattutto a livello regionale. In maggio sono stati annunciati 200 ingressi di amministratori locali in Calabria, altri 20 il mese scorso nelle Marche e così via. Il bottino vero, però, sono i possibili nuovi parlamentari. Uno potrebbe essere Andrea de Bertoldi, fresco di addio a Fratelli d’Italia e in ottimi rapporti con gli azzurri, ma prima il transito sarà al gruppo misto. Un altro ritorno potrebbe essere quello di Enrico Costa, deputato di Azione attivissimo proprio in materia di giustizia ed ex azzurro.
Nonostante voci in questo senso si fossero susseguite nei giorni scorsi, un altolà si è alzato invece anche solo a discutere di un possibile ritorno del duo di ex ministre Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna: entrambe erano uscite con strascico polemico e oggi sulla prima pesa il veto di Licia Ronzulli, sulla seconda del conterraneo Fulvio Martusciello.
Caos Sicilia
Eppure non sono tutte rose, per Tajani. Anche se la reazione è stata quella di minimizzare il colpo, l’addio di Giancarlo Miccichè – tra i fondatori di FI insieme a Silvio Berlusconi – dal partito in Sicilia minaccia di far deflagrare lo scontro nell’isola e che il conflitto si allarghi anche in altre regioni del sud. Del resto per FI la Sicilia non è una regione qualsiasi ma il vero e unico granaio di voti rimasto, dove alle europee ha veleggiato intorno al 24 per cento, e Miccichè è stato lo storico regista dei successi elettorali forzisti, a partire dai 61 seggi a zero alle politiche del 2001.
Che sull’isola fosse in corso una guerra senza esclusione di colpi tra Miccichè e il presidente della regione, Renato Schifani, era cosa nota ma Tajani – che ha scelto di sostenere Schifani - la speranza è che si potesse contenere. Invece lo strappo di Miccichè apre un problema significativo per i vertici nazionali. Un esperto conoscitore del territorio in quota forzista, infatti, fa notare come qualche scossone arriverà anche in regione, «soprattutto in vista del futuro» e dunque dei prossimi scontri in materia di autonomia differenziata, proprio uno dei temi criticati da Miccichè al momento del suo addio. Schifani, infatti, ha sposato la linea non belligerante nei confronti della Lega parlando di riforma che «migliorerà i servizi per i cittadini e le imprese».
Parole male accolte tra gli altri governatori del sud, primo tra tutti il calabrese Roberto Occhiuto che ha da subito guidato il movimento interno al partito dei contrari e che in Calabria ha costruito la seconda roccaforte azzurra, sfiorando il 18 per cento. Il dualismo tra Schifani e Occhiuto oggi è sempre più marcato ma, con l’uscita di Miccichè, gli equilibri potrebbero cambiare. Questo, infatti, è il vero rischio per Tajani: pensare che FI possa essere guidato solo da Roma, lasciando che al sud infiammino le lotte intestine.
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