Marcucci resiste, non vuole lasciare la presidenza del gruppo del senato, alla riunione con il segretario nessuna collega della sua corrente prende la parola. Partita a incastri: giovedì le candidate di palazzo Madama, poi tocca a Montecitorio. Oggi il segretario incontra Conte
- Letta ringrazia Delrio, capo dei deputati, che lascia con eleganza. «So che chiedo un sacrificio gravoso. Chiedo a Marcucci generosità. Evitiamo di stare settimane sui giornali su questi temi interni».
- Ma il punto è politico: «Un partito come il nostro, organizzato con vertici tutti uomini, in Europa non ha cittadinanza. Un uomo segretario, due capigruppo maschi, tre ministri maschi, cinque presidenti di regione maschi: questa è la nostra prima fila. È irricevibile».
- La scommessa su due presidenti autorevoli è cruciale, dovranno gestire «passaggio delicatissimo» dell’elezione del presidente della Repubblica. «Non possiamo sbagliare».
Il Pd avrà due donne alla presidenza dei gruppi parlamentari. Dovranno essere due donne di polso per gestire quello che il segretario del Pd Enrico Letta definisce «un passaggio delicatissimo» – lo riferisce su Twitter il deputato Stefano Ceccanti – ovvero l’elezione della presidenza della Repubblica. C’è un precedente sconfortante. Nel 2013, prima di rieleggere Giorgio Napolitano, il Pd si è comportato come un grande, sterminato, gruppo misto, bocciando prima Franco Marini, recentemente scomparso, e poi Romano Prodi. Intanto, alla fine di una giornata di riunioni, Letta porta a casa il risultato. E oggi incontrerà l’ex premier Conte: si apre il dossier “alleanza con i Cinque stelle”, anche questo indigesto alle minoranze del suo partito.
I due confronti di ieri, quello della mattina con il gruppo di Montecitorio e quello del pomeriggio con i senatori, hanno toni e durate diverse. La mattina il presidente dei deputati Graziano Delrio fa il suo passo indietro. «Sono disponibilissimo ad accompagnare questo lavoro di istruttoria e di aiuto alla soluzione», annuncia riferendosi alla ricerca della collega che lo sostituirà. Il presidente dei senatori Andrea Marcucci invece la prende malissimo. Prima della riunione incontra Letta, che ha avuto un vis à vis con Luca Lotti, uno dei capocorrente di Base riformista (il ministro Lorenzo Guerini è impegnato all’estero). Marcucci tenta varie mosse per resistere alle dimissioni forzate. Anche una lettera aperta al segretario in cui rivendica i suoi meriti.
Il confronto al Senato dura tre ore. Base riformista, forte dei suoi numeri, si fa sentire: ma parlano solo gli uomini. In molti chiedono al leader «di spiegare bene il perché della scelta di genere perché altrimenti sembra essere una punizione nei confronti di Marcucci e della sua area politica», cioè gli ex renziani. Letta rassicura, nessuna vendetta: «Non chiamerò mai nessuno di voi ex qualcosa. Siamo tutti democratici». Ma non convince fino in fondo Marcucci, che si riserva di verificare se ci sono le condizioni per restare. Ma non ci sono. Oggi la scelta dei nomi, ci saranno solo candidate anche al Senato.
Marcucci ha ricevuto messaggi inequivocabili anche dai suoi: non si può dire no al segretario. Che parla chiaro. «So che chiedo un sacrificio gravoso a Marcucci e Delrio. Chiedo ad Andrea generosità. Evitiamo di stare settimane sui giornali su questi temi interni». Il punto è politico: «Un partito come il nostro, organizzato con vertici tutti uomini, in Europa non ha cittadinanza. Un uomo segretario, due capigruppo maschi, tre ministri maschi, cinque presidenti di regione maschi: questa è la nostra prima fila. È irricevibile».
Entrambe le assemblee sono aggiornate a domani. Prima voterà quella del Senato, a seconda della presidente scelta la Camera “riequilibrerà” il bilancino delle correnti. Se toccherà a una senatrice della minoranza (in pole position c’è Simona Malpezzi, che però dovrebbe lasciare il suo posto da sottosegretaria) alla Camera potrebbe essere votata Debora Serracchiani, vicina a Delrio. Se al Senato invece fosse eletta Roberta Pinotti, area Franceschini, Base riformista chiederebbe la presidenza dei deputati. L’incastro è complicato dal fatto che alcune “papabili” dovrebbero lasciare le loro presidenze di commissione. Decideranno i gruppi. Letta ne elogia l’autonomia avvertendo però che «autonomia non vuol dire che ognuno va in direzioni diverse».
La scommessa su due presidenti autorevoli è cruciale: «L’elezione del presidente della Repubblica è un momento cerniera per il paese, abbiamo bisogno anche per questo di gruppi ben coordinati, non possiamo sbagliare».
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