Il capogruppo al senato cede il suo posto a una collega ma mette a verbale il suo dissenso. Il segretario Pd incontra il futuro capo di M5S. Invece nella sua agenda non c’è in programma un incontro con Matteo Renzi
- Il presidente dei senatori del Pd Andrea Marcucci si arrende, lascia il suo posto di capogruppo a una donna, secondo l’indicazione del segretario Enrico Letta. Giovedì anche i deputati dem decideranno la nuova presidente. Potrebbe essere Debora Serracchiani, vicina all’area dell’uscente Delrio.
- Letta dunque porta a casa il risultato, due donne a capo dei gruppi. La minoranza fa buon viso a cattiva sorte. E si cuce la bocca anche sull’incontro precedente del segretario, quello con Giuseppe Conte.
- I due sono entrambi ex premier, discutono “da pari” dell’azione del governo, dal piano vaccinale ai sostegni a lavoratori e imprese. Non viene rispolverato il «coordinamento» fra Pd e M5s proposto da Zingaretti ma si stringono i bulloni fra i due gruppi parlamentari: si parla di riforme e legge elettorale.
«Il metodo non mi piace, la soluzione non la considero una soluzione». Il presidente dei senatori del Pd Andrea Marcucci si arrende, lascia il suo posto di capogruppo a una donna, secondo l’indicazione del segretario Enrico Letta. Abdica in favore della sottosegretaria ai Rapporti con il parlamento, Simona Malpezzi, e chiede ai colleghi di votarla. «Non una donna chiunque sia», come giura che gli è stato chiesto (ma non rivela da chi), ma una collega della sua corrente Base riformista, gli ex renziani, definizione che però Letta ha bandito dal lessico ufficiale del Pd. Malpezzi sarà votata oggi.
Giovedì anche i deputati dem decideranno la loro nuova presidente. Potrebbe essere Debora Serracchiani, vicina all’area dell’uscente Graziano Delrio. Marcucci non può fare diversamente, anche molti dei suoi gli hanno chiesto di accettare la richiesta del segretario. Lo fa, ma mette a verbale il primo dissenso dell’èra lettiana. Avvertendo di essere pronto a dare battaglia sui temi «riformisti» nel Pd di Letta da «senatore semplice». Inizia subito: se il tema è la valorizzazione delle donne, avverte, «ci vuole coerenza, voglio vedere i candidati sindaci alle amministrative mi auguro che ci siano tante candidate». Prendere voti in un gruppo parlamentare e in una metropoli non è la stessa cosa, ma è vero che al momento nelle grandi città (Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli) le aspiranti sindache non sono molte, almeno per il Pd. Marcucci assicura che non sarà lui a raccogliere la postazione di governo lasciata libera da Malpezzi, ma non ritiene «che debba andarci per forza una donna».
Letta dunque porta a casa il risultato, due donne a capo dei gruppi. La minoranza fa buon viso a cattiva sorte. E si cuce la bocca anche sull’incontro precedente del segretario, quello segnato in rosso nella sua agenda. In tarda mattinata a Roma, nella sede dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione fondata da Beniamino Andreatta, arriva Giuseppe Conte.
Faccia a faccia con Giuseppi
L’incontro è qualcosa più che cordiale. I due sono entrambi ex premier, discutono “da pari” dell’azione del governo, dal piano vaccinale ai sostegni a lavoratori e imprese. Non viene rispolverato il «coordinamento» fra Pd e M5s proposto da Nicola Zingaretti (proprio Marcucci lo aveva varato al Senato, fra lo scetticismo dei suoi) ma si stringono i bulloni fra i due gruppi parlamentari: si parla di riforme e legge elettorale. Non si scende nel dettaglio. Non sarà facile farlo, ma è cruciale per le alleanze: il Pd ora propone il ritorno al Mattarellum, i Cinque stelle sono fermi sul proporzionale.
Si discute anche di amministrative, anche qui sulle generali. Letta ha promesso di aprire il «dossier candidati» non prima di aprile e non prima di essersi confrontato con i territori. Dal lato M5s non c’è fretta: Conte non è ancora al comando, c’è il pasticciaccio della piattaforma Rousseau. Con Casaleggio junior ormai siamo alle carte bollate. Da avvocato l’ex premier suggerisce una conciliazione: «Non vedo perché oggi si debba decidere di non usare più Rousseau, ci sono ruoli e pretese da chiarire, spero si possa comporre amichevolmente la questione». Conte non è ancora leader: «Sto lavorando a un progetto per rilanciare il Movimento. Ne parlerò quando sarà pronto».
Problemi interni del M5s, che ieri segnavano il governo e oggi segnano i tempi di una alleanza con il Pd. Ma del resto non è un pranzo di gala neanche dal lato dei democratici. Le minoranze avevano chiesto a Letta di azzerare tutto. Letta invece ha fatto da subito il contrario, stile non abrasivo ma direzione decisa. «Si apre un cantiere», dice Conte all’uscita del vis à vis, «dobbiamo lavorare per creare la giusta sinergia e nel nuovo M5s il Pd sarà un interlocutore privilegiato».
Molto meno ciarliero Letta. Che twitta: «Un primo faccia a faccia, molto positivo, tra due ex che si sono entrambi buttati, quasi in contemporanea, in una nuova affascinante avventura». Un passo al giorno, il segretario Pd fa il giro dei vecchi alleati, e di quelli nuovi. Per primo ha incontrato Carlo Calenda. Lunedì scorso il ministro della Salute Roberto Speranza che nella sua veste di leader di Art. 1 ha lanciato l’idea di «una costituente di centrosinistra». Per il momento i due hanno assicurato «un percorso insieme». Sulla pandemia Letta è d’accordo con la linea della massima prudenza di Speranza. Speranza è d’accordo con Letta sull’intenzione di non regalare alla destra troppo spazio nel governo Draghi. Che nel futuro dei due ci sia quello di tornare a militare nello stesso partito è un’ipotesi che piace a Speranza e non dispiace a Letta. Ma non è all’immediato ordine del giorno, almeno nel corso di questa legislatura.
Invece non c’è in agenda, per il momento, un incontro con Matteo Renzi. Lo ha confermato lo stesso leader di Italia viva ieri, aggiungendo un augurio di buon lavoro a Letta e «molta simpatia per il suo tentativo». Molta, ma forse non abbastanza da chiedergli un appuntamento.
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