- Martedì il padre del provvedimento contro l’omofobia e la senatrice dem Malpezzi incontrano M5s, Iv e Leu Poi FI, Lega e FdI. Si cerca una mediazione per evitare che il testo venga bloccato mercoledì al Senato.
- Letta ha scelto Zan, ex Arcigay e popolarissimo, per fare da “garante”, se non da scudo umano, di fronte al mondo Lgbt che già manda segnali di ostilità alla scelta della “trattativa” con la Lega.
- Il rischio è che al voto segreto Iv impallini la legge. Il Pd prova ad allargare i numeri convincendo Forza Italia. Interlocutrice principale, la presidente dei senatori forzisti Anna Maria Bernini, che a suo tempo ha detto sì alle unioni civili.
Contrordine compagni Lgbt, contrordine a tutti i colori dell’arcobaleno: sul testo della legge sull’omotransfobia si tratta. Dopo aver sostenuto per sette mesi l’esatto contrario – e dopo aver raccolto una vittoria alle amministrative che sembrava rafforzare la determinazione del Pd – il segretario Enrico Letta si è arreso all’amara necessità dei numeri. E i numeri della vecchia maggioranza giallorossa al Senato sono dimagriti. Della nuova versione dell’alleanza fra Pd e Cinque stelle ieri Letta ha parlato a pranzo con Giuseppe Conte, il leader M5s. Ma questa sarebbe un’altra storia.
Quanto alla legge Zan, senza un segno di apertura alle modifiche, e cioè senza un cedimento alle velate minacce di Italia viva, il testo rischia di morire domani, trafitto dalle richieste di “non passaggio all’esame degli articoli” firmate da Lega e Fratelli d’Italia. Una trappola congegnata da Roberto Calderoli, un voto procedurale probabilmente segreto (anche se il Pd ricorda alla presidente dell’aula Maria Elisabetta Casellati che ci sono precedenti di voto palese, e proprio sulle unioni civili). Con la protezione dall’anonimato, il rischio di franchi tiratori diventa certezza: ne potrebbero spuntare a mazzi da Italia viva (da cui ora arrivano cori di giubilo e di “ve l’avevo detto io”).
Ma anche nel Pd c’è chi non ha mai digerito alcuni passaggi della legge. Gli ottimisti contano almeno tre voti contrari. Il rischio è che i numeri svelino anche le magagne interne del partito di Letta. «Il gruppo del Senato non è compatto come quello della Camera», sospira un senatore. Ma sul punto le smentite ufficiali sono severe. «Il problema è nel gruppo misto», giura Franco Mirabelli, «lì ci sono almeno cinque o sei senatori che non votano più con la maggioranza».
La trattativa
Fatto sta che se il Pd non vuole far finire in un burrone la legge, e soprattutto non vuole essere accusato di averla spinta giù per insipienza e intransigenza, deve rassegnarsi alle modifiche fin qui negate. Letta ha incaricato di trattare il deputato Alessandro Zan, primo firmatario del testo, e la presidente dei senatori dem Barbara Malpezzi. C’è chi descrive Malpezzi irritata per l’affiancamento di un deputato, quasi un commissariamento: in realtà la senatrice sa che Zan, ex Arcigay e popolarissimo, serve a fare da “garante”, se non da scudo umano, di fronte al mondo Lgbt che già manda segnali di ostilità alla scelta della “trattativa” con la Lega. Oggi alle 14 Zan e Malpezzi incontreranno i capigruppo della vecchia maggioranza giallorossa. Poi alle 16 vedranno i presidenti di FI, Lega e Fratelli d’Italia.
Ma è a Forza Italia che il Pd guarda per allargare i numeri, a partire dai voti di domani pomeriggio. E infatti Zan ha scritto una lettera alla presidente dei senatori forzisti Anna Maria Bernini, che a suo tempo ha detto sì alle unioni civili. «Chi voterà a favore del non passaggio agli articoli vuole affossare la legge. Chi vuole approvarla, magari con modifiche, voterà contro la richiesta della destra», mette in chiaro Mirabelli. In concreto: dare voti, vedere cammello, cioè cambiamenti.
Ora però il Pd deve subire gli sfottò di Iv e di Lega per l’inversione di linea. Tutto il gruppo renziano rivendica di aver detto da mesi che l’unica soluzione per portare a casa il testo era trovare un accordo con la Lega; il leghista Andrea Ostellari, il presidente della commissione Giustizia che, a sua volta, per mesi aveva trattenuto il testo nelle pastoie della commissione, ora fa la parte del grande mediatore: «Anche Letta si è arreso all’evidenza. Serve una mediazione di buonsenso per fare una legge giusta ed efficace. Senza limitare le libertà e lasciando fuori i bambini. Il percorso di collaborazione era già stato avviato e aveva dato frutti, apprezzati anche dal gruppo autonomie e Italia viva. Ripartiamo da lì». Il Pd giura che non si riparte dal testo Iv-Lega. Ma la verità è che primum vivere: solo se domani il testo resterà in campo si procederà a qualche ormai inevitabile cambiamento.
Cosa può cambiare
Il cuore dell’accordo Iv-Lega è la cancellazione della definizione «identità di genere». Per Zan, però, «siamo pronti a dare un segnale di distensione, ma all’identità di genere non possiamo rinunciare». È la posizione di un appello di quaranta femministe. Ma allora quali sono le modifiche che «non snaturano» il testo? «La garanzia sta nel fatto che la guida politica di questa ipotetica trattativa la fa Zan, titolato a dire che l’identità di genere non si tocca e l’educazione scolastica non si tocca. Meglio nessuna legge piuttosto che una cattiva legge» avverte Monica Cirinnà. Ma per gli sherpa dem basterebbe tornare al primo testo della Camera, quello uscito dalla prima “bicameralina”. «Si può persino cancellare l’articolo 1 – dice uno di loro –, quello con le definizioni; tanto “identità di genere” ha ormai una giurisprudenza solida.
Del resto alla Camera quell’articolo era stato introdotto da Lucia Annibali, di Iv; si può cancellare l’articolo 4, in cui si ribadisce la liceità della “libera espressione di convincimenti od opinioni”». E ci mancherebbe, sono libertà già costituzionalmente garantite, inserite in questa legge per volontà dell’allora forzista Enrico Costa (oggi nella comonente Azione-+Europa-Radicali italiani del gruppo misto). Infine l’articolo 7, quello che istituisce la giornata contro l’omofobia per il 17 maggio: la celebrazione nelle scuole potrebbe diventare una possibilità, non più un obbligo.
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