Il ministro dell’Interno ospite dell’evento di Domani a Roma: «Ho ottimi rapporti con la premier Meloni». «La telefonata ai carabinieri prima del femminicidio di Giulia Cecchettin? È complesso, va fatta chiarezza
«I miei rapporti con Giorgia Meloni sono eccellenti, perché non dovrebbero esserlo?» Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non ci sta a passare da semplice esecutore di volontà altrui. La premier si muove per il globo terracqueo stringendo accordi con la Tunisia e l’Albania sul tema dei migranti. Fa annunci ma, assicura il titolare del Viminale dal palco dell’evento organizzato da Domani a Roma, non si tratta in alcun modo di propaganda. E comunque lui non è un semplice spettatore.
Eppure l’impressione è che lei si trovi nella scomoda posizione di dover realizzare il “libro dei sogni” della presidente del Consiglio sull’immigrazione.
Non è così. Anzitutto quelli della premier non sono degli slogan ma degli accordi internazionali simili a tanti che sono stati fatti in passato. Sono filoni progettuali in avanzato stato di realizzazione, come nel caso del Memorandum con la Tunisia. E come ha detto anche il collega Antonio Tajani, possiamo portare prove documentali che nulla si è svolto a nostra insaputa. Vengo proprio ora da un incontro trilaterale con il mio collega libico e con quello tunisino in cui uno dei temi centrali è stata proprio l’implementazione della cooperazione in atto. Peraltro ricordo che il Memorandum è stato firmato alla presenza di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, e del premier olandese Mark Rutte.
Ma il presidente tunisino Kaied Saied, dopo averlo firmato, si è rimangiato l’intesa.
Non è vero. Lo ha sottoscritto e, ripeto, abbiamo proficui rapporti di collaborazione. Oggi, ad esempio, abbiamo parlato della realizzazione di uno dei punti dell’intesa: quello dei rimpatri volontari assistiti dalla Tunisia. La Tunisia, al pari della Libia, ritiene di essere accomunata all’Italia dal problema di essere un paese di transito. Un paese che in qualche modo subisce il fenomeno migratorio. Il Memorandum Unione europea-Tunisia vuole essere una cornice più importante a una collaborazione che ha come obiettivo di eliminare quei fattori che determinano le crisi socio-economiche che spesso sono le precondizioni del fenomeno migratorio. Quindi la rassicuro: ho partecipato attivamente ai lavori e con molta gratificazione.
Eppure quest’anno abbiamo già avuto oltre 150mila sbarchi sulle nostre coste, negli ultimi giorni siamo oltre i 1.500. L’impressione è che tutta questa collaborazione non funzioni.
Questo è un aspetto tipico del lavoro del ministro dell’Interno. Uno ha la contabilità precisa di ciò che accade ma mai di quello che è riuscito a evitare. Dall’inizio dell’anno la Tunisia è riuscita a sventare la partenza di almeno 60mila persone. E questo con tutte le difficoltà che il paese ha. Io sono testimone del fatto che c’è un grande impegno che, a differenza di ciò che si dice, non prescinde dalla preoccupazione per la salvaguardia delle persone. Quindi non sono convinto che non ci siano dei segni tangibili dei risultati raggiunti. Le partenze sono sempre tante, secondo la mia personale visione, ma questo, incrocio le dita, potrebbe essere il secondo mese consecutivo in cui facciamo registrare una leggera flessione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non siamo alla soluzione del problema, ma siamo sulla buona strada.
Lei parla di «salvaguardia» delle persone ma il presidente Saied, rispetto ai moti di protesta nel paese, non si è sempre comportato come un perfetto difensore dei diritti umani.
Non credo che in Tunisia ci sono situazioni che ci debbano indurre a non avere rapporti con quel paese.
E il trattato con l’Albania? Per garantire la sicurezza un cpr che ospiti fino a un massimo di 3.000 persone servirebbero 1.000 agenti. Non le sembra irrealizzabile?
Ci stiamo lavorando. È prematuro dare una risposta appropriata. Stiamo facendo un’analisi precisa di quella che poi sarà la messa a terra del progetto e tutto questo verrà compendiato in un disegno di legge che sarà oggetto di discussione parlamentare. Ovviamente dobbiamo fare un’analisi costi-benefici. Se il centro funzionerà sarà giusto fare degli investimenti.
Come siamo messi con i cpr italiani? I sindaci hanno preso benissimo il vostro progetto.
Io vedo che c’è un certa unanimità, da parte dei sindaci, nel lamentarsi del fatto che noi abbiamo in circolazione, sul nostro territorio, soggetti pericolosi. Ma se poi uno propone di realizzare i cpr, che sono strutture che servono a evitare questo tipo di situazioni, non capisco perché qualcuno non li vuole. Tra l’altro si tratta di strutture statisticamente fondamentali per realizzare quelle espulsioni che vengono tanto invocate. Quindi non capisco questa vulgata che ha trasformato in cpr in qualcosa di pericoloso.
Lei non lo capisce ma forse su questo il centrodestra, almeno quella parte che quotidianamente fa allarmismo intorno al tema migratorio, ha una responsabilità.
Citerò Roberto Maroni, che proprio ieri abbiamo commemorato al Viminale, e che, in una certa situazione, diceva «le dò una risposta da ministro dell’Interno». Il ministro dell’Interno deve applicare la legge e gli orientamenti che vengono da chi rappresenta la maggioranza di governo. Io non mi tiro fuori. Sono pienamente partecipe di questa maggioranza che, nel linguaggio che ritiene più appropriato, comunica le preoccupazione per il fenomeno dell’immigrazione incontrollata. Ma un cpr è proprio la risposta a quelle preoccupazioni.
Le faccio una domanda da ministro dell’Interno: le sembra, come accaduto nel caso della tragica vicenda di Giulia Cecchettin, che i carabinieri, davanti alla denuncia di un cittadino, non intervengano per aiutare una donna in pericolo?
Su questa vicenda va fatta chiarezza. L’Arma ha detto di poter fare chiarezza. Non mi sembra così semplice e immediato. Sarebbe velleitario anche per me dare delle spiegazioni. Mi consentirà di concedere il beneficio del dubbio. Le forze di polizia e l’Arma dei carabinieri non si sono mai sottratti all’assunzione delle loro responsabilità. Anche quando ci sono stati casi altamente controversi e complicati.
Ilaria Cucchi non sarebbe d’accordo con lei.
A volte possono essere percorsi faticosi. Chi veste la divisa ha obblighi in più rispetto a qualsiasi cittadino, ma il diritto di difesa vale per tutti. E in questo caso non mi pare ci sia un’accusa strutturata.
Certo, l’impressione è che nel nostro paese una donna che denuncia non sempre viene ascoltata.
Su questo passaggio mi permetto di contraddirla. Le forse dell’ordine hanno fatto molti passi avanti. Anche se mai troppi se ne fanno. C’è sempre la necessità di adeguare la formazione specifica, soprattutto nel capire il fenomeno. Il tema è anticipare i casi. Questa è la vera insidia. Occorre capire quando siamo in presenza di casi di violenza. Questa è la vera sfida. Che riguarda le forze dell’ordine ma anche tutte le istituzioni che hanno l’obbligo e la missione di curare questi casi.
Glielo chiedevo anche perché, come avrà visto, la polizia ha fatto un post sul tema della violenza contro le donne. E molte donne, nei commenti, hanno denunciato di non essere state adeguatamente ascoltate quando si sono trovate a denunciare.
I social sono un sistema di comunicazione importante, ma non andrei dietro a quanto accade sui social. Mi sembra alquanto ingeneroso verso le forse dell’ordine.
Che fine ha fatto il decreto Rave?
All’epoca, basta andarsi a riprendere le cronache di quel periodo, in maniera assolutamente bipartisan, quello dei rave sembrava essere il problema dei problemi. Anche con una certa irritazione per un fenomeno caratterizzato da concorrenza sleale e abuso della proprietà altrui. Senza contare la necessità di garantire la tutela dell’incolumità delle persone. Sono quei fenomeni di cui chi governa si deve fare carico. Che fine ha fatto? Lei sa quanti rave si sono tenuti dopo quella normativa? Zero. Saremmo stati fortunati? Prima erano diverse decine.
I famigliari delle vittime del naufragio di Cutro verranno risarciti?
Lo stato non si è girato dall’altra parte rispetto alle vittime del naufragio di Cutro. Lo stato si è fatto carico del fatto che metà dei supersisti ha chiesto di andare in altri paesi per ricongiungersi ai propri parenti. Chi è rimasto sul territorio nazionale ha fatto richiesta di protezione internazionale e alcuni l’hanno già ricevuta. Lo stato non si è girato dall’altra parte e non lo farà mai. Io volutamente ho parlato di indennizzo e non di risarcimento, perché in questi casi il risarcimento presuppone la responsabilità dello stato, e la vicenda è ancora tutta da chiarire. Sicuramente ragioneremo in una logica di indennizzo dei famigliari delle vittime.
È pentito della direttiva che ha bloccato la trascrizione degli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali?
No, perché era un direttiva che si limitava a rappresentare una giurisprudenza consolidata della corte di Cassazione. Il legislatore potrà ritornarci sopra se vorrà.
A volte un governo, se ritiene che ci siano diritti violati, può cambiare le leggi.
Il parlamento può cambiare le leggi. Ma lei sa che il governo è retto da forze parlamentari che, su questo aspetto, la pensano in un certo modo. La democrazia è anche maggioranza.
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