No, con l’incarico di Sergio Mattarella a Mario Draghi «la politica non è andata a casa. A patto che il parlamento e le forze politiche abbiano consapevolezza della congiuntura difficilissima. Sui giornali viene fatta con disinvoltura la distinzione tra “governo politico” e “governo tecnico”. C’è un equivoco: non esistono governi tecnici, la Costituzione dice con chiarezza che il presidente del consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile». Tutto è politica, sostiene Vincenzo Scotti, democristiano, navigatore di lungo corso nella Prima Repubblica, oggi considerato un “grande vecchio” del ‘partito di governo’ dei Cinque stelle, che ne facevano il nome per il Colle. «E dunque: nel nostro ordinamento non esiste un monopolio della politicità nelle mani di un ceto: la Carta non fissa i requisiti per essere nominato presidente del consiglio, non c’è preclusione per chi non sia membro del parlamento».

Come Giuseppe Conte del resto. Messa così, un governo tecnico è mai esistito: neanche il Monti 2012, né il Dini 2005?

Infatti non è mai esistito. Qualsiasi tecnico può essere chiamato a una funzione politica. E non esiste la grazia di Stato per il tecnico. Draghi presenterà il suo programma in parlamento. E i parlamentari daranno un voto motivato. Il parlamento non va “in vacanza”.

Il parlamento non era in vacanza finora ma non aveva gran ruolo.

Draghi ha detto: mi rivolgerò al parlamento con rispetto. Un rispetto tutto da ricostruire. Ma non basta: sappiamo che le decisioni che incidono sulle nostre vite passano ormai attraverso un negoziato multilaterale mondiale e quello dell’Unione europea. Siamo presidenti di turno del G20, partecipiamo alla ridefinizione dei rapporti fra Ue e Usa, siamo parte di un conflitto per il primato tecnologico e commerciale tra Usa Europa, Cina e Russia. Il Mediterraneo è una polveriera. Anche per questo abbiamo bisogno di una figura come Draghi, per affidarci a un negoziatore rispettato.

Meglio Draghi che “Giuseppi”, l’amico di Trump?

Sto dicendo che l’Italia deve fare un deciso passo in avanti per un primato politico, dopo anni di mancanza di quel primato.

Conosce Draghi?

Si, sono del Vecchio Testamento. Draghi si è misurato con i grandi poteri, con i suoi colleghi della finanza internazionale; con il governatore della Banca centrale tedesca quando, nella crisi del 2008, ci era ostile. Chi si intesta il merito di aver portato i soldi all’Italia dall’Ue deve ricordare che la svolta di oggi è stata resa possibile da chi ha rotto il tabù. Sfide altissime. Draghi è un keynesiano e anche un allievo di Federico Caffé. Certo, oggi, per lui la sfida forse è persino più complessa, anche perché nel cortile di casa non troverà linguaggi nobili.

Conte veniva gratificato con il titolo di nuovo dc, la crisi l’ha risolta Mattarella, Draghi è anche un cattolico: non ci affrancheremo mai da voi?

Non faccia caricature. La Dc è stato un grande partito, ma non ci sono più né il partito né quel mondo. Esisteva, in quel tempo, una cultura di governo che è utile tenere presente. Serve una visione per governare il Paese. Quando Draghi ha accettato l’incarico non ha detto “io farò” ma “noi”: ha parlato non solo alla politica ma alla società, alla cultura, al pluralismo sociale del nostro paese. Voltiamo pagina, voltarsi indietro non serve. Serve però un metodo: governare con la società, non sulla società e sui cittadini. La politica non è amministrazione, direi neanche solo buona amministrazione, ma guida, visione strategica.

Lei ha osservato da vicino la nascita dell’alleanza giallorossa. L’alleanza andrà avanti?

In questi due anni M5S ha perso consensi ed è rimasto incerto nella sua trasformazione in “partito di governo". Lo sviluppo del movimento è faticoso, le contraddizioni sono esplose e questo non ne ha consentito la crescita, neanche del dialogo con il Pd a livello locale, che sarebbe dovuto iniziare prima. Draghi dice che c’è debito buono e debito cattivo: significa che i risultati di un investimento debbono rispondere ai bisogni di crescita, occupazione e reddito. Qui sta il banco di prova dei Cinque stelle. Ma anche il Pd ha un problema: si comporta come fosse il vecchio Pci, il partito diverso che dà lezioni a tutti.

Nel governo Draghi chiede un posto anche la Lega sovranista cioè nazionalista?

Salvini sembra riflettere su quale sovranità vuole costruire per il futuro del nostro Paese. Le decisioni sono in gran parte prese lontano da noi. Il sovranismo degenera in rabbia e chiusura impotenti verso gli altri. Il 6 gennaio, negli Usa, qualcuno ha invitato tutti a non esasperare lo scontro e a ricostruire. Anche per la Lega è l’occasione di una riflessione realistica.

È fallito il populismo M5S e anche quello leghista?

Sì, se ci sarà una concreta risposta ai nostri cittadini con il Recovery plan. Ma la politica che opera in sintonia con la società non è populismo.

Renzi ha vinto?

Se il governo Draghi riuscirà nell’impresa, avrà il merito di aver contributo a determinarlo. Ha capito con fiuto. Certo dovrebbe imparare che la rottamazione, e la tecnica di “asfaltare”, non è quello che oggi serve.

Perché Conte è caduto?

Ha governato con due patrimoni culturali e opposti del Paese, destra e sinistra. E’ stato un mediatore ma oggi, per affrontare la bufera che incombe, la politica necessaria è molto più che mediazione.

Mattarella ha tirato fuori il Paese da una crisi che rischiava di diventare istituzionale?

Mattarella è stato attento a non essere solo un notaio ma neanche un prevaricatore di una democrazia parlamentare. Ha il dono della misura. Se questo processo andrà avanti, avrà inciso sulla storia del nostro Paese in modo coraggioso.

© Riproduzione riservata