In Squarcio rosso. Berlinguer, Craxi e la sinistra in pezzi, libro scritto da Giampiero Calapà e pubblicato da bordeaux edizioni, il dualismo e le passioni contrapposte rimandano a tempi che paiono lontanissimi, difficili da raccontare ai giovani abituati alla politica di oggi.

Era il mondo della guerra fredda, su cui spiravano venti assai minacciosi: l’Europa che si riempiva di missili nucleari, le vicende drammatiche della Polonia, l’invasione dell’Afghanistan, le denunce e le persecuzioni dei dissidenti. La politica italiana era condizionata pesantemente da questo vasto dramma storico. A ciò andava aggiunta una crisi economica e sociale di complessa decifrazione, mentre l’emergenza terroristica stava per cedere il testimone a quella legata al crimine organizzato.

Comunisti in trincea

Lapresse

In questo scenario si muovevano le due figure al centro della narrazione. Giampiero Calapà ci guida nella riflessione su come dietro una polemica dai forti tratti personalistici vi fossero in realtà idee e prospettive politiche differenti. Gli uomini finivano con l’incarnare traiettorie alternative e in apparenza inconciliabili.

A sinistra (e non solo) si creò una situazione in cui dovevi schierarti da una parte o dall’altra, tertium non datur. La sfida lanciata da Bettino Craxi al Pci diventa un fattore chiave della vita politica nazionale mentre la strategia di Enrico Berlinguer sta conoscendo un gravissimo stallo.

Dal 1978 si chiudono inesorabilmente tutti gli spazi per il disegno berlingueriano di riformare il comunismo a livello europeo cogliendo le opportunità del processo di distensione, interpretato in senso dinamico e non come congelamento degli equilibri; giunge al capolinea anche la collaborazione al governo con la Dc.

I comunisti italiani vengono a trovarsi in una situazione di sostanziale isolamento, costretti sulla difensiva. Questa trincea Berlinguer non la abbandonerà più. Quando alla fine del 1981 riconosce l’esaurimento della «capacità propulsiva di rinnovamento delle società» al di là della cortina di ferro, si può dire che sia cessata anche la spinta data dalle proposte berlingueriane negli anni Settanta.

Il leader del Pci apre un nuovo cantiere che si nutre dell’incontro con le ideologie internazionaliste emerse dopo il 1968 (pacifismo antinucleare, ecologismo, diritti umani), ma all’interno del suo stesso partito subisce critiche per il suo rimanere in una posizione di impasse e senza sbocchi concreti all’orizzonte.

Lo strappo

Rispetto a tutto questo decolla la strategia craxiana di un socialismo definitivamente inserito nella comunità occidentale e dunque privo di ogni residua sudditanza verso il Pci, con il quale si intende anzi rivaleggiare apertamente per l’egemonia a sinistra.

Craxi va al di là dell’autonomismo nenniano e scommette sulla carta di una crescente crisi del comunismo sia a livello internazionale sia italiano. Il progetto del pentapartito mette ai margini i comunisti e punta a chiudere la lunga stagione in cui il Pci, sebbene confinato all’opposizione, ha interpretato questo suo ruolo “antagonista” in modo particolare, inserendosi nei processi legislativi e fornendo un concorso importante a tutte le principali riforme repubblicane.

Una parte significativa del Pci vive questa novità come un vero e proprio attentato alla democrazia. Certamente vi è uno “strappo” craxiano (termine famoso nel lessico berlingueriano) rispetto a consuetudini radicate nel sistema politico (con almeno un quarto di secolo di storia).

Scommettere sul capitalismo

Nel suo incedere Craxi è portato a intercettare e reinterpretare tutta una serie di fermenti che si manifestano dal basso nella società italiana.

Tra questi vi sono pulsioni anticollettiviste e post keynesiane che conducono dritte allo scontro sulla scala mobile del 1983-84.

L’Italia si è lasciata alle spalle la stagione successiva al 1968, è iniziata una trasformazione molecolare in senso più individualista. In fondo vi è un segno di questo nelle elezioni del 1983, caratterizzate da un calo del Pci mentre i socialisti ottengono un buon risultato che proietta Craxi alla guida del governo.

E qui esplode lo scontro interno alla sinistra, con Craxi che lancia una nuova scommessa sulla ristrutturazione del capitalismo e Berlinguer che invece parte dalle sue contraddizioni insanabili e cerca di mantenere in piedi la prospettiva del suo superamento. Una divergenza che va ben al di là della pur rilevante questione dei tagli al meccanismo della scala mobile.

Anomalie

La scomparsa prematura di Berlinguer nel pieno dello scontro ha l’effetto di cristallizzare la disfida in un senso di assoluta inconciliabilità.

I due resteranno duellanti in eterno, anche nella guerra delle memorie contrapposte e delle polemiche fra socialisti e comunisti che sopravvivranno alla fine del socialismo e del comunismo (rimasti entrambi sotto le macerie del Muro di Berlino e della separazione tra Smith e Keynes).

Dopo Berlinguer la storia dei rapporti fra Pci e Psi è costellata di polemiche e attacchi reciproci, ma anche di momenti importanti di dialogo e incontro. Tuttavia nelle percezioni dei due popoli dei militanti le ferite di un tempo rimangono.

Per molti comunisti il Psi craxiano si è posto fuori dei confini della sinistra, conoscendo una vera e propria “mutazione genetica”. Dall’altra parte, per molti socialisti le pretese egemoniche e il conservatorismo del Pci sono divenuti il grande problema della democrazia italiana e della possibilità per il paese di andare avanti.

Su entrambi i fronti si giudica l’altro come una anomalia negativa, tolta la quale le cose andrebbero molto meglio. Al riguardo possiamo osservare che in tutto questo vi è una radice di verità, nel senso che sia i comunisti sia i socialisti italiani rappresentavano dei casi anomali rispetto alle famiglie politiche di appartenenza a livello europeo, ma nell’opinione di chi scrive si trattava di anomalie cariche anche di aspetti positivi e nobili, che avevano contribuito in modo decisivo allo sviluppo della democrazia.

Il fatto che a un certo punto sia mancato un adeguato riconoscimento reciproco di tutto questo è il segno di una sconfitta, che va al di là del perimetro della sinistra storica novecentesca.

Pagine da rielaborare

La fine imprevista della guerra fredda e la tempesta giudiziaria di Tangentopoli (due fenomeni oggettivamente collegati) pongono termine in modo rapido all’intero ciclo storico della cosiddetta prima repubblica.

Il mondo di Berlinguer e Craxi non esiste più e questo ai nostri occhi, che li osservano oggi da un altro mondo, contribuisce a farceli vedere non solo nelle differenze ma anche in ciò che li accomunava.

Nonostante tale distanza, possiamo dire che non c’è stata una adeguata elaborazione critica di questo passato. Ancora oggi assistiamo a difese apologetiche dell’una o dell’altra parte, oppure a demonizzazioni della controparte.

Il più delle volte si attinge a quella stagione in modo strumentale, in certi casi con venature nostalgiche. In fondo negli anni Ottanta sembrava che l’Italia contasse ancora qualcosa, mentre poi è apparsa come un guscio inadatto a navigare nell’oceano della globalizzazione.

Ad ogni modo Berlinguer e Craxi li possiamo considerare in buona e affollata compagnia: sono tante le pagine della nostra vicenda nazionale non rielaborate a sufficienza da parte di una società che in genere si rappresenta come una democrazia avanzata.

Facili soluzioni a questo deficit non esistono, ma certamente abbiamo bisogno di un rinnovato sforzo di riflessione. In questa direzione va Squarcio rosso, viaggio in un passato che non passa sempre innanzi a noi.

Un itinerario che vale la pena di compiere, perché ci racconta molte cose dell’Italia di ieri e di oggi, poste in comunicazione attraverso il filo della memoria e della rievocazione. Una tragedia greca in cui la parola dei protagonisti – i “duellanti” di Conrad – lascia il posto a una coralità di voci che li ricordano. Certo non è un coro univoco e armonioso, anzi è una polifonia di decifrazione non semplice. Ma pagina dopo pagina capiamo che è nostro dovere ascoltare, fino in fondo.

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