I funzionari di Zingaretti hanno fatto un contratto da 27 milioni di euro con una ditta di Taranto per mascherine, camici e tute. Gli investigatori dell’antimafia dicono che tra i soci ci sono «personaggi legati alla camorra e a cosa nostra». Il titolare: «Ora l’azienda è vergine, pulita come un fiore»
- Tra i soci della ditta che ha fornito le mascherine alla regione Lazio personaggi legati ad «ambienti criminali», è la pista seguita dagli investigatori antimafia.
- All’azienda sarebbero dovuto andare 27 milioni per la consegna di 6 milioni di mascherine e quasi 2 milioni tra camici e tute. Sono arrivate solo le prime, ma ha già incassato dalla regione 4,9 milioni.
- «Abbiamo fatto ingiunzione di pagamento», dice il titolare della società, che aggiunge: «Ora l’azienda è vergine, pulita come un fiore».
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Milioni di mascherine vendute alla regione Lazio da una ditta sospettata dall'antimafia di avere legami con la criminalità organizzata. Con affiliati a camorra, cosa nostra e gruppi di narcotrafficanti. Un’azienda, la Internazionale Biolife, con 3 dipendenti, un fatturato di appena 330 mila euro e un utile nel 2017 di mille euro, che è riuscita a firmare con l’ente guidato da Nicola Zingaretti un contratto da 27 milioni di euro, incassandone (finora) quasi 5 milioni di euro.
Andiamo con ordine, partendo da fine agosto. L’impennata del numero dei contagi sta tornando a preoccupare l’Italia. Un container viene scaricato sulla banchina del porto di Bari. Proviene dalla Turchia. Destinazione: i magazzini di una ditta di Taranto. Contiene quasi 2 milioni tra camici e tute isolanti destinate alla protezione civile del Lazio.
La fornitura era parte di un carico di dispositivi antiCovid comprati dalla regione Lazio. A Roma, però, il materiale non arriverà mai: la procura di Taranto e la guardia di finanza hanno sequestrato il container prima che i camici partissero verso la Capitale.
Le cronache hanno raccontato che gli investigatori sono intervenuti perché temevano che la merce non fosse a norma. Ma le preoccupazioni di altri inquirenti che lavorano in segreto sul dossier, ha scoperto Domani, riguardano soprattutto i curriculum criminali di alcuni tra soci ed ex soci dell’impresa pugliese.
Dalla Turchia alla Capitale
L’accordo da 27 milioni tra la società di Tarando e la regione Lazio risale a fine marzo. Gli uomini di Zingaretti devono fare il pieno di protezioni anti Covid-19, il Lazio è in piena emergenza sanitaria. Dopo le prime spedizioni andate a buon fine, il sequestro del container fa scattare l’allarme rosso. E una guerra legale: alla mancata consegna del resto del materiale promesso, gli uomini di Zingaretti decidono infatti di rescindere il contratto. Dopo aver versato, però, 4,9 milioni come acconto.
«I dispositivi destinati alla regione li abbiamo comprato dall’azienda Yabs, di proprietà di un ministro turco», dice l’amministratore delegato di Biolife Luciano Giorgetti, che aggiunge: «Per questo abbiamo fatto un’ingiunzione di pagamento nei confronti della regione».
Internazionale Biolife si è aggiudiata la fornitura dopo che la società Ecotech, che aveva garantito in precedenza la consegna di enormi quantità di dispositivi sanitari, non era riuscita a rispettare le scadenze. Ora la procura di Roma sta indaga sulla vicenda.
Tuttavia la pezza che gli uffici regionali hanno provato a mettere si è rivelata peggio del buco lasciato da Ecotech. Non solo per il sequestro, ma soprattutto perché sul nuovo contratto aleggia l’ombra di personaggi (soci della piccola ditta tarantina) che conducono ad ambienti criminali.
Spessore criminale
Partiamo da Antonio Formaro, socio fino ad agosto scoro al 45 per cento di Biolife. Formaro da dieci anni non presenta alcuna dichiarazione dei redditi, «è sconosciuto all’anagrafe tributaria», scrivono i detective. E poi «i dati investigativi e giudiziari raccolti a suo carico mostrano un significativo spessore criminale, abituali frequentazioni con pregiudicati per gravi reati anche associativi di traffico internazionale di droga ed economico finanziari». Il suo nome, infatti, compare in atti giudiziari a partire dagli anni Novanta.
Nel 2013, per esempio, in un’inchiesta sul traffico internazionale di droga il nome di Formaro emerge in stretta connessione con altri personaggi «contigui ad associazioni criminali di stampo mafioso». Tra questi anche un pregiudicato in contatto con Flavio Carboni, il l’uomo d’affari dai mille segreti, legato alla loggia massonica P2 di Licio Gelli.
L’amministratore delegato di Biolife, Luciano Giorgetti, spiega che «Formaro non fa più parte dell’azienda». Ma è ancora un collaboratore, almeno secondo la versione della segretaria che ha risposto alla nostra chiamata e che si è rifiutata di darci il contatto di Formaro. «No, non è nemmeno collaboratore», ribatte di nuovo Giorgetti.
Ma dai documenti societari risulta che Formaro ha venduto le quote il 4 agosto scorso, comunque molti mesi dopo l’accordo raggiunto con la regione. Scopriamo pure che al posto di Formaro è subentrato nella compagine societaria un’azienda di costruzioni, che detiene oggi la maggioranza delle quote della Biolife. Tra i soci della Ruggiero Costruzioni troviamo un amico di Formaro. Si tratta di Francesco Oliverio: anche lui inserito in ambienti «collegati alla criminalità organizzata», rivelano alcuni documenti giudiziari. Per tracciare il suo profilo gli investigatori citano le «connessioni» di Oliverio con affiliati al clan Belforte della camorra casertana e uomini legati a cosa nostra di Catania.
Il manager Giorgetti, però, sostiene che i documenti della Camera di commercio di Taranto non sono stati aggiornati, «le assicuro che adesso siamo pulitissimi: questa è l’Italia purtroppo». Lo stesso Giorgetti però risulta socio di Oliverio nell’azienda edile che detiene la maggioranza di Biolife. «Ora l’azienda è vergine, pulita come un fiore», assicura il manager della ditta tarantina.
Tuttavia queste non sono le sole connessioni della Biolife con le organizzazioni criminali. Le ombre si allungano fino in Bulgaria, sede della società proprietaria del 20 per cento delle quote dell’azienda che ha ottenuto la fornitura dalla regione Lazio. Socia dell’azienda bulgara è infatti Ivelina Bahchevanova, una donna domiciliata in provincia di Latina.
Il suo nome è emerso in passato in un’inchiesta sul clan Senese, gruppo della camorra radicato a Roma, che controlla numerose piazze di spaccio della Capitale. Inchiesta in cui la donna era messa in collegamento a pedine del narcotraffico.
Incroci pericolosi che avrebbero dovuto bloccare l’assegnazione dell’ appalto? Di certo chi avrebbe dovuto controllare non lo ha fatto.
La versione della regione
«Nella vicenda del sequestro siamo parte lesa, abbiamo collaborato a stretto contatto con i magistrati di Taranto», dicono dalla regione Lazio, che ha risolto poi il contratto con la società Biolife.
Alla fine, gli uffici di Zingaretti hanno pagato alla Biolife «soltanto le mascherine a metà del loro valore, 4,9 milioni». Un guadagno notevole per l’azienda, 15 volte maggiore rispetto all’ultimo fatturato dichiarato. Resta da capire che tipo di controlli siano stati fatti.
I documenti confermano che la certificazione antimafia è stata chiesta dal responsabile della regione alla prefettura di Taranto, ma solo il 14 maggio 2020, tre settimane dopo la stipula del contratto. Dalla regione spiegano che non è arrivata alcuna risposta dagli uffici prefettizi.
Eppure un rapido controllo sulla misteriosa Biolife avrebbe dovuto far scattare, da parte delle istituzioni, cautele maggiori nell’assegnare commesse così rilevanti.
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