- La frenesia pro nucleare di queste settimane è certamente legata anche al dibattito sulla tassonomia europea per includerlo, assieme al gas, tra le tecnologie cosiddette “verdi”.
- Il referendum contro il nucleare ha permesso all’Italia di risparmiare sulla costruzione di reattori ad acqua pressurizzata: in Francia si preannuncia un fallimento economico.
- Intanto si attende la semplificazione per le rinnovabili. Il dibattito lunare su futuribili tecnologie nucleari a fissione o fusione (da decenni allo stadio di ricerca) sembra fatto per lasciare le cose come stanno, col gas fossile al centro di tutto.
La frenesia pro nucleare di queste settimane, che ieri ha contagiato anche la Lega di Matteo Salvini, è legata al dibattito sulla tassonomia europea per decidere se includerlo, assieme al gas, tra le tecnologie cosiddette “verdi”.
Il (secondo) referendum che nel 2011 bloccò il rilancio del nucleare ha evitato all’Italia di imbarcarsi nella costruzione di 4 reattori ad acqua pressurizzata (Epr) oggetto del Memorandum tra Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy del 2008.
A quell’epoca c’erano in costruzione due reattori Epr uno in Finlandia e uno in Francia. Sono tuttora in costruzione e i loro costi sono esplosi: circa 12 miliardi di euro quello in Finlandia (previsione iniziale 3,2), e per quello di Flamanville la Corte dei Conti francese ha stimato un costo complessivo di oltre 19 miliardi di euro, inclusi i costi finanziari. Areva, l’azienda proprietaria della tecnologia, impegnata nel cantiere finlandese, è fallita.
Non è andata meglio negli Stati Uniti: il “rinascimento nucleare” lanciato da George W. Bush nel 2001, dopo 20 anni non ha prodotto nulla. Dei quattro reattori AP1000 due sono stati cancellati e per gli altri due la stima dei costi è passata da 9 a 27 miliardi di dollari. L’azienda nippo-americana proprietaria della tecnologia, la Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017.
Dunque grazie alla vittoria del movimento antinucleare e referendario che ci siamo risparmiati almeno 4 “buchi neri finanziari” – altri quattro reattori promessi sarebbero stati nippo-americani – e il fallimento di qualche grande azienda italiana, se invece avesse vinto lo schieramento che vedeva Confindustria e buona parte dei sindacati (con notevoli eccezioni, come i metalmeccanici).
Da qualche settimana cominciano a emergere informazioni sugli aspetti tecnologici che delineano un possibile fallimento della filiera Epr francese.
Tutto è cominciato con un incidente a uno dei due reattori Epr costruiti in Cina a Taishan: una perdita di gas nobili dentro il nocciolo dovuta al danneggiamento di alcune barre di combustibile. A dare l’allarme la francese Framatome (che ha preso il posto di Areva) la quale ha chiesto e ottenuto il fermo dell’impianto lo scorso giugno.
Le questioni tecniche
Un recente articolo di Bernard Laponche (La folie des grandeurs, Le Journal de l’Energie riporta diversi elementi fattuali. L’Agenzia di sicurezza nucleare (Asn) avrebbe riscontrato nel caso cinese una “anomalia” nella distribuzione di potenza nel nocciolo del reattore. Il sospetto sollevato da alcuni è che i modelli matematici utilizzati per i reattori di potenza inferiore non funzionino bene con l’Epr (1650 MWe il più grande mai costruito).
Oltre al tema delle anomalie nel nocciolo, un'altra questione già emersa nel caso del reattore in costruzione in Finlandia, riguarda le “strane vibrazioni” del pressurizzatore, elemento centrale del reattore.
Lo scorso marzo l'Istituto per la protezione dalle radiazioni e la sicurezza nucleare (Irsn) scriveva una relazione chiedendo alla società Framatome di identificare «le origini delle elevate vibrazioni della linea di espansione del pressurizzatore osservate su vari reattori Epr». Una rottura del pressurizzatore potrebbe portare a rilasci di radioattività all’esterno nel momento in cui la pressione interna al reattore andasse oltre i limiti progettuali.
Una ulteriore questione riguarda la tenuta delle guaine che rivestono gli elementi di combustibile che in Cina si sono danneggiati e che potrebbe essere legato a diversi fattori (secondo le dichiarazioni di Edf) tra cui anche la lega metallica di cui è composto. Una anomalia simile è avvenuta nel reattore N4 (un “progenitore” dell’Epr da 1450 MW) secondo quanto comunicato a luglio da Edf all’Agenzia di sicurezza nucleare. Se questi indizi fossero confermati, l’Epr nella versione attuale sarebbe un fallimento tecnologico oltre che economico.
La posizione dell’Italia
Ma perché mai l’Italia, seconda manifattura europea, dovrebbe seguire la Francia e non la strategia basata sulle rinnovabili della Germania con la cui industria siamo strettamente legati? E nessuno si ricorda l’altro grande fallimento, quello del reattore franco-italo-tedesco Superphenix degli anni Novanta, che ci costò 5 mila miliardi di vecchie lire?
E nel frattempo l’attesa semplificazione per le rinnovabili non si vede ancora mentre il dibattito su futuribili tecnologie nucleari a fissione o fusione (da decenni allo stadio di ricerca) sembra fatto per lasciare le cose come stanno, col gas fossile al centro di tutto.
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