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La sortita contro Zelensky di Berlusconi è solo la punta visibile di una frattura sulla politica estera, che azzoppa la premier già isolata in Ue e anche il ministro degli Esteri di FI, Tajani.
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Del resto, la parole di Berlusconi non sono state un commento rubato a margine, ma uno scambionche sembrava preparato e intenzionale. La sua posizione sul conflitto ucraino è nota: sostenitore della linea del dialogo per la pace con Mosca.
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Il rischio, in questo scenario, è che Meloni si trovi ancora più isolata in Europa e perda di credibilità anche sullo scacchiere delicato della Nato.
La vittoria alle regionali di Lazio e Lombardia mette solo temporaneamente in ombra la crisi nell’alleanza di centrodestra. Non si tratta solo di schermaglie politiche e fisiologica competizione interna, ma di un contrasto profondo sulla linea nel conflitto in Ucraina. Lo scontro è emerso proprio nel giorno del voto, quando il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi ha parlato davanti al suo seggio elettorale attaccando frontalmente il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e anche la premier, Giorgia Meloni. «Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto.
Quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore» e ancora: «Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili».
Parole non fraintendibili, e perfettamente in linea con le uscite dei mesi scorsi, che hanno mandato su tutte le furie palazzo Chigi e in tilt gli stessi azzurri, che in un profluvio di agenzie hanno tentato di mitigare l’impatto dell’intervento. Del resto, la parole di Berlusconi non sono state un commento rubato a margine, ma uno scambio di battute con i giornalisti che sembrava preparato e intenzionale. La sua posizione sul conflitto ucraino è nota: sostenitore della linea del dialogo per la pace con Mosca, ha ricordato spesso la sua amicizia con Vladimir Putin e durante un incontro di partito anche lo scambio di regali sotto forma di lambrusco e vodka.
Tuttavia le parole di domenica hanno provocato gli effetti di un incidente diplomatico. Forza Italia è parte del governo Meloni, formalmente ultra atlantista e sostenitore senza ombre dell’Ucraina, anche se alla prova dei fatti il decreto sull’invio delle armi non è stato approvato e la premier è stata tenuta fuori dalla missione di Zelensky a Londra e Parigi, rimediando con un bilaterale a margine del Consiglio europeo che non ha fatto altro che risaltare il suo status di alleato europeo di seconda fila. Il coordinatore nazionale, di Forza Italia, Antonio Tajani, è viceministro e ministro degli Esteri. «Forza Italia è da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della Nato e dell’occidente» è la posizione di Tajani dopo la sortita del suo leader, ma per la Farnesina è una giornata nera.
Le dichiarazioni di Berlusconi sono rimbalzate su tutti i media stranieri. Il ministero degli Esteri ucraino, Oleg Nikolenko, ha rilasciato una nota di fuoco in cui dice che «Berlusconi tenta di baciare le mani insanguinate di Putin come fece con Gheddafi e incoraggia la Russia a continuare i suoi crimini». Il rischio è quello di un ulteriore isolamento del governo italiano in Europa ma anche un irrigidimento dei rapporti con gli Stati Uniti.
Lo sgambetto a Meloni
Meloni si è sentita pugnalata alle spalle anche dall’alleato. Da palazzo Chigi si è a lungo riflettuto sul da farsi, mentre sono continuate le prese di distanza da Berlusconi. Alla fine si è optato per la prova di forza: «Il governo non condivide le parole di Berlusconi», è il commento del fedelissimo ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, dopo la nota in cui il governo ha ribadito che «il sostegno all’Ucraina è saldo e convinto». Tuttavia, sul fronte di Fratelli d’Italia c’è la consapevolezza che la sortita di Berlusconi è stata pianificata ed è solo la punta visibile di una frattura molto più profonda dentro al governo in tema di alleanze strategiche.
Davanti alle parole di Berlusconi, infatti, la Lega è rimasta in silenzio e anche un leader solitamente loquace come Matteo Salvini ha preferito rimanere a distanza. Anche dentro il suo partito, infatti, covano posizioni non in linea con le posizioni filo-ucraine professate da Fratelli d’Italia. Al momento del rinnovo del decreto per l’invio delle armi, infatti, il ministro della Difesa Guido Corsetto non ha avuto un passaggio parlamentare indolore. Dai banchi leghisti si sono alzate voci negative, a partire da quella del fedelissimo Claudio Borghi, tanto che è servita una riunione di partito per riposizionare tutti sulla linea voluta dalla premier.
Anche Sanremo è stata occasione per Salvini di posizionarsi sul fronte più freddo nei confronti del presidente ucraino. Il ministro dei Trasporti, infatti, si è espresso polemicamente all’ipotesi del videomessaggio poi saltato di Zelensky a Sanremo, parlando di palcoscenico da mantenere «riservato alla musica». Il rischio, in questo scenario, è che Meloni si trovi ancora più isolata in Europa e perda di credibilità anche sullo scacchiere delicato della Nato. La delegittimazione di fatto subita da parte degli alleati di governo, infatti, arriva proprio nei giorni in cui il capo della commissione Esteri del Partito comunista cinese, Wang Yi, arriva in Italia.
La visita non è di poco conto: Wang, che è l’ex ministro degli Esteri e figura di riferimento per l’espansionismo cinese, farà tappa a Roma in un tour europeo che tocca anche la Francia, ma soprattutto Ungheria e Russia. A meno che il governo italiano non decida di revocarla, nel marzo 2024 si prorogherà automaticamente l’intesa quadro sulla “nuova via della Seta”, il progetto infrastrutturale che dovrebbe avvicinare l’Europa al gigante asiatico. Approvata durante il governo gialloverde e guardata con sospetto dalla Casa Bianca, Pechino auspica che l’accordo possa proseguire.
La scelta spetta a Meloni, ma lo sbandamento sul fronte diplomatico nel conflitto ucraino rischia di renderla ancora più problematica agli occhi degli alleati occidentali.
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