A Roma, alla sede della Cgil, il funerale laico per il dirigente comunista, nel giorno del centenario del Pci, l’ex nomenklatura, i compagni, gli amici e persino gli avversari come Luca di Montezemolo. Provenzano, Tortorella e Landini: «Tutto ciò che si può fare per migliorare la condizioni di vita dei molti, anziché dei pochi, va fatto. E lui lo ha fatto»
«Chi prende l’acqua da un pozzo, non dovrebbe dimenticare chi l’ha scavato», il ministro Peppe Provenzano, che è giovane ma in fondo neanche tanto in fondo ha quasi quarant’anni, parla di Emanuele Macaluso ricordando il primo insegnamento del già anziano dirigente comunista. E’ morto un comunista del «socialismo possibile», dice. Gli scaloni di marmo della sede nazionale della Cgil, a Roma, sono ingombri di corone e fiori, rosso totale, rose bianche in quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con i corazzieri, dall’altra parte le insegne dell’Associazione nazionale partigiani.
Intorno alla bara, fra la folla che blocca il traffico di Corso D’Italia, si è riunito il presepe della sinistra, almeno quella che ha reimparato a stare unito non solo ai funerali: dell’ex «nomenklatura» del Pci – il programma delle celebrazioni del centenario della nascita del partito è sterminato, ma oggi a Roma va così, con tristezza – c’è Massimo D’Alema, Piero Fassino e Ugo Sposetti; poi ci sono i radiati del gruppo del manifesto come Luciana Castellina; il segretario Pd Nicola Zingaretti, i ministri Roberto Gualtieri e Enzo Amendola, Luigi Zanda, Gianni Cuperlo, Francesco Verducci, Cecilia D’Elia, Valeria Fedeli, Marco Miccoli; gli scissi dal Pd come Pier Luigi Bersani e Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre.
C’è il presidente della Camera Roberto Fico, l’ex segretaria Cgil Susanna Camusso, gli amici come Pier Ferdinando Casini, gli avversari come Luca Cordero di Montezemolo, rosso anche lui ma nel senso di Ferrari («Macaluso era una persona che ho sempre stimato, un riformista curioso di confrontarsi anche con persone lontane dal suo pensiero»). Dal microfono Marcelle Padovani, collega e amica, che ha conosciuto Macaluso ai tempi delle lotte contro la mafia, ricorda le ultime ore, le ultime discussioni, le ultime telefonate dall’ospedale. Intorno alla moglie Vincenza Maria D'Amelio, per tutti Enza, c’è una corte di nipoti accudenti. Macaluso era formidabile con i giovani.
Provenzano, che di Macaluso è stato il figlioccio politico, regge fino alla fine senza commuoversi, o quasi. Come Macaluso non c’è stato nessuno o quasi, la sua biografia è ineguagliabile: antifascista del Partito comunista clandestino, dirigente sindacale in Sicilia ai tempi della strage di Portella della Ginestra, quando i sindacalisti e i politici morivano come mosche sotto la lupara della mafia agraria.
Provenzano racconta i racconti. Di quando faceva i comizi in Sicilia ai tempi del referendum, quello per la Repubblica, «Su un balcone, di fronte la chiesa madre. Ricordo una piazza piena di donne, col fazzoletto rosso. Ero giovane. Feci un discorso molto acceso contro la Monarchia. Quando finii si avvicinò il maresciallo dei carabinieri. Dalla prima all’ultima parola, disse, ho avuto la tentazione di spararle in fronte». Poi dirigente politico, in segreteria nazionale chiamato da Togliatti e rimasto con Longo e Berlinguer, vicinissimo a Napolitano, centrista nella corrente migliorista, amico di Sciascia e Vittorini, direttore dell’Unità, del Riformista e delle Ragioni del socialismo, acuto polemista fino ai suoi ultimi giorni, laico, garantista e libero, mai entrato nel Pd ma «contrario a ogni scissione», lo ha ricordato Andrea Orlando mercoledì alla camera.
«Era un comunista italiano, nessuno più comunista italiano di lui», secondo Aldo Tortorella, nome da partigiano «Alessio», di due anni più giovane, compagno di quello stesso Pci ma della corrente di sinistra. Macaluso era migliorista, la destra del partito, ma per la generazione di Provenzano è stato «maestro di socialismo. Di un socialismo che precedeva le forme storiche che aveva assunto nel secolo scorso, e vi sopravviveva». I giovani «nel gioco delle generazioni», hanno guardato a lui, come ad altri grandi vecchi della Repubblica, «saltando la generazione dei padri per andare a quelli dei nonni, per risalire al senso delle loro scelte di vita, alla serietà nella battaglia delle idee e alla cura nelle relazioni sociali», «esprimeva in ogni sillaba, in ogni accento, la questione sociale, che è tornata a riproporsi in forme nuove, lontane dalla miseria che fu, ma non meno gravi».
«Macaluso è legato alla storia della sinistra», il finale è di Maurizio Landini, segretario Cgil, padrone di casa, «della democrazia e del mondo del lavoro. E' stato espressione di una generazione che si è riconosciuta nella lotta contro il fascismo e per le lotte sociali. La sua vita ci fa ripercorrere le lotte della sinistra e del sindacato». Il feretro va via – dopo la cremazione Macaluso sarà seppellito al famedio del Pci al Cimitero Monumentale del Verano -, si alza un unico pugno, un uomo, forse ci crede ancora, forse almeno uno lo deve ancora fare, partono le note dell’Internazionale, ma a volume basso, quasi sottovoce, sarà per evitare gli schiamazzi della sinistra, sarà che Macaluso non è mai stato indulgente con il folklore dei suoi, il suo, per Provenzano, «era un socialismo possibile. In cui tutto ciò che si può fare per migliorare la condizioni di vita dei molti, anziché dei pochi, va fatto. E lui lo ha fatto».
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