I dirigenti stanno conteggiando i militanti ancora attivi sul sito del Movimento. Per ratificare le modifiche statutarie deve votare almeno la metà degli aventi diritto
«Se entro 5 giorni dal ricevimento di questa mail non riceveremo da parte tua la conferma che desideri rinnovare la tua iscrizione per un ulteriore anno, verrà disposta in automatico la tua disiscrizione» al Movimento 5 stelle. Le mail – alcune finite nello spam – che gli iscritti stanno ricevendo per effetto dell’attivismo di Vito Crimi, da sempre uomo macchina del Movimento, non sono casuali.
«L’obiettivo è quello di sfrondare il totale degli iscritti», spiega chi conosce bene le regole dei Cinque stelle. La mail che raccomanda di tutelarsi dalla disiscrizione coatta effettuando un’operazione sul sito del Movimento, fa riferimento all’articolo 5 dello statuto che prevede che l’iscrizione si rinnovi tramite login.
A memoria di chi ha attraversato varie stagioni del M5s, però, una tale preoccupazione rispetto all’attività degli iscritti non s’era mai vista. La ragione di questa “attenzione” sta nelle regole che governano l’assemblea in programma per fine ottobre.
All’articolo 10 dello stesso statuto è previsto che le modifiche statutarie siano ritenute valide solo se approvate dalla maggioranza semplice degli iscritti. Peccato che, ormai da tempo, le votazioni interne al Movimento non raggiungono un’affluenza del 50 per cento. Anzi.
All’ultima consultazione, quella di maggio 2024, quando i vertici si sono rivolti ai militanti per validare il programma delle europee, hanno partecipato appena 17.215 persone su oltre 158mila aventi diritto (il dato più recente risale a dicembre 2023). Piuttosto poco.
Non è un episodio isolato. A fine 2023, quando si era votato per scegliere Claudio Cominardi come tesoriere, si era espresso solo il 12 per cento. La verità è che da tempo gli iscritti non sono più appassionati come un tempo ai destini del loro partito e non sembrano avere più voglia di dire la loro.
A settembre 2022, per dire, a esprimersi sulle liste erano state appena 50mila persone su oltre 133mila aventi diritto. Per ritrovare una partecipazione oltre il 40 per cento bisogna risalire a marzo 2022, quando Conte era stato confermato alla guida del Movimento con circa il 45 per cento di voti rispetto al totale degli iscritti. A febbraio 2021 i grillini invece avevano detto sì al governo Draghi con una votazione a cui aveva partecipato il 59 per cento degli aventi diritto.
I precedenti
Insomma, l’ex premier ha tutto l’interesse a ridurre il totale degli iscritti. Un’operazione che permetterebbe di arrivare più facilmente al traguardo del 50 per cento+1 che renderebbe effettive le modifiche statutarie. In realtà l’articolo 5 dello statuto continua e prevede anche la possibilità di rivotare: in seconda istanza, recita, il voto è valido «qualunque sia il numero dei partecipanti iscritti aventi diritti di voto, e in ogni caso sono assunte a maggioranza dei voti espressi». Se quindi in prima battuta non si raggiungesse il quorum, Conte avrebbe una seconda possibilità.
Certo, dopo che il presidente del M5s ha alzato drasticamente il tiro negli ultimi giorni, arrivando a minacciare la scissione («non resto se c’è un soggetto sopraelevato», ha detto alla festa del Fatto quotidiano con esplicito riferimento a Beppe Grillo), approvare le modifiche decise dalla “sua” assemblea in seconda battuta sarebbe un segnale di debolezza.
Peraltro, l’ultima volta che il popolo Cinque stelle si era espresso sulle modifiche statutarie – quando Conte è stato eletto presidente – l’affluenza ha toccato quota 54 per cento. Se l’ex premier dovesse decidere di dare seguito alle sue parole e andarsene lasciando il Movimento al «soggetto sopraelevato» Grillo, però, può succedere di tutto.
Innanzitutto, a livello di alleanze: Elly Schlein potrebbe trovarsi a dialogare con Conte e il comico contemporaneamente. Sempre che un ipotetico Movimento di nuovo “puramente” grillino non decida di seguire le intuizioni di Virginia Raggi, che ha spiegato a Maria Latella di non credere nell’alleanza: «Andare a braccetto direttamente con i partiti tradizionali mi sembra una regressione, quasi un tradire la missione del Movimento».
Intanto, chi è ancora nel Movimento continua a remare contro la scissione: «Il M5s non appartiene né a Conte né a Grillo, ma alla sua comunità», dice la vicepresidente Chiara Appendino, «una scissione sarebbe un fallimento».
L’altra via per la presidenza
Il campo largo però appare, almeno in superficie, ben compatto: per lo meno per quanto riguarda la Rai, visto che le opposizioni unite hanno ribadito la loro contrarietà all’elezione dei vertici prima della riforma della legge Renzi.
Un assist che permetterebbe a Meloni di congelare la pratica con una proroga di un anno. In alternativa, si procederebbe con l’interim al consigliere più anziano. Un passo indietro per Conte, che qualche giorno fa si era detto disponibile a valutare un nome «autorevole»? Nient’affatto, fanno capire dal partito, suggerendo che il campo largo non è poi così granitico: «Se presentano un nome condivisibile potremmo votarlo insieme alle altre opposizioni». Dal punto di vista dei dem – che smentiscono la propria disponibilità – l’ennesima prova del doppio gioco dei Cinque stelle.
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