Il Movimento è diventato inscalabile dall’interno. Il comico può solo sperare di cacciare il leader. Far mancare il quorum è la prima carta. Lo scontro giudiziario è un’incognita. Il nodo degli iscritti
«Dove vuole arrivare Grillo?» La domanda rimbalza tra i parlamentari del Movimento 5 stelle, che martedì hanno dovuto fare i conti con la decisione del fondatore del partito di impugnare i risultati delle votazioni sullo statuto. Mossa che ha costretto Giuseppe Conte a riconvocare gli iscritti, per esprimersi nuovamente, a inizio dicembre.
C’è chi si mostra sereno, come il vicepresidente Michele Gubitosa – «il quorum? Non c’è dubbio che lo raggiungeremo» – mentre altrove cova un certo malessere. A partire da frange del movimento da cui ce lo si aspetterebbe di meno, come quella che raccoglie i parlamentari di prima nomina. Per loro un ritorno in scena delle vecchie glorie, favorite dall’abolizione del vincolo del secondo mandato, rischia di essere deleterio. Difficilissimo competere con dei campioni di notorietà della prima ondata di Cinque stelle come Alfonso Bonafede, Roberto Fico o Paola Taverna.
Così, inaspettatamente, oltre ai “grillini”, anche altri potrebbero decidere di astenersi. La convinzione che filtra da via di Campo Marzio, però, è che la base del partito sia ormai mutata a sufficienza per sconfessare definitivamente il comico a favore della fedeltà all’ex premier.
Anche chi ha votato contro l’abolizione della figura del garante, è il ragionamento che circola, magari aveva in mente solo un ridimensionamento di Grillo. Tradotto: non è detto che il 37 per cento dei contrari sia automaticamente dalla parte del comico. Ma nessuno fa previsioni su quello che succederà dal 5 all’8 dicembre, quando il voto sarà effettivamente ripetuto. «Quel che è certo, invece, è che con la sua mossa di lunedì Grillo si è alienato anche chi era rimasto colpito negativamente dall’esultanza per la sua estromissione» raccontano dal partito.
Il riferimento è alla protofronda di chi non si ritrova del tutto nella linea di Conte e avrebbe apprezzato avere una maggiore visibilità per le proprie posizioni durante l’evento conclusivo dell’assemblea costituente. Insomma, il fondatore è sempre più solo.
A decidere le date del remake, martedì, è stato il Consiglio nazionale che ha preceduto l’assemblea degli eletti di Camera e Senato. Qualcuno aveva proposto anche di rimandare il voto ancora più in là mentre altri spingevano per tenere aperte le urne più a lungo. Due soluzioni poi scartate per non offrire altri appigli a Grillo e non tirare troppo in là quello che, a due giorni di distanza da Nova, viene già vissuto da alcuni come uno stillicidio.
I calcoli di Grillo
Conte, intanto, si occupa di puntellare le nuove posizioni emerse dalla consultazione. Sul fronte delle alleanze il Movimento è disposto «a sporcarsi le mani, ma non l’anima», ha detto a Bruno Vespa. Al quale, nella stessa puntata di Porta a porta, ha confidato che «non abbracciamo la formula dell’accogliamoli tutti». Resta il dubbio sul tempismo del comico.
Perché muoversi adesso, e perché in quella maniera? La richiesta di ripetere il voto andava fatta entro i cinque giorni successivi al voto, è vero. Ma, soprattutto, dice chi conosce bene il pensiero del comico, prendendo posizione in maniera più netta prima della prima consultazione, Grillo avrebbe sconfessato le aperture che aveva fatto a Conte nelle settimane precedenti sul coinvolgimento della base.
«Anche oggi continua a mandare avanti altri per conto suo, primo tra tutti Danilo Toninelli», racconta un maggiorente del partito. «La sua posizione non è cambiata da quando, in un incontro a Roma dopo le europee, Conte gli aveva proposto per la prima volta la possibilità di convocare un’assemblea costituente». Di lì i primi screzi, sanati solo in parte con il timido riposizionamento del fondatore. «È il suo redde rationem. Conte ha avuto i suoi spazi, se adesso Grillo riesce nel suo intento e convince chi ha partecipato al primo voto a non esprimersi nemmeno e viene a mancare il quorum, il presidente dovrebbe fare le valigie» dice invece Lorenzo Borrè, storico avvocato dei grillini dissidenti.
Quella che ha imboccato il fondatore, insomma, è quella che comporta meno sforzo, anche economico: l’alternativa è portare Conte in tribunale e aprire una disputa sul simbolo oppure sullo statuto. Faticoso, costoso e soprattutto dall’esito incerto.
In questo caso, la «clausola feudale» (copyright Conte, probabilmente rendendo pan per focaccia a Grillo che lo accusava di aver steso uno statuto «seicentesco») è l’all in del comico su un partito che, proprio grazie allo statuto che ha steso l’ex premier, è diventato inscalabile.
Insomma, è impossibile strappare il potere a Conte da dentro: unica possibilità, sfidarlo da fuori. Oppure, per dirla con chi ha perso fiducia in lui, «puro ostruzionismo, solo vendetta». «Anche se dovesse aver successo, con chi lo fa questo partito? Con Toninelli?» Tradotto: il seguito si è assottigliato, Grillo ha scontentato troppe persone. L’alternativa, è il ragionamento che circola, è che lo faccia «evaporare», come d’altra parte aveva promesso tempo fa.
Oltre al duello all’ultimo voto, e le sfide giudiziarie, all’arco del fondatore resta un’ultima freccia, quella del taglio degli iscritti considerati “inattivi” da parte di Vito Crimi e della sua squadra di tecnici che, nei mesi che hanno preceduto la consultazione, hanno scandagliato le liste degli iscritti alla ricerca di chi non accedeva da troppo tempo.
«Se uno solo di loro lamentasse di essere stato ingiustamente escluso dal voto, sarebbe tutto da rifare» dice ancora Borrè. Gli eletti iniziano a sentirsi logorati dall’attesa. «Sembra il giorno della marmotta» sospira qualcuno, ansioso di lasciarsi alle spalle la nuova consultazione il prima possibile.
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