- Il Movimento teme i sondaggi bassi e le elezioni sempre più vicine: per salvarsi, rilancia la riforma della legge elettorale in senso proporzionale.
- Il Pd temporeggia, il resto della maggioranza soprassiede, ma per i dem la legge proporzionale potrebbe essere la via d’uscita da un’alleanza che va sempre più stretta, segno che le coalizioni già non esistono più.
- In un quadro così incerto, con la possibilità che nei prossimi mesi il campo largo si trasformi in un campo di battaglia, per il Pd è meglio tenersi aperta una via d’uscita.
I deputati del Movimento 5 stelle in commissione Affari costituzionali alla Camera hanno chiesto di fissare il termine per gli emendamenti alla riforma della legge elettorale in senso proporzionale. È un modo per riaprire la discussione sul testo presentato dal presidente della stessa commissione, Giuseppe Brescia, il cosiddetto Germanicum, che agevolerebbe i Cinque stelle, da tempo in calo nei sondaggi.
Alle elezioni manca ormai meno di un anno e l’accelerazione mette in difficoltà il Pd. Il partito sulla riforma è diviso in due. Da un lato gli uomini vicini all’ex segretario Nicola Zingaretti, che avevano appoggiato il testo di Brescia quando si era iniziato a discuterlo nell’estate 2020, ma anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando, il presidente del Pd Matteo Orfini (a capo della corrente dei Giovani turchi) e l’ex ministro Francesco Boccia.
Dall’altro i deputati più vicini al segretario Enrico Letta: da sempre ostili al proporzionale per formazione politica, i lettiani oggi hanno imposto la linea del rinvio perenne. «I tempi non sono maturi», dice un membro della commissione, mentre il deputato Andrea Giorgis spiega che «il Pd è pronto a discutere di legge elettorale, ma non è disponibile ad alcuna forzatura, che tra l'altro non porterebbe da nessuna parte».
Doppiezza Pd
A cogliere il dissidio interno sono però sia i Cinque stelle, che fanno notare come Letta non abbia risposto all’appello del presidente Giuseppe Conte di lunedì in cui l’ex premier rilanciava la legge proporzionale come «soluzione migliore», sia Giorgia Meloni, che in un confronto con il segretario Pd gli ha chiesto: «Mi piacerebbe sapere da Letta cosa pensa di chi dice, come Zingaretti, che il maggioritario è instabile».
Ad alimentare ulteriormente l’ambiguità ci hanno pensato due senatori Pd di peso come la capogruppo al Senato Simona Malpezzi e il suo predecessore Andrea Marcucci. «Personalmente credo che il proporzionale sarebbe più utile» dice la prima, il secondo le fa eco: «I gruppi parlamentari del Pd, di Forza Italia e del M5s sono in gran parte favorevoli al ritorno al proporzionale. Io credo, spero, che tra poco anche la Lega si convinca a cambiare legge elettorale. Il proporzionale garantisce più democraticità e più stabilità».
Mercoledì in commissione la richiesta del Movimento si è scontrata anche con il benaltrismo di Fratelli d’Italia e il silenzio di Forza Italia e Lega. Per quest’ultimo è intervenuto il segretario Matteo Salvini, che in un tweet ha detto: «È incredibile: con una guerra alle porte, una pandemia e una crisi sociale, energetica ed economica senza precedenti, c’è qualcuno che pensa alla legge elettorale».
Anche Italia viva per bocca del deputato Marco Di Maio ha fatto sapere che «con la crisi internazionale in atto, il dramma umanitario che dobbiamo gestire e i pesanti effetti economico-sociali che stanno colpendo famiglie e imprese, i “segnali” da dare all’Italia sono altri». In questo quadro, gli unici che potrebbero offrire una sponda al Movimento sono proprio gli esponenti del Pd.
Le coalizioni non ci sono più
Per il momento il Pd temporeggia. Meglio aspettare almeno le amministrative per decidere come porsi ed eventualmente sfruttare l’exit strategy di una legge proporzionale, ovvero andare al voto separatamente, sganciandosi dall’alleato che nelle settimane scorse è stato percepito dal Pd come troppo inaffidabile. L’ipotesi del ritorno al proporzionale disvela quindi una realtà che c’è già: le coalizioni non esistono più.
La settimana scorsa si è sfiorata la crisi di governo a causa della contrarierà dei Cinque stelle sull’ordine del giorno che impegnava il governo ad aumentare le spese militari, come deciso in sede Nato.
Conte sperava di poter recuperare consenso nei sondaggi grazie al no alle spese militari. Ha cavalcato il momento chiedendo non solo di rinviare l’aumento, che nei piani del governo era già slittato dal 2024 al 2028, ma chiedendo anticipazioni anche sulle singole spese per gli armamenti e i piani dell’esecutivo per i sostegni a famiglie e imprese.
Richieste che hanno messo in allerta gli alleati del Pd e hanno generato i primi segnali di insofferenza. «Abbiamo costruito noi, il ministro Lorenzo Guerini per primo, la soluzione al problema: Conte non venga a parlarci di mancanza di rispetto. Letta e Guerini hanno avuto fin troppa pazienza, sicuramente più di quanta ne avrei avuta io...», ha detto Orfini. Una dichiarazione che ai vertici del Pd non è dispiaciuta.
In un quadro così incerto, con la possibilità che nei prossimi mesi il campo largo si trasformi in un campo di battaglia, per il Pd è meglio tenersi aperta una via d’uscita.
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