Il Pd spera in un’unità del campo largo su cui nessuno può giurare. Da tempo il M5s flirta con la maggioranza e a lungo ha offerto una sponda alla maggioranza in Rai e non è da escludere che le trame di Conte rompano l’alleanza. Al Nazareno valutano cosa fare il 26 settembre, quando si voteranno i consiglieri
Il Pd è fermo. E non sa che strada prendere. Incartato in una strategia anti Telemeloni che però rischia di tagliarlo fuori dal processo di elezione del cda della Rai. I dem sarebbero anche disposti a restare fuori dal novero dei consiglieri: toglierebbero così alla destra l’alibi della lottizzazione del passato. Ma la decisione non è ancora presa. E la mancanza di una linea – che sia partecipare al voto parlamentare oppure no – si inserisce in un contesto in cui il fronte delle opposizioni alla destra, su un argomento delicato come l’occupazione del servizio pubblico, è tutt’altro che unito. La conseguenza è un certo imbarazzo del Pd. A domandare oggi quale sia la strategia del partito di Elly Schlein per il 26 settembre, quando le aule di Camera e Senato sceglieranno i quattro consiglieri di nomina parlamentare mentre il ministero dell’Economia farà i due nomi di ad e presidente designati, la risposta è il silenzio.
«Si deciderà, l’importante è che le opposizioni siano unite come lo sono state firmando il documento del 6 agosto con cui si sono impegnate a non avallare il processo delle nomine prima che si proceda a una riforma della legge della governance» è la linea di chi spera che i Cinque stelle non facciano il doppio gioco.
Sembrano andare però in un’altra direzione le ultime dichiarazioni di Giuseppe Conte. Come già a inizio mese, il presidente del Movimento 5 stelle nei giorni scorsi è tornato ad aprire all’elezione di un presidente «autorevole». La legge Renzi ne prevederebbe uno di garanzia, ma la destra ha messo la casella nel frullatore della lottizzazione.
Il nome proposto continua a essere quello di Simona Agnes (in quota azzurra), per cui potrebbero finalmente essere stati trovati i due voti che mancavano per raggiungere i due terzi dei consensi in commissione di Vigilanza che servono a ratificare la sua elezione. Voci di corridoio li attribuiscono in maniera incrociata a M5s e Iv. Ma, anche se ci fosse ancora da trattare, a destra sanno che è solo questione di tempo e sperano che inizino presto le defezioni dal campo largo. «Se non riusciamo immediatamente si farà magari dopo le regionali, quando lo scenario sarà diverso». Nel frattempo, l’interim della presidenza andrebbe al consigliere anziano, ma nel disegno della destra, appunto, solo per il tempo strettamente necessario.
Strategia Cinque stelle
Anche i Cinque stelle non sembrano avere le idee troppo chiare, se non per il fatto che la priorità assoluta sia la conservazione di buoni rapporti con i vertici di viale Mazzini. che peraltro finora sono stati tutt’altro che parchi per quanto riguarda gli incarichi di rilievo assegnati a figure riconducibili al mondo del Movimento.
Alla prima uscita di Conte sulla sua disponibilità a votare un presidente indipendente era seguito un comunicato in cui il M5s ribadiva l’adesione all’impegno condiviso a non procedere alle nomine senza la riforma. Al Pd si davano pacche sulle spalle, convinti di aver arginato l’estro dell’ex premier con un impegno scritto. Quindi tutti allineati? Neanche per sogno.
Lunedì la nota del centrodestra sull’apertura della procedura di nomina ha suscitato la reazione della presidente di commissione M5s Barbara Floridia, che spinge da tempo per accelerare sugli Stati generali della Rai. Mercoledì sera Conte è tornato sul presidente «autorevole» a cui sarebbe pronto a dare i suoi voti. L’apertura della maggioranza è un ramoscello d’ulivo teso ai Cinque stelle, che a questo punto non hanno più motivo di non aprire la trattativa col governo.
Risultato: a pochi giorni dal voto il Movimento 5 stelle non solo ha un nome su cui far convergere i propri voti in aula il 26 settembre, ma tiene già anche uno scalpo da esibire con l’apertura sulla riforma, oltre che alcuni sogni nel cassetto da proporre a Giampaolo Rossi nella ridistribuzione delle direzioni. Perché mettere i bastoni fra le ruote all’avvocato Alessandro di Majo, consigliere uscente, da sempre predestinato al bis nel nome di Conte?
Al Nazareno, invece, non si parla di nomi (quelli che girano sono sempre gli stessi, Roberto Natale, che avrebbe anche l’appoggio di Avs, Antonio Di Bella, Giovanni Minoli), né di linea. «Figuriamoci se ci mettiamo a discutere di profili in un contesto del genere». E “Aventino” diventa una parola tabù: «Non abbiamo ancora deciso. Intanto l’Aventino lo fa la maggioranza che non risponde alla nostra proposta di andare avanti con la riforma». Ma il timore che i Cinque stelle stiano lavorando su un’altra via, alla cui fine magari si possa trovare la direzione di Rainews per Giuseppe Carboni al posto dell’uscente Paolo Petrecca, è nell’aria.
«Non sarebbe la prima volta», è il ragionamento. Insomma: a forza di veti reciproci e accuse incrociate di collaborazionismo con la destra, il Pd non sa governare l’alleanza. Matteo Renzi sembra ormai essersi rimesso in riga nel campo largo, anche se non si escludono mosse dell’ultimo minuto. Ma all’attivismo di Conte il Nazareno non ha granché da contrapporre. Nessun nome, nessuna strategia, nessuna certezza sulla lealtà dei propri alleati. La previsione è che da qui al 26 i leader – che «si sentono tutti i giorni» – si confrontino e trovino una linea comune. Resta il fatto che nessuno si espone: «In fondo manca una settimana, mica due ore».
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