- Niente più restituzioni dello stipendio destinate alla beneficenza da parte dei parlamentari del Movimento 5 stelle, che in futuro con grande probabilità dovranno soltanto versare parte del loro stipendio al partito.
- Via libera anche alla percezione dell’indennità di carica, quel denaro in più che prendono i parlamentari che ricoprono incarichi istituzionali al Senato o alla Camera, a patto che due terzi del contributo finiscano al partito.
- Anche la gran parte della liquidazione dei parlamentari uscenti dovrebbe rimanere in tasca a deputati e senatori dell’ultima legislatura, visto che il M5s ha intenzione di chiederne, diversamente dai primi tempi del progetto, soltanto il 20 per cento.
Il Movimento 5 stelle cambia pelle e rinuncia alle restituzioni degli stipendi dei parlamentari, che fino a questo momento donavano in beneficenza una parte del loro stipendio. Sembra che si vada verso un versamento unico da parte di ogni parlamentare di 2.000 euro al mese al partito, che poi di volta in volta deciderà se e quanto donare per le cause care al Movimento.
Addio beneficenza
Attualmente i parlamentari devono rinunciare a 2.500 euro della loro busta paga, di cui 1.000 vanno al fondo della beneficenza e 1.500 al partito. Ora, con la modifica su cui sta deliberando il Movimento lo porterebbe a dire addio a uno dei suoi cavalli di battaglia storici. Ad avere l’ultima parola è l’organo competente, cioè il comitato di garanzia, formato dall’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, l’ex presidente della Camera Roberto Fico e l’ex senatrice Laura Bottici.
Lontanissimi ormai gli inizi del grillismo parlamentare, quando deputati e senatori dovevano presentare gli scontrini che giustificavano le loro spese, ma sono solo un ricordo ormai anche le fotografie dei presidenti di commissione e incaricati di palazzo Madama e Montecitorio che nel 2018 rinunciavano all’indennità di carica che comportava il loro ruolo.
L’indennità di ruolo è denaro in più che ricevono i membri dell’ufficio di presidenza dell’aula e delle commissioni. Nel caso dei Cinque stelle della nuova legislatura, quindi, i vicepresidenti di Camera e Senato Sergio Costa e Mariolina Castellone, i segretari d’aula Gilda Sportiello, Pietro Lorefice e Roberto Traversi e il questore Filippo Scerra, ma anche una serie di parlamentari che hanno ottenuto incarichi in commissione.
I parlamentari dell’ultima legislatura hanno rinunciato a importi che raggiungevano anche le decine di migliaia di euro l’anno.
L’indennità di carica
Dopo che ieri in un post Instagram il presidente di commissione uscente Gianni Girotto aveva ammesso di avere in realtà accettato l’indennità e averla poi in parte restituita, sembra che in futuro la scelta di mettere in tasca il contributo aggiuntivo possa non essere più un problema: allo studio del comitato di garanzia c’è infatti anche una seconda modifica alle regole Cinque stelle che prevede la possibilità di percepire l’indennità, a patto di versarne i due terzi al partito.
Finora, i nuovi parlamentari che avevano ricevuto incarichi avevano detto di non aver ancora ricevuto indicazioni su cosa fare dell’indennità dai vertici di partito.
L’indennità rappresenta una nuova fonte di finanziamento per il Movimento 5 stelle, che, oltre a promuovere battaglie parlamentari, ha spese nuove che derivano dalla rete dei territori che il leader Giuseppe Conte sta organizzando in queste settimane per rafforzare le radici del partito. I gruppi territoriali dovranno recuperare l’impronta localistica che gli garantivano i meet up delle origini.
Tfr nelle tasche degli ex
I soldi in più che arriveranno dalle indennità al partito servono anche perché il M5s sta per rinunciare, secondo le indiscrezioni che girano già da qualche settimana, anche alla restituzione di gran parte del tfr dei parlamentari. Con buona pace di chi, come Alessandro Di Battista, dopo la fine della prima legislatura in cui i grillini arrivarono a palazzo, aveva restituito l’intero assegno di liquidazione da 44mila euro.
L’importo da restituire era diminuito già durante la guida politica di Luigi Di Maio, ma sembra che Conte e i suoi vogliano limitare la richiesta a chi ha lasciato il parlamento al solo 20 per cento della cifra totale, che siano 44mila o 88mila euro, a seconda delle legislature completate.
La speranza è che anche chi non ha più ruoli nel Movimento e abbia subito la tagliola del secondo mandato versi questa cifra più bassa, che per chi ha completato due legislature ammonta comunque a 18mila euro, il 20 per cento di 90mila.
Resta da vedere se restituirà anche chi dopo la politica ha scelto di intraprendere altre attività, dove soldi aggiuntivi non possono che far comodo.
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