La destra si prepara alla rottura in commissione: no di FdI e Fi contro il sì della Lega. La resa dei conti può slittare dopo il primo verdetto regionale, il Pd è contrario
Fumata nera con suspence sul terzo mandato per i sindaci delle città grandi e i presidenti di regione. Il vertice fra gli esponenti del governo e della maggioranza della commissione Affari costituzionali del senato, riuniti a pranzo in una pausa dei lavori, ha certificato che le divisioni restano: Fdi, Forza Italia e moderati contrari, Lega favorevole. Sulla carta, gli emendamenti del Carroccio al dl Elezioni andranno al voto domani. Fin qui non sono stati ritirati, e al senato ieri gli esponenti leghisti dichiaravano di non volerli ritirare.
Sembra un’impuntatura politica di Matteo Salvini. E invece è solo la necessità di onorare una promessa fatta al presidente veneto Luca Zaia. La storia risale al giugno 2023: al congresso locale, il governatore ha mandato giù il rospo di un segretario regionale vicinissimo al leader, il deputato Alberto Stefani, in cambio di un impegno a Roma per il terzo mandato.
Alla riunione di martedì il governo si è rimesso alla commissione. La commissione Bilancio, altro parere atteso, ha dato il suo nulla osta agli emendamenti. Ma il vicepremier leghista ha già chiarito che la questione «non farà litigare il centrodestra». Dunque la maggioranza si dispone a risolvere la questione in modalità “laica”: a fine incontro, il presidente della commissione Alberto Balboni (Fdi) ha riferito ai cronisti che «restano diversità di opinioni legittime: senza drammi ne abbiamo preso atto». E se domani si voterà «ciascuno sarà libero di esprimere il voto secondo il proprio convincimento». Tanto l’aritmetica è implacabile: vincerebbero i no.
La Lega vuole che il voto slitti alla prossima settimana per “aspettare” il verdetto della Sardegna, il primo redde rationem fra Fdi e Carroccio: se vince il candidato presidente Paolo Truzzu, imposto da Meloni, la Lega sceglierà tra evitare nuove umiliazioni oppure concedersi qualche atto di guerriglia interna. Se invece nell’isola prevalesse la grillina Alessandra Todde – eventualità improbabile ma non impossibile – nella destra si aprirebbe una partita tutta nuova.
Non è un caso che nell’altro vertice di maggioranza, quello sulle amministrative alla Camera, non arriva ancora la quadra sulla spartizione dei candidati. Mancano «indicazioni», per dirla con il leghista Massimiliano Romeo. Che potrebbero arrivare oggi da Cagliari, dove i tre leader si ritroveranno sullo stesso palco alla chiusura della campagna elettorale di Truzzu.
Pd, sindaci vs parlamentari
Allo stato dunque a destra il conflitto è sorvegliato. Molto meno a sinistra. I Cinque stelle e i rossoverdi sono contrari al terzo mandato. Ma nel Pd tira un’aria frizzantina tra fan del sì – sindaci e minoranza riformista, con qualche sfumatura – e difensori del no. Il gruppo di lavoro proposto dalla segretaria Elly Schlein alla direzione di lunedì come soluzione di compromesso, semplicemente al momento non sembra una soluzione.
Ne fanno parte Alessandro Alfieri, Davide Baruffi e Igor Taruffi della segreteria, i capigruppo Francesco Boccia e Chiara Braga, i sindaci Antonio Decaro, Matteo Ricci e Dario Nardella. I tre primi cittadini (rispettivamente di Bari, Pesaro e Firenze) sono anche prossimi candidati alle europee e quindi non interessati personalmente alla questione. Ma rappresentano un plotoncino di colleghi (Decaro è il presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni, Ricci dell’Ali, l’ex Lega delle autonomie) che la pensano come loro.
Oggi si riuniranno per la prima volta, ma hanno il mandato ampio di discutere una riforma più complessiva. Difficile che si trovino nella condizione (politica) di decidere just in time per un sì o per un no che spaccherebbe il partito. Infatti se domani si dovesse precipitare nel voto in commissione, con ogni probabilità i componenti Pd non parteciperebbero, lasciando gli avversari alla propria resa dei conti.
A questo mira il capogruppo Francesco Boccia, che ha avvertito Balboni di non rimandare il voto: «La destra è così divisa che la Lega minaccia la maggioranza ma frena e aspetta ordini come sempre da Salvini», la maggioranza finisce «per utilizzare le istituzioni, come troppo spesso ormai avviene, a proprio piacimento». Resta che il Pd prima o poi dovrà decidere una linea, anche in vista di un eventuale voto in aula.
«Il Pd dirà sì». Anzi no
Intanto ciascuno si piazza nella sua trincea. A Un giorno da pecora (Radio1), Ricci si è detto convinto «che alla fine il Pd dirà sì al terzo mandato», «non si capisce perché questa regola debba valere solo per i sindaci». È anche l’opinione dei presidenti di regione, loro invece direttamente interessati al ter: Stefano Bonaccini dell’Emilia-Romagna, Michele Emiliano della Puglia.
E l’innominato (in direzione) Vincenzo De Luca, governatore della Campania: il quale però gioca una partita in proprio, mettendo in conto la possibilità di far approvare il terzo mandato nello statuto della sua regione; per poi procedere “a prescindere” dalle decisioni del partito. Bonaccini, che è anche presidente del partito, apprezza la scelta della segretaria di un gruppo di lavoro «per cercare di trovare una quadra».
Apprezza meno «qualche parlamentare, che ha detto addirittura di rimettere in discussione le elezioni diretta dei sindaci», proposta «avanzata da chi viene eletto in parlamento con una legge che vieta ai cittadini di scegliersi parlamentari». Ce l’ha con la sinistra del partito, in particolare con Andrea Orlando e Marco Sarracino.
Che in direzione hanno contestato il paragone con i sindaci dei paesi europei che non hanno limiti di mandati: in quei casi non c’è l’elezione diretta. Tesi condivisa anche da Stefano Ceccanti, costituzionalista di area riformista, secondo il quale «il tetto ai mandati è un giusto bilanciamento nel tempo dell’elezione diretta di chi governa, cioè di chi gestisce, non c’entra nulla coi mandati di chi rappresenta, cioè i parlamentari. Non vanno comparate pere e mele».
Taglia la testa al toro Andrea Giorgis, senatore e capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali: «Non si riforma il testo unico degli enti locali con un emendamento a un decreto legge, e a pochi mesi dalle elezioni. Se la destra vuole affrontare il tema del numero dei mandati dei sindaci, lo faccia nel quadro di una riflessione complessiva e con un disegno di legge specifico».
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