I numeri sono impietosi, il piatto piange e la propaganda non basta più. Così il governo di Giorgia Meloni si aggrappa al condono prolungato: è già all’opera per la riapertura dei termini del concordato preventivo.

L’illusione del miracolo italiano è svanita. Finora la performance del Pil era legata a quello che l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha definito il «rimbalzo post-pandemia» del triennio: finita l’onda lunga «la crescita torna in linea con i valori precedenti» e l’Italia «ristagna». Con un effetto pericoloso: la base su cui poggia la manovra del governo, ossia la previsione di una crescita economica all’1 per cento nel 2024, sta venendo meno.

Obiettivi difficili

A mettere a verbale l’allarme sulla frenata del Pil è stata anche la Banca d’Italia nella seconda giornata di audizioni alla Camera. «La crescita del prodotto prefigurata nel Piano strutturale di bilancio (Psb, ndr) per il biennio 2024-25 appare più difficile da conseguire», ha affermato Andrea Brandolini, vicecapo del dipartimento Economia di via Nazionale. Parole che seguono alle previsioni fatte lunedì scorso da Confcommercio: nella migliore delle ipotesi si stima uno +0,8 per cento del Pil.

I vari interventi degli attori interessati alla legge di Bilancio hanno confermato i problemi del testo, definito «equilibrato e prudente» dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ma che potrebbe non rispettare gli obiettivi. Se per l’ultimo semestre di quest’anno la dinamica è di rallentamento, per il 2025 non si intravede niente di positivo. «Domanda estera, investimenti e riforme rimarranno i principali motori di crescita», ha annotato ancora l’Upb nella memoria depositata a Montecitorio. E tra le righe si legge un giudizio non lusinghiero nei confronti della Legge di bilancio. Viene infatti abbattuto il totem della riforma fiscale meloniana, che «aumenta le differenze nel trattamento dei contribuenti» secondo l’Upb. Genera, insomma, maggiore disuguaglianza.

Ai fini della crescita, poi, il contributo della manovra «ha un effetto espansivo di 0,3 punti sul 2025 (riconducibile principalmente allo stimolo alla domanda interna derivante dalle misure contributive e fiscali per i lavoratori a basso reddito), nessun effetto nel 2026 e un impatto appena positivo nel 2027» aggiunge l’Ubp. Numeri che traducono il ragionamento di Confindustria; il provvedimento «non offre risposte adeguate».

La segretaria del Pd, Elly Schlein, parlando all’evento di Domani ancora oggi in corso al Tempio di Adriano a Roma, ha attaccato: «Non mi stupisce che ci siano tante critiche. La manovra riesce a scontentare quasi tutti, perché non ha una visione. Questo è successo per la mancanza di un confronto, hanno scritto tutto al chiuso». Anche sugli extraprofitti delle banche, ha incalzato la leader dem, «hanno fatto il gioco delle tre carte».

In questo clima di malumori, il leader della Lega, Matteo Salvini, si è lasciato sfuggire una mezza ammissione: ­«Si può migliorare, c’è tempo fino a Natale». Intanto, Meloni, influenzata, ha rinviato all’11 novembre l’incontro con i sindacati a palazzo Chigi in programma ieri.

Il “non detto” è che, con la frenata della crescita, si apre lo scenario di una possibile correzione sui conti, che significano ulteriori tagli mentre servirebbe affrontare «l’invecchiamento del personale medico», ha annotato il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli. Servono investimenti e invece si prospettando ulteriori riduzioni della spesa.

Condono per fare cassa

Il governo, alle prese con questi affanni economici, ha tirato fuori dal cilindro il solito coniglio: una sanatoria. Dopo aver negato per giorni la volontà di prorogare il concordato preventivo, scaduto il 31 ottobre, è al vaglio una misura ad hoc. «La soluzione più efficace è quella di un decreto legge, immediatamente esecutivo, da far confluire poi con un emendamento all’interno del decreto fiscale», ha spiegato il senatore di Forza Italia, Dario Damiani, che ha tradotto i desideri del segretario di Fi, Antonio Tajani. «Riaprire i termini porta più soldi», è la tesi del ministro degli Esteri.

L’unico modo per fare cassa è un condono perpetuo per rimpinguare le esangui casse pubbliche. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha stimato – in un’intervista al Sole 24 Ore – il gettito a 1,3 miliardi di euro. Una cifra che altre fonti di governo, con Domani, rivedono al rialzo: «L’incasso sarà almeno di un miliardo e mezzo».

In ogni caso il bottino è magro per pensare a un robusto intervento sul ceto medio: l’idea è sempre quella di abbassare dal 35 al 33 per cento il secondo scaglione dell’aliquota Irpef. Ma per un’operazione di effettivo impatto, serve una performance superiore ai due miliardi di euro del concordato. Altrimenti in busta paga la crescita sarà minima per i lavoratori.

E allo stesso sarebbe spazzata via la richiesta avanzata da Salvini di ampliare la platea per la flat tax destinata alle partite Iva (oggi la soglia è a 85mila euro di ricavi all’anno). Dalla Lega, comunque, invitano alla calma. «Vediamo il vero risultato del concordato», è la posizione che filtra dal partito del ministro delle Infrastrutture. E lo sguardo è rivolto al concordato bis, già sul tavolo.

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