La destra fa il braccio di ferro per spartirsi le poche risorse aggiuntive sulla manovra, a cominciare dal voucher di 1.500 euro per le scuole paritarie, ma all’orizzonte si prevede già un’approvazione al rallentatore. I tempi del via libera non saranno da record, nonostante le professioni di ottimismo del governo.

Il calendario stilato prevede l’approdo del testo in aula alla Camera il 16 dicembre, come spiegato dal ministro dei Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, e un via libera definitivo entro Natale. Un ritmo quasi da record. Ma appare una professione di ottimismo, perché sarebbe una tabella di marcia senza intoppi che negli ultimi anni si sono susseguiti.

Incognita Concordato

I conti vanno peraltro fatti, come raccontano fonti parlamentari di maggioranza, con il Concordato preventivo bis riaperto fino al 12 dicembre con un decreto del governo. È storia nota che Giorgia Meloni e gli alleati vogliano mettere qualche risorsa aggiuntiva per introdurre misure più incisive rispetto all’allargamento della platea destinataria dei 100 euro (una tantum) del cosiddetto bonus Babbo Natale, messo in conto negli ultimi giorni. Solo che bisogna capire la fattibilità del progetto che prevede l’uso dei soldi incassati dal Concordato. I tempi rischiano di essere strettissimi.

L’unica certezza è che, ogni anno, il governo Meloni accarezza l’idea di un iter velocizzato della legge di Bilancio, salvo poi fare i conti con la realtà. Il timore, per i senatori è quello di dover tornare poco prima di Capodanno per la votazione finale. A palazzo Madama stanno cercando di capire se davvero prenotare l’aereo di sola andata prima di Natale o prevedere un ritorno a Roma prima del cenone di San Silvestro.

Nella giornata di venerdì 15 è intanto calata la mannaia dell’inammissibilità su circa 1.300 emendamenti sul totale di 4.511. In ballo ne restano altri 3.200 che saranno sottoposti a ulteriore scrematura nella prossima settimana. Entro mercoledì sera i gruppi dovranno indicare i cosiddetti segnalati, le proposte dei deputati che saranno effettivamente esaminate e votate. L’accordo è che siano al massimo 600.

Di sicuro sono state bocciate idee – perché non ammissibili per estraneità di materia o mancanza di copertura – che avevano fatto già discutere. Su tutti il cosiddetto emendamento Renzi, presentato da Alice Buonguerrieri di Fratelli d’Italia, che prevedeva un tetto ai compensi per attività estere svolte da parlamentari. Insomma, è durata il tempo di qualche polemica l’iniziativa di FdI contro il leader di Italia viva. Stesso destino è toccato alla proroga della sospensione delle multe per i No-vax, chiesta dalla Lega.

Il partito di Matteo Salvini però può brindare su un altro versante: è ammissibile l’emendamento depositato per aumentare di tre miliardi di euro i fondi da mettere per il ponte sullo Stretto.

Impatriati e abbandonati

Comunque sia, nelle prossime settimane il governo dovrà arginare il malcontento che monta intorno al provvedimento. Non sono solo i sindacati a preparare la mobilitazione per i grandi temi assenti nella legge di Bilancio. Dagli italiani all’estero alle associazioni di volontariato, leggendo i singoli articoli del testo, tutti si stanno lamentando della manovra economica che sta proseguendo il cammino in commissione Bilancio alla Camera. Sorprende la scure che si abbatte sugli italiani all’estero, tema da sempre caro alla destra: la legge per garantire a loro il voto porta la firma di Mirko Tremaglia, storico dirigente del Msi.

Gli eredi della fiamma hanno dimenticato le priorità di un tempo. «Il governo Meloni fa cassa sugli italiani all’estero con un taglio verticale di 55 milioni, anche per finanziare la follia del progetto dei migranti in Albania», osserva il vicecapogruppo del Pd alla Camera, Toni Ricciardi, che denuncia anche «il blocco della rivalutazione per i pensionati italiani all’estero, per recuperare 8 milioni, e lo stop alla disoccupazione per i rimpatriati».

Un mix di misure che fanno il paio con il precedente taglio agli sgravi per gli impatriati, che ha colpito in particolare il Mezzogiorno, che aveva benefici maggiori. Su tutt’altro fronte, il Forum del terzo settore chiede una maggiore attenzione, battendosi contro la norma, voluta dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che prevede la presenza di un rappresentante del Mef a vigilare sui bilanci degli enti che beneficiano di risorse pubbliche.

«A seguito della riforma, infatti, le attività del terzo settore sono già soggette a rigida vigilanza», ha sottolineato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum terzo settore. Che ha rilanciato: «Siamo molto preoccupati anche dalla norma che, introducendo un limite di spesa per l’acquisto di beni e servizi, rischia di diventare subito un incomprensibile freno all’economia sociale, ovvero a tutte quelle attività che vanno nella direzione di uno sviluppo inclusivo e sostenibile del paese».

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