Sabato 28 il voto di fiducia. La legge di Bilancio si chiude in commissione senza votare gli 800 emendamenti presentati e senza il relatore Liris (FdI). «Parlamento umiliato» secondo il dem Boccia
Alla fine arriverà il voto di fiducia, con tutta probabilità sabato mattina, per licenziare la manovra di bilancio che al Senato ha fatto un passaggio di meno di 24 ore.
Venerdì in mattinata la commissione Bilancio di palazzo Madama ha completato l’esame, poi il testo è arrivato in Aula e per tutto il pomeriggio il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha seguito la discussione generale.
Il passaggio, tuttavia, è stato tutt’altro che indolore. La necessità di fare presto per chiudere entro la fine dell’anno ha infatti imposto una sgrammaticatura evidente: la commissione non ha concluso l’esame del testo e nella seduta lampo, durata poco più di mezz’ora, non ha potuto fare altro che prendere atto dell’impossibilità di esaminare gli oltre 800 emendamenti presentati. Risultato: al Senato il passaggio sarà una mera formalità, a riprova di come il bicameralismo ormai sia un meccanismo completamente inceppato.
Addirittura il relatore della legge, il meloniano Guido Liris ha fatto un passo indietro dal ruolo dopo aver preso atto dell’impossibilità di esaminare gli emendamenti e dunque il testo è arrivato in aula senza relatore: «Con richiesta che si ritorni alla doppia lettura, che non è stata più fatta dal 2018». Auspicio che andrebbe appunto però rivolto al governo in carica, con l’aggravante quest’anno di non essere riuscito ad adempiere nemmeno alla formalità di esaminare gli emendamenti.
La mossa di Liris ha però aizzato le opposizioni, che hanno definito le sue «dimissioni». In rottura col governo? È stata la domanda retorica. «Non si è potuto dare mandato ad alcun relatore, ma non ho mai parlato di dimissioni», ha risposto il senatore meloniano, ma il risultato poco cambia.
Nulla cambia
«Questo si sta verificando non solo nei decreti, ma un po’ su tutti i provvedimenti, anche sui disegni di legge», ha commentato il senatore dem Daniele Manca, che ha parlato di una «prassi monocamerale pericolosa». Dura la nota di Italia viva, che con Raffaella Paita e Dafne Musolino ha parlato di «una mossa senza precedenti» e «se la maggioranza avesse tenuto così tanto alla doppia lettura e alla centralità del Parlamento, non si sarebbe fatta umiliare in questo modo dal governo». L’effetto surreale in aula però è stato assicurato: una discussione generale su un testo di cui non si sono esaminati gli emendamenti, con la tagliola della fiducia. «Parlamento irriso e umiliato» e «genuflesso al governo», ha detto il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia. «Due mesi alla Camera, due giorni al Senato», ha sintetizzato il capogruppo di Italia viva, Enrico Borghi.
Il testo, dunque, rimane quello licenziato dalla Camera, che tra le misure bandiera vede l’introduzione dell’ires premiale per le aziende che investono, il bonus elettrodomestici, alcune piccole novità in materia previdenziale e il nuovo divieto per i parlamentari e membri del governo di ricevere compensi extra-Ue, qualche piccolo aumento per gli stipendi in sanità (17 euro per i medici, 7 per gli infermieri) molto contestato dal Pd («è un insulto»).
A margine del dibattito parlamentare, ferve però quello intorno alla squadra di governo. Che il vicepremier Matteo Salvini frema per lasciare i Trasporti e tornare al Viminale è cosa nota, con il leghista Borghi che nei giorni scorsi ha detto che «i rimpasti migliorano la squadra». A distanza gli ha risposto il capogruppo di FdI, Galeazzo Bignami: «I rimpasti poi danno sempre una sensazione di fragilità». La premier ha chiuso a qualsiasi modifica della compagine di governo, ma la questione tornerà a farsi politica appena chiuso il capitolo della Finanziaria.
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