La Cassazione ha cancellato la sentenza di assoluzione dell’ex questore di Palermo, coinvolto nell’inchiesta per il caso Shalabayeva. E sottosegretario di Palazzo Chigi gli ha dato un ruolo di grande prestigio nella polizia di stato
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha deciso la promozione dell’ex questore di Palermo, Renato Cortese, che intanto dovrà subire un nuovo processo per il caso Shalabayeva. La procedura del potente braccio destro della premier, Giorgia Meloni, è stata infatti portata al termine dopo che la Corte di cassazione aveva annullato, pochi giorni prima, la sentenza di assoluzione del dirigente di polizia, nell’ambito del procedimento sul caso Shalabayeva.
Una vicenda che dopo 10 anni resta ancora aperto. La documentazione è stata rispedita alla corte di appello di Firenze per avviare la celebrazione di un nuovo processo e fare chiarezza su cosa accadde a Roma a fine maggio 2013.
Mantovano ha firmato, lo scorso 23 ottobre, un documento – visionato da Domani - in cui attribuisce a Cortese la guida dell’ufficio centrale ispettivo al dipartimento di pubblica sicurezza. Nel dettaglio, si legge, nella comunicazione predisposta dalla presidenza del Consiglio, l'ex questore di Palermo «assume le funzioni di direttore centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della polizia di stato presso il dipartimento della pubblica sicurezza». L’incarico avrà una durata di tre anni ed è diventato esecutivo lo scorso 30 ottobre. La promozione è alquanto significativa: Cortese dirigerà un pezzo centrale della polizia di stato, avrà sotto di sé circa 25mila unità.
Assoluzione annullata
La sentenza della Cassazione è stata invece emessa il 19 ottobre, cancellando l’assoluzione di Cortese, accusato con 4 imputati, di sequestro di persona e falso in merito all’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov. Cortese, insieme agli altri imputati, era stato condannato a 5 anni in primo grado con l’interdizione dai pubblici uffici. Per questo motivo ha dovuto lasciare il ruolo di questore di Palermo, ricoperto fino ad allora. Nel 2022 in appello a Perugia, con il pronunciamento firmato dal collegio presieduto da Paolo Micheli, c’era stata l’assoluzione con formula piena per tutti gli imputati. «Il fatto non sussiste», spiegava il dispositivo. Era stato quindi smontato il teorema del rapimento di stato. Cortese è stato di conseguenza riabilitato. Gli è stata affidato un ruolo nell’ambito delle ispezioni degli uffici territoriali. Una posizione comunque defilata, quasi marginale. Almeno fino a che non è tornato alla ribalta con la direzione al dipartimento di pubblica sicurezza.
Mantovano si è mosso su basi personali, da quanto risulta a Domani non aveva anticipato a molti le proprie intenzioni. Un approccio che ha alimentato malumori al Viminale e all’interno della polizia più per il metodo che per il merito della nomina.
Il profilo di Cortese è infatti considerato di grande spessore, con una carriera invidiabile almeno fino a quando non è finito nella bufera del caso Shalabayeva. È infatti ricordato come l’investigatore, il superpoliziotto, che ha arrestato il mafioso Giovanni Brusca, autore materiale dell’attentato a Giovanni Falcone. Cortese è poi anche l’uomo che ha arrestato il boss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, dopo la lunghissima latitanza. Insomma, un eroe dell’antimafia destinato a un percorso luminoso.
Il processo Shalabayeva
Il caso di Shalabayeva ha però rappresentato un macigno sulla carriera dell’ex questore di Palermo. Cortese era il capo della squadra mobile, quando la donna e sua figlia furono prelevate dalla loro abitazione a Roma, avviando la pratica per la procedura di espulsione dal territorio italiano.
Non sono mancati lati oscuri nei rapporti con i vertici politici e anche della magistratura. E infatti la vicenda creò forti polemiche. Si parlò di «rapimento di stato», con il sospetto che si trattasse di un’azione politica realizzata su pressioni del regime kazako contro un dissidente, Muktar Ablyazov, appunto. Dopo qualche settimana, si dimise Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto dell’allora ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che a sua volta si salvò da una mozione di sfiducia parlamentare, facendo traballare il governo Letta. Insomma, un caso che è così finito sotto la lente di ingrandimento della giustizia con l’apertura dell’inchiesta. Da allora Cortese, insieme agli altri 4 accusati, ha iniziato il percorso giudiziario con tutto l’iter che si è riaperto lo scorso 19 ottobre. Proprio poche ore prima di quello che è il rilancio della sua carriera con la promozione voluta da Palazzo Chigi.
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